- 3 Gennaio 2024
Una volta era famosissimo. Era il geniale inventore di Jack Folla, il condannato a morte americano che in attesa dell’esecuzione dal carcere di Alcatraz si collegava con Radio 2 sparando a zero su tutto e su tutti. Poi fu l’autore di Celentano per il quale inventò il tormentone “rock o lento” che invase l’Italia e finì perfino nella pubblicità della Fiat. Poi fu l’autore di Gianni Morandi e fece diventare il ragazzone di Monghidoro perfido e cattivo. Nel frattempo vendeva libri a tonnellate. Poi fu abbandonato dai riflettori ed entrò nel cono d’ombra, ostracizzato dai dirigenti della Rai. Si trasferì nella campagna umbra, fra cani e boschi, solitario, in attesa di tempi migliori.
Lui è Diego Cugia. Ora risorge. Con una trasmissione sull’ambiente e sugli animali che si chiama “la Zampata” e andrà in onda su Rai 2 tutti i sabato, a partire da domani, alle 17. Sarà condotta da un cane, Pepito, che intervisterà, realmente, scrittori, psicoanalisti, intellettuali. Dacia Maraini, Francesco Montanari, il capitano Ultimo…
Di Diego Cugia hanno detto quanto di meglio. Ma anche quanto di peggio. Egocentrico, carogna, razzista.
“L’egocentrismo è un vizio che avevo. Oggi il “me” mi annoia”.
Carogna?
“Può darsi. Ma razzista mai”.
Lo scrisse Mariuccia Ciotta sul Manifesto.
“Perché Jack Folla diceva “negro”. E non “nero”.
Tu stesso hai detto di te che sei ingovernabile.
“Lo dissero due o tre direttori. Per loro era una nota di demerito. Invece era un complimento”.
Una volta hai detto che al mondo vincono i mediocri…
“i mediocri girano liberi”
Ma veramente?
“Era un rap di Jack Folla”.
Cioè?
“Diceva: i mediocri hanno occupato tutto: politica, televisioni, giornali. Tutto”.
E?
“I mediocri girano liberi come poliziotti. E se vedono passare un’idea, la sbattono dentro”.
Visione ottimistica del mondo…
“Il mio posto nel mondo l’ho trovato scrivendo parole come queste. Poi chi lo dice che il mediocre in fondo non sia proprio io? Il dubbio ce l’ho”.
Un tuo grande errore?
“Aver creduto che ci fossero tre o quattro cose che sapevo fare meglio degli altri. Mi ritenevo invincibile”.
Invece?
“Invece arriva la vita e ti dà tre o quattro sganassoni potentissimi. Proprio su quelle cose che sapevi fare”.
Una tua grande sconfitta?
“Il successo. Aver ceduto alla vanità, al denaro, al potere. Sono caduto in miseria. È stata una bella sveglia. Tanto spavento ma sono rinato. Fallire? Che fortuna!”
Da piccolo sei andato dall’analista.
“Diventavo rosso con le ragazze. Rosso rubizzo, una tortura”.
Pepito sei tu?
“Pepito è un cane libero e vagabondo che vive sotto ai ponti ed è incazzato nero per come noi esseri umani trattiamo gli animali. Pepito non è Diego Cugia con la coda”.
È un difensore dell’ambiente. Ma non è una battaglia persa?
“Le uniche battaglie che meritano di essere combattute sono quelle perse”.
Che cosa pensi della Meloni?
“Ce ne sono due: una che sbraita con gli occhi da fuori e una di governo. Ora non sbraita più, ha ceduto al potere anche lei”.
Che cosa pensi della Schlein?
“Sono contento che ci sia. Si batte per cause giuste ma minoritarie. La Meloni è sempre sul pezzo. Giuste o sbagliate dà delle risposte alla maggioranza della gente. Schlein si entusiasma solo per una frangia, la sua”.
Hai detto che l’Italia ha da dieci anni un futuro immobile. Che vuol dire?
“Vuol dire, per esempio, che se 43 anni dopo la strage di Ustica, un ex presidente del Consiglio dichiara che forse i francesi abbatterono l’aereo con un missile, senza aggiungere uno straccio di prova, e quasi tutti i giornali gli fanno un titolone in prima pagina come fosse uno “scoop”, questo è un Paese immobile e il suo futuro è in fondo a un putrido stagno non da dieci anni, ma da quaranta e passa”.
Chiamavi “pezzi di merda” i dirigenti Rai. Non era carino.
“No, non era carino, l’ha detto Jack Folla. Serviva a creare un patto di fedeltà col pubblico. Sono parole a rischio licenziamento. Dimostrano che ti stai giocando tutto. Ha funzionato”.
Per chi voti?
“Detesto chi non vota ma non so chi votare”.
Dimmi il primo pensiero rock che ti viene in mente e il primo pensiero lento.
“Lukaku è rock. Immobile è lento”.
Immobile è un grande e tu sei il solito romanista. Hai detto che i giornalisti italiani non sanno fare le domande. Chi le sa fare, esclusi noi due?
“Il nostro è il paese dei “tengo famiglia”, i nostri giornalisti non hanno le palle per fare domande”.
E chi ha le palle?
“Molti giornalisti americani fanno domande senza riverenza. Solo l’anno scorso, 68 giornalisti nel mondo sono stati
uccisi. Loro le domande le avevano sapute fare, come quelli avvelenati da Putin”.
Hai fatto diventare cattivo Morandi.
“Morandi cattivo era una bella trovata. Non se ne poteva più
dell’Eterno Ragazzone. La più bella è stata una candid camera in cui lui si portava a letto una fan, e dopo averla sbaciucchiata nella sua stanza d’albergo, moriva stecchito per un infarto”.
Diciamolo, una carognata.
“Però faceva ridere”.
Gli invisibili. Era il tuo tentativo di partito. Fallito.
“Sbagli. C’erano due milioni di persone nel 2000 pronte ad aderire a un partito di Jack Folla. Mi sono rifiutato, volevo che restasse un sogno libero, puro. Ho fondato “Gli Invisibili” molti anni dopo, quando non mi si filava quasi più nessuno”.
Non è stato un grande successo.
“Era un piccolo movimento senza una lira. Poi, anche in questo microcosmo, sono nate dinamiche di partito. Allora l’ho chiuso. Alcuni volevano che andassi in tv a parlarne, a far proseliti. Ma come? L’ho chiamato “Gli invisibili”! E vuoi visibilità?
Che percentuale di femminilità hai?
“Direi il 60%”.
Tentazioni gay?
“Io ho tutti i vizi. Non mi fisso mai su uno solo. Altrimenti si diventa viziosi”.
Mucciante, uno dei tuoi capi della Rai, disse: l’albatros era diventato un galletto da cortile.
“Come direttore di Radio2 ha avuto il merito di replicare Jack Folla. E l’infamia di aver tagliato le puntate di tre quarti d’ora riducendole a 5 minuti. Secondo te ha censurato le battute da galletto di cortile o ha tagliato le ali dell’albatros?”
È vero che essere felici è un dovere?
“Confermo. Essere infelici è facilissimo. Per la felicità ti devi impegnare. La felicità è una roba da professionisti”.
Una volta hai chiesto l’elemosina.
“Roma, piazza Irnerio. Avevo 17 anni…”
Quando andavi dall’analista…
“Ero andato a vivere da solo. Non mangiavo da tre giorni. Chiesi a una signora 50 lire per una pizzetta rossa. Me le diede. La pizzetta più croccante della mia vita”
Gioco della torre. Butti Calenda o butti Renzi?
“Calenda un po’ mi incuriosisce. Di Renzi ho capito il gioco e non mi piace”.
Conchita De Gregorio o Natalia Aspesi?
“Butto Conchita perché lei mi ha buttato fuori dall’Unità dopo avermi promesso più spazio, con tanto di pranzo al ristorante e bacetto sulle guance”.
Però ti ha dato il bacetto…
“E infatti l’ho perdonata. Ma trovo imperdonabile tutti quelli che
ti licenziano dicendoti di assumerti”.
Chi butti? Morandi o Celentano?
“Butto Morandi perché si è rifiutato di farsi intervistare dal mio cane per “La zampata”.”
Celentano si è fatto intervistare?
“A Celentano neanche l’ho chiesto”.
Angela padre o Angela figlio?
“Gli Angela sono come le patate, la parte migliore sta sottoterra”.
- 13 Giugno 2023
La più bella intervista a Silvio Berlusconi la facemmo io e Giorgio Lauro, per Un giorno da Pecora. Leggere per credere. Sembra quasi inventata. Eppure ci furono centinaia di migliaia di ascoltatori testimoni.
Gli avevamo fatto terra bruciata attorno. Silvio Berlusconi, LUI, con tutte le lettere maiuscole, “anche il puntino della “i” è maiuscolo”, diceva Giorgio Lauro. Quando ne parlavamo con qualche ospite e lo chiamavamo semplicemente “LUI”, l’ospite ci guardava incuriosito e allora io spiegavo: “LUI, lei lo conosce benissimo, è quello che ha un figlio che si chiama PIERLUI”. LUI era il nostro incubo. Lo avevamo invitato decine di volte. Direttamente, tramite Paolo Bonaiuti, il suo uomo-ombra. Indirettamente, con messaggi vocali, bigliettini, perorazioni affidate a tutti quelli che, ospiti di Un Giorno da Pecora, sapevamo che lo avrebbero incontrato. Bondi, Verdini, Zangrillo, Scapagnini, Licia Ronzulli, Biancofiore. Arrivavano da noi per raccontare la loro vita e ne uscivano pieni di pizzini. Niente, mai nessuna reazione, nemmeno un no. Sotto le elezioni intensificammo il tiro. Si sarebbe impietosito anche il mostro di Lochness. Io parlavo tutti i giorni con Bonaiuti. “Paolino, l’hai mandato da tutti, da Floris, da Vespa, da Santoro, a Radio anch’io, dalla Palombelli, a Rtl, a Rds, Rmc”. Paolino si difendeva come poteva. “Voi siete una trasmissione un po’ particolare. Comunque ci provo”. Il giorno dopo nuova telefonata. “Paolo, l’ho visto da Anna La Rosa, dalla Gruber, dalla D’Amico”. E Paolino continuava la sua arrampicata sugli specchi. Poi un giorno, leggendo il Corriere della Sera, scoprimmo casualmente che LUI stava venendo da noi. In una foto in cui LUI mostrava un tabellone con tutti i suoi impegni elettorali, in piccolo, ma chiaro, leggemmo la scritta a mano “Un Giorno da Pecora”. Non ci avvertiva quando non veniva, non ci avvertì nemmeno quando aveva deciso di venire.
Era l’11 di febbraio. Un giorno che sarebbe passato alla storia. Non per noi. Berlusconi ospite di Un Giorno da Pecora era un avvenimento importante ma non epocale. L’11 di febbraio, per la prima volta nella storia dell’umanità, un papa dette le dimissioni. Lo aveva fatto per farci un dispetto? Per attutire l’impatto mediatico della presenza di Berlusconi da noi? Comunque il giorno dopo le prime pagine erano per Ratzinger, non per noi. Mannaggia.
Silvio Berlusconi, circondato da un plotoncino di una ventina di persone, arrivò a via Asiago 10 con un po’ di anticipo, e a passo di carica. Io e Giorgio avevamo passato la notte a chiederci come mai avesse deciso di venire. Perché LUI, l’uomo che aveva permeato di sé gli ultimi trent’anni della vita italiana aveva accettato di venire da noi, rappresentanti dalla comunicazione più cialtrona al momento disponibile sul mercato? Era l’ultimo rantolo di una situazione politica ormai allo sfascio? Era la celebrazione e il riconoscimento del nostro successo? Era la sua voglia di cimentarsi in qualcosa di meno noioso dei soliti talk show, sia quelli
che lo volevano per insultarlo, sia quelli che lo ospitavano per leccarlo? Giorgio sosteneva che LUI veniva da noi perché ormai era andato dovunque. Gli mancavano solo la Santa Messa, al contrario di Bruno Vespa che era andato anche alle previsioni del tempo.
Resta che di questa giornata è giusto che si possa godere tutto. È stata una intervista che rivendico come ottima. Non gli abbiamo risparmiato nulla. E anche LUI è stato all’altezza. Bravo. Chapeau. Godetevi una delle più sorprendenti frasi a carattere sessuale mai pronunciate da LUI. È verso la fine. “Un uomo con un timbro timbra”. Lo disse sbattendo il pugno su tavolo. Ecco qui di seguito uno sbobinamento integrale. Come fosse una telefonata intercettata. Dio mi perdoni l’accostamento. Ricordo per una maggiore comprensione che io venivo chiamato “l’anziano” e Giorgio “il simpatico”. E che io davo sempre del tu agli ospiti mentre Giorgio sempre del lei. E che Supermario era il soprannome con il quale chiamavamo Mario Monti, il presidente del Consiglio. E che era l’ultimo giorno prima delle elezioni.
ANZIANO: Silvio Berlusconi! Buongiorno!
BERLUSCONI: Buongiorno a voi. Che sorpresa trovare Sabelli così giovane!
SIMPATICO: Che sorpresa lei che viene da noi. Sono anni che la inseguiamo.
ANZIANO: Silvio…
SIMPATICO: Come Silvio! Non puoi chiamare il presidente Silvio.
ANZIANO: Tu non hai idea le cose che abbiamo fatto insieme.
SIMPATICO: Che cosa avete fatto?
ANZIANO: Abbiamo cantato nelle navi, ti ricordi Silvio?
BERLUSCONI: Come no. Io cantavo lui ballava.
ANZIANO: No veramente eri tu che ballavi.
BERLUSCONI: No, io ho fatto un fioretto, ho smesso di ballare, ho smesso di fumare. Io non bevo, non fumo, non mi drogo. Ogni tanto dico qualche bugia.
SIMPATICO: Ma che sarà mai! Piuttosto ogni tanto dice qualche parolaccia.
BERLUSCONI: No.
ANZIANO: Ieri sera! Hai detto cazzata.
SIMPATICO: Grande cazzata.
BERLUSCONI: Io parlo con i miei ragazzi che vanno a scuola. Cazzata è un termine corrente.
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- 5 Maggio 2021
Vasa vasa. Ovvero Totò Cuffaro. Sì proprio lui, quel Presidente della Sicilia, abile dispensatore di baci a fini clientelari, che al vertice del suo fulgore rimase impelagato in drammi giudiziari che alla fine lo portarono in prigione. Avventura che affrontò con coraggio e dignità, senza urlare al complotto della magistratura, come consuetudine dei politici, senza scappare, come consuetudine di molti personaggi importanti, addirittura presentandosi in anticipo all’appuntamento con le sbarre prima ancora che qualcuno lo andasse a prendere. Come non fa nessuno. Io lo intervistai due volte, la prima quando era potente, prima dei processi, la seconda quando non contava più nulla, al ritorno dei cinque anni di carcere. Questa è la terza volta. Sulla elegante e moderna piattaforma di Clubhouse, nella room “Cazzoni stonati”, bene frequentata dai miei amici profondi e leggeri che mi seguono in questa rivisitazione delle vecchie interviste di una ventina di anni or sono. Rivisitazione, o meglio, intervista sull’intervista, o come l’abbiamo chiamata, “metaintervista”. In sostanza un tagliando sulle persone e sulle idee e sul tempo che passa. Le domande sono quelle di una volta ma le risposte a volte sorprendono. Cominciamo dalla caratteristica principale di Totò, il clientelismo.
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- 26 Marzo 2021
Un esperimento: intervistare Iva Zanicchi da dentro una stanza di Clubhouse, che è l’ultima trovata in tema di social. La nostra stanza di Clubhouse si chiama “Cazzoni Stonati”. Prima perché siamo cazzoni e poi perché siamo stonati. Facile no? Affrontiamo tutti i temi in maniera leggera e scanzonata. E ogni tanto ci facciamo prendere dalla fregola di cantare. L’intervista ha un’altra caratteristica “rivoluzionaria”. Prendiamo una mia vecchia intervista e andiamo a riesaminarla, a confrontarla col tempo che è passato, a controllare se ci sono frasi desuete, bugie, pentimenti, previsioni azzeccate e cose del genere. Insomma andiamo a farle un “tagliando”. Iva Zanicchi, intervistata da me 17 anni fa, entra nella stanza con un po’ di ansia.
IVA. E’ tutto il giorno che ho un patema d’animo, un’agitazione. Pensavo di non riuscire ad aprire tutte queste camere, queste cose, adesso ho imparato bene. Ho pigiato sulle mattonelle giuste.
SABELLI FIORETTI. Adesso sei tranquilla?
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- 16 Settembre 2019
E’ la politica più “fumantina” che ci sia in Italia. In televisione non fa altro che litigare. A molti è antipatica. Per altri è quella che non le manda a dire, non fa sconti a nessuno. I suoi avversari, quando non sanno che pesci prendere, dicono che è fascista e che è brutta. Lei si è inserita nel filone che parte dal postfascismo e attraverso il Msi e Avanguardia Nazionale è approdata al suo partito “personale”, Fratelli d’Italia. Un litigio dietro l’altro, Giorgia Meloni si è affermata e adesso si appresta a fare il grande sorpasso, lasciando dietro di sé addirittura Berlusconi.
Giorgia, facciamo fuori il problema della litigiosità.
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- 2 Agosto 2019
Per alcuni è un “simpatico cazzaro”. Per altri è un manager di valore. Per molti è un
instancabile donnaiolo. Poi ci sono quelli che lo hanno conosciuto come un accanito
giocatore di poker. In tutte le definizioni c’è un po’ di vero e un po’ di leggenda.
L’elenco delle donne che avrebbe conquistato, per esempio, è infinito: Bellucci,
Falchi, Colombari, Carla Bruni, Marcuzzi, Casalegno, Gerini, Autieri, Vento, Arcuri.
L’unica voce controllabile è che è stato anni con Lucrezia Lante della Rovere dalla
quale ha avuto due figlie, Ludovica e Vittoria. Quando lo intervisti è pacato e
prudente. Tra la domanda e la risposta passano sempre tre-quattro secondi
interminabili. Intercalari frequentissimi: “lo devo dire con franchezza”, “Posso dirti
una cosa?”, “Seguimi bene”, “Stammi a sentire”, “devo dire la verità”. E’
sicuramente un uomo di sport. Mostra con orgoglio la foto in cui tenta di dribblare
Maradona (ma non esiste il fotogramma del momento successivo). Giovanni
Malagò, presidente del Coni, è l’uomo che ha portato le Olimpiadi invernali a Milano
dopo aver fallito il tentativo di portare quelle estive a Roma.
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- 18 Aprile 2018
Tutto è cominciato quando Walter Veltroni ha raccontato in giro che aveva chiesto alla mia vecchia amica Siri se era di destra o di sinistra. Trovai la domanda un po’ impertinente ma quello che mi stupì fu la risposta: “Francamente me ne infischio”. E’ vero che Siri non è un essere umano, che è una signorina virtuale (oggi mancano le signorine virtuose, bisogna accontentarsi) Ma possibile che fosse così qualunquista? Ho ormai 74 anni e mi sono convinto che quelli che dicono che “destra e sinistra non esistono più” non solo sono qualunquisti, ma sono anche di destra. Non potevo rimanere nel dubbio ed ho deciso che dovevo approfondire. Non avevo altra scelta: chiedere a lei. Perché magari Siri aveva risposto così solo perché le stava sugli zebedei Walter Veltroni. E così, invece di chiederle brutalmente quale ideologia seguisse, le ho fatto una domanda interlocutori. “Siri, esistono ancora secondo te la destra e la sinistra”. Sorpresa. Siri si ritraeva. “Sei gentile a chiederlo Claudio ma quello che penso io non importa”. Oibò, ma io sono il più bravo intervistatore d’Italia, non puoi evitare la mia domanda. Vado sul pesante. “Ma tu sei di destra o di sinistra?”
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- 18 Dicembre 2015
Totò Cuffaro libero: “Per cinque anni a Rebibbia ho parlato col water. Questo Pd mi ricorda la Dc: voterei per Renzi”
L’ex governatore siciliano racconta l’arresto e la detenzione – dopo la condanna per favoreggiamento a Cosa Nostra – finita il 13 dicembre. “Ho passato notizie alla mafia, ma non volutamente. Cercavo solo di proteggermi. La foto dei cannoli è un falso: non li offrivo, ma li portavo via”. E ancora: “Non potrò mai più andare alle urne, eppure sono stato ‘rieducato’. Un consiglio al premier: meno spocchia”
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- 20 Aprile 2012
Quando Gianni Boncompagni ha compiuto 60 anni, io l’ho intervistato. Quando ha compiuto 70 anni, io l’ho intervistato. Adesso compie 80 anni ed io lo intervisto. Sono il metronomo dei suoi decenni. Il testimone del suo tempo che passa.
Ci diamo l’appuntamento per i novant’anni?
“Che cosa?”
Ci arrivi a novant’anni?
“Non lo so”.
Qualcosa di più preciso?
“Sì, sì, sì… spero di sì. Malamente, ma sì. Ci arrivo ai novant’anni”.
Facciamo anche l’intervista dei cent’anni?
“Me l’immagino. Noi due, sul divano, rincoglioniti… senza capire niente…tutte e due totalmente sordi…come? Come?”
Il bilancio della tua vita in una frase?
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- 2 Agosto 2010
«Sono leggendari i suoi scontri con Marco Travaglio ad Annozero. Praticamente un format. Travaglio cita una sentenza per dire che Berlusconi è un criminale. Lui parte in una difesa appassionata scartabellando faldoni. Travaglio insiste. Lui si incaponisce. I toni si alzano. Santoro osserva felice. Le voci si sovrappongono. Finché lui, esasperato, urla «mavalà». Niccolò Ghedini, 50 anni, potente avvocato di Silvio Berlusconi, dice però che «mavalà» non è un suo intercalare abituale. «L’ho usato solo in una trasmissione. Ripetutamente. Ho esagerato. E mi è rimasto appiccicato addosso. Era un gesto di sconforto. Travaglio continuava a dire una cosa sbagliata. E allora mi veniva da dire: “Ma dai, basta, non è possibile!” È uscito “mavalà!”. Colpa mia. Ma ero disperato».
Claudio Sabelli Fioretti: Ora è per tutti Nicolò «Mavalà» Ghedini. Grazie a Travaglio…
Niccolò Ghedini: «A me Travaglio non dispiace. In trasmissione vorrei gettargli il Codice addosso. Ma è un professionista notevole. Una volta su cento ha ragione. E mi fa riflettere. Le sue critiche sono in buona fede, anche se dice cose disancorate dalla realtà dei dati processuali».
Ma è uno dei pochi che legge le sentenze…
«Se estrapoli solo la parte che ti piace, mistifichi la realtà. Lui non fa il giornalista, fa l’avvocato di parte civile. Però…»
Però?
«Non mi è antipatico».
Travaglio ha detto: «Ghedini è duro ma sportivo, non sfugge al confronto. È coraggioso».
«A me piace confrontarmi con lui».
Quante volte è andato ad Annozero?
«Una decina».
E Santoro?
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