- 29 Agosto 1993
Sergio Cusani fino a qualche mese fa era uno di quelli che contavano. Non famosissimo ma potentissimo. Aveva un passato di militante nel movimento studentesco milanese ma nel presente era soprattutto bene introdotto presso politici, industriali, finanzieri, banchieri. E fra i socialisti. Ascoltato consigliere di Raul Gardini, era stato al centro dell’affare Enimont. E per quello ä finito in galera, accusato di falso in bilancio e di violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti a causa di una colossale mazzetta di 150 miliardi pagata ai partiti, Psi e Dc in testa. Ha meravigliato la sua linea processuale. Ha ammesso i fatti contestati ma non ha detto una parola di più, e non ha fatto nomi. Con i giudici si è comportato in maniera quasi sprezzante, dopo aver scelto un avvocato, Giuliano Spazzali, “di opposizione”. Non ha chiesto la libertà. Ma un processo, e subito. Il suo, dicono i giudici, ä un atteggiamento oppositivo.
Lei è un personaggio di cui finora si sapeva poco. Vuole descriversi da solo?
Molti mesi prima della mia cattura, 23 luglio 1993, sull’onda dell’inchiesta Mani Pulite, sono stato preso di mira da alcuni giornali. Chi non mi ha mai conosciuto ha cominciato a costruirmi addosso alcuni profili immaginari. Sono così passato da oscuro contabile al servizio del Psi ad emulo di Cuccia nell’alta finanza.
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