- 30 Settembre 1999
La sua rubrica si chiama Parolaio. Il lunedì, quando compare sulla Stampa, gli intellettuali di tutta Italia corrono a vedere se c’è il loro nome. Se c’è, è un guaio. Pierluigi Battista è una vipera. Usa il suo linguaggio soft ed elegante per seminare zizzania, attizzare polemiche, inchiodare i narcisi alle loro vanità, svelare gli errori prodotti da quella che definisce «la spocchia dei possessori di un ego troppo arroventato». Pierluigi Battista ha 44 anni. Il ’68 lo ha sorpreso al liceo Mamiani di Roma. La ventata di libertà lo convogliò in un gruppetto, Unità operaia, marxista-leninista.
Poi il Manifesto. Poi la rottura con la sinistra, la scoperta di Pannella e dei radicali. Per gli ex compagni diventò un traditore come Giuliano Ferrara, suo amico e «fratello maggiore», che lo ha portato con sé, condirettore, nella veloce avventura di Panorama. L’inchiesta di Sette sulla generazione che non sa invecchiare e sull’ old boys net individuata da Alberto Ronchey approda a lui. Consapevole che, nella migliore delle ipotesi, Battista dirà che tutto ciò che abbiamo scritto è privo di senso, lo incontro dalle parti di piazza Mazzini dove scopriamo comuni radici di oratorio (Cristo Re) e di scuole medie (Col di Lana).
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