Mimmo Cándito - (letta 5.344 volte)

C’è un plotone che va in guerra e non fa la guerra. Ha i suoi eroi, le sue vittime, le sue canaglie. Sono i reporter di guerra, professione inventata da William Russel che nel 1854 fu inviato dal Times, l’autorevole quotidiano di Londra, alla guerra di Crimea. Scriveva con la penna d’oca. Oggi, l’ultimo inviato di guerra sta scrivendo da qualche sperduta area africana e manda i suoi pezzi con un modernissimo telefono satellitare. Ci sono migliaia di reporter di guerra. Solo quelli italiani impegnati nell’ex jugoslavia erano ottanta. Per la guerra del Golfo si era arrivati a quota 150. Alcune di queste guerre hanno anche fatto molti morti fra la truppa dell’informazione. 64 morti in Vietnam, 48 a Beirut, 86 nella ex Jugoslavia. "I reporter di guerra sono dei figurini che mangiano a sbafo le razioni dei soldati", diceva sir Carnet Wolseley nel 1869 per protestare contro l’intrusione dei giornalisti in quella che doveva essere solo una questione fra militari. Oggi non è più così. Oggi la stampa è ammessa al fronte, ma non sempre la verità trionfa. "La prima vittima della guerra è la verità", diceva Arthur Ponsonby in "Menzogne in tempo di guerra". Ne parlo con Mimmo Cándito, inviato della Stampa, docente di linguaggio giornalistico all’Università di Torino, uno che di guerre ne ha fatte proprio tante.

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