- 30 Agosto 2001
Sette anni a Palermo, a combattere la mafia. Vivendo una vita blindata. Lasciando a casa moglie, figli e nipotini. Così Giancarlo Caselli ha raccolto il testimone insanguinato lasciato, da Falcone e Borsellino. Sette anni di successi e di paure raccontati in un libro intervista, “L’eredità scomoda” (Feltrinelli editore). Duecentoventi pagine di domande fatte da Maurizio De Luca e di risposte date da Giancarlo Caselli e da Antonio Ingroia che è stato suo sostituto e che lavora ancora a Palermo.
Perché “eredità scomoda”?
Era il 1992, il nostro Paese era in ginocchio, sconvolto dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, come se in ginocchio stesse aspettando il colpo alla nuca. La mafia sembrava più. Con due stragi di quella ferocia e potenza militare, a distanza di due mesi una dall’altra, lavorare a Palermo era sicuramente raccogliere una eredità scomoda. Ancora più scomoda perché significava cercare di raccogliere e continuare il lavoro di Falcone e Borsellino, due magistrati inarrivabili. Era inevitabile il confronto che prima o poi si sarebbe posto con persone di straordinaria capacità, competenza e intelligenza.
Perché avete scritto questo libro?
Sembrava tutto perso. Poi per fortuna si innescò un circuito virtuoso, le istituzioni unite contro la mafia, destra, sinistra, nessuna differenza, l’opinione pubblica fortemente mobilitata, le piazze di Palermo piene di giovani a ricordare Falcone e Borsellino, nuove leggi mirate alla specificità del fenomeno, la legge sui pentiti, quella sul trattamento carcerario dei mafiosi, la 41 bis, che funzionavano. Leggi chieste da Falcone e Borsellino quando erano in vita e che arrivarono soltanto dopo la loro morte…
Dopo la loro morte o grazie alla loro morte?
La legge sui pentiti era stata avviata da Falcone quando era al ministero della Giustizia, però qualcuno sostiene che la conversione in legge di un decreto emanato subito dopo la strage di Capaci avrebbe incontrato delle difficoltà. Invece tutte le difficoltà sono state spazzate via dalla strage di via D’Amelio. Tutte le leggi più importanti sulla mafia sono “bis”, arrivano sempre dopo qualche fatto che costringe ad intervenire e a colmare un buco che fino a quel momento era stato tollerato con sufficiente indifferenza.
Torniamo al circolo virtuoso.
Risultati importantissimi. Catture di latitanti come non mai: Riina, Bagarella, Brusca, Graviano. Quasi 24 mila rinviati a giudizio, di cui 3.238 per mafia, 10 mila miliardi di patrimoni sequestrati solo a Palermo, una cifra impressionante anche se rispetto alla ricchezza della mafia è ancora poco. E poi, nel solo anno 2.000, 116 condanne all’ergastolo per fatti di mafia, riguardanti processi ad imputati interni all’organizzazione, mafiosi doc, con la coppola.
Risultati tanti, riconoscimenti pochi. Questo è il senso del libro?
Nessuno pretende di essere incensato o di essere avvolto nella bandiera tricolore. Abbiamo il senso del limite. Però il rispetto dei risultati ottenuti e per la funzione svolta sono cose che è legittimo pretendere. Invece è successo il contrario: siamo stati insultati. Cito testualmente: assassini, terroristi, farabutti, sadici, torturatori, folli, bugiardi, criminali, omuncoli e cose del genere. E’ incivile che in un Paese moderno chi rischia la pelle sia aggredito in questa maniera illiberale, volgare, barbara. Ci sono state versate addosso falsità incredibili come quella che non avremmo voluto sentire Badalamenti per paura che avrebbe smontato il teorema Buscetta. A parte che sentire Badalamenti è del tutto inutile perché ammette a malapena di essere nato, l’accusa è falsa. La procura lo ha sentito più volte e i verbali sono a disposizione di tutti. E molte altre volte abbiamo tentato di sentirlo e lui si è sempre tirato indietro. E di più: il negazionismo. Negare i risultati ottenuti sostenendo che questi sono stati anni di fallimenti, sconfitte, perdite di denaro, arretramento sul piano del diritto e delle garanzie. Queste cose le hanno dette le stesse persone che avevano insultato e aggredito Falcone a suo tempo. Forse non è male ricordare il vergognoso intervento di Lino Jannuzzi contro Falcone e De Gennaro quando li ha descritti come “una coppia la cui strategia è approdata al più completo fallimento… i maggiori responsabili della debacle dello Stato di fronte alla mafia”. Con gli stessi argomenti e con le stesse parole con le quali aveva insultato Falcone, che adesso per lui è un esempio fulgido (e stavolta ha ragione), sostiene che noi abbiamo sbagliato tutto. Un altro attacco violento contro di noi lo ha fatto Totò Riina il 25 maggio 94, nella pubblica udienza dell’omicidio Scopelliti, quando si scagliò contro il complotto dei comunisti Arlacchi, Caselli, Violante parlando di pentiti manovrati e chiedendo l’abolizione della legge sui pentiti.
Riina faceva il suo mestiere, si difendeva.
Non mi meravigliò il suo attacco. Mi ha meravigliato il fatto che non ha più ripetuto le sue accuse. Da allora è sempre stato zitto.
Che cosa stai suggerendo?
Una mia supposizione: è stato zitto perché ha cominciato a parlare qualcun altro al posto suo, dicendo più o meno le stesse cose. Senza risparmi di mezzi. Tutti i giorni. Per televisione, per radio, sui giornali.
Alludi ad accordi? A collegamenti?
Per carità. Non ci penso nemmeno. Dico solo che Riina non è fesso e sa da solo quello che gli conviene fare. Vede la televisione e legge i giornali. Se parlano altri e dicono le stesse cose, a che serve parlare?
Le ingiurie arrivano sempre dalla stessa parte?
Gli attacchi più gravi e sistematici sono arrivati dal Giornale, dal Foglio, da Panorama, e dalla trasmissione televisiva di Vittorio Sgarbi. Una “cavalleria” riconducibile ad un area ben definita. E’ anche un dato di fatto che le attenzioni si infittivano ogni volta che venivano assunte iniziative giudiziarie che potevano creare fastidi al leader di quell’area o a persone a lui vicine.
I “negazionisti” vi ricordano però che tutti i processi ad imputati eccellenti, accusati di relazioni esterne, di collusione con Cosa Nostra, si sono conclusi con assoluzioni.
Buscetta aveva detto a Falcone: “Io con lei di politica e mafia non parlo perché l’Italia non è ancora pronta e la prenderebbero per matto”. Dopo le stragi, come tutti, si sentì obbligato a parlare anche di questo. E noi abbiamo indagato perché era obbligatorio indagare. Ma i risultati sono stati scarsi. Zero condanne. Noi abbiamo scritto questo libro non solo per rivendicare con orgoglio i successi ma anche per offrire la possibilità di rispondere a questa domanda: perché 116 ergastoli a mafiosi e zero condanne a imputati eccellenti? Nel totale rispetto per la sentenza Andreotti facciamo alcune osservazioni. Primo: i presupposti per l’esercizio dell’azione penale c’erano tutti, non agire sarebbe stato illegale, disonesto, vile e delegittimante perché le altre inchieste non avrebbero avuto più nessuna credibilità se la legge non è uguale per tutti. Secondo: la sentenza è di fatto un’assoluzione per insufficienza di prove. Oltretutto senza una valutazione complessiva di tutta la storia. Terzo: la sentenza che assolve conferma vari punti significativi e qualificanti dell’impianto accusatorio, i rapporti con Salvo, Lima, Sindona, Ciancimino, soggetti definiti nella sentenza come profondamente inseriti in Cosa Nostra. Parlare di teorema, di accanimento, persecuzione, uso politico della funzione giudiziaria, è una bestemmia, una violenza fatta alla verità dei fatti. Le sentenze bisogna conoscerle.
Ma allora perché 116 a zero?
Tre possibilità: i pm sono bravi, buoni, belli, giusti, capaci ed efficienti quando si tratta di mafiosi con la coppola e diventano brutti, incapaci, cretini, imbelli quando si tratta di imputati eccellenti. Può darsi. Seconda ipotesi: la prova è obbiettivamente più difficile. Un omicidio anche di mafia lascia tracce. Ma le relazioni esterne sono impalpabili, non si tengono verbali delle riunioni, non ci sono elenchi dei collusi, e siccome le relazioni esterne sono la spina dorsale, il momento nevralgico della forza mafiosa, sono protette con un segreto specialissimo. Terza possibilità: i criteri di valutazione della prova non sono sempre gli stessi. Si può scegliere qualsiasi di queste tre ipotesi o magari combinarle fra loro. Ma la sentenza bisogna conoscerla prima di usarla per beatificare l’imputato assolto e criminalizzare il pubblico ministero.
Era già successo ai tempi di Falcone e Borsellino.
Proprio così. Con il maxi processo avevano dimostrato che la mafia poteva essere sconfitta. E invece di essere sostenuti, vennero spazzati via a forza di polemiche, e il pool fu demolito. Le polemiche scagliate contro di loro sono le stesse scagliate contro di noi: professionisti dell’antimafia, uso spregiudicato dei pentiti, uso politico della giustizia a fini di parte, pool trasformato in centro di potere. Stesse accuse, spesso dalle stesse persone. Ma con una differenza, Falcone e Borsellino furono spazzati via, noi no. Difficoltà, occasioni perdute, ma il pool ha continuato a lavorare. C’è continuità.
Ingroia ha scritto: “E’ scomparsa l’autostrada nella quale pensavo di marciare”.
E la constatazione che, di fronte a un lavoro che produceva ottimi risultati, invece del sostegno, magari critico, sono arrivate le aggressioni, le campagne denigratorie sistematiche senza risparmio di mezzi e di uomini, le falsità. Tutto questo nel sostanziale silenzio.
Silenzio di chi?
Mentre una parte ci insultava, l’altra parte non ci difendeva. Ci ha colpito e messo in difficoltà il silenzio di chi avrebbe dovuto dialetticamente contrapporsi a chi ci accusava, la rassegnata indifferenza di chi avrebbe dovuto difenderci.
Alle ultime elezioni in Sicilia c’è stato un vero e proprio cappotto. 61 a zero per Forza Italia. Vuol dire qualcosa?
Una maggioranza bulgara, in democrazia, è sempre un problema. Se poi questa maggioranza bulgara si registra dove obbiettivamente ci sono anche presenze mafiose, il problema ancora più grave.
Don Ciotti ha segnalato una indagine della diocesi di Monreale dalla quale risulta una percentuale alta di persone che hanno subito condizionamenti, regali, promesse.
Io faccio il magistrato, non ho titolo e ruolo per andare più in là.
Da quando il centro-destra ha vinto hai notato una recrudescenza degli attacchi?
Ripeto, faccio il magistrato, non il politico. Nel libro ci sono delle risposte fra le righe. Ma qualcuno ha detto che il libro è bello perché molto spesso si capisce che ci fermiamo ad un certo punto perché il nostro ruolo istituzionale non ci consente di andare oltre. Questo vale anche per questa nostra conversazione.
Nessun commento.