- 1 Gennaio 2000
Tonino, un ex-seminarista, lavora nei servizi segreti fascisti, in una centrale di intercettazioni telefoniche. Il suo capo, Laconi, fiuta il vento e usa l’organizzazione per appoggiare il cambio di regime. Telefonate di cardinali, re, gerarchi, ministri, duci. Tra il 25 luglio e l’8 settembre. E qualcosa anche dopo. Nomi veri, Maria Josè, Mussolini, Acquarone, Acerbo, Grandi, Hitler, Petacci. Fatti veri. Titolo del libretto: “Operazione via Appia”. Autore: Giulio Andreotti. Visto l’autore, visto i contenuti, il libretto va letto in controluce?
Senatore Andreotti, nel risvolto di copertina del suo libro c’è scritto: “Chi sono Tonino e l’enigmatico dottor Laconi? Come è pervenuto ad Andreotti il manoscritto? Qual è il confine fra invenzione e realta? Senatore, chiariamo.
Ci sono: un sottofondo vero di cronaca, fortissime sovrastrutture di fantasia e notizie acquisite in modo differente.
E Tonino?
Era un mio compagno all’università di Roma che lavorò all’ascolto telefonico. Mi raccontava parecchie cose che ascoltava durante le intercettazioni.
Cose importanti?
Divennero importanti quando in questa struttura si inserì uno dei filoni che lavorava per far cadere il fascismo. Questo mio amico mi dette in anteprima, cinque o sei ore prima, la notizia che Mussolini era stato arrestato.
Era la nascita dei servizi segreti deviati.
Le intercettazioni telefoniche furono introdotte prima del fascismo e non so se se ne facesse anche un uso parallelo: per direttive dall’alto o per iniziative individuali.
Che fine ha fatto Tonino?
E’ morto qualche anno fa.
Ha continuato a lavorare nei servizi segreti?
Ha continuato a lavorare al ministero dell’Interno, ma non in quello setsso settore. Era gratificato da quel lavoro ma il cambiamento di regime lo aveva un po’ sconvolto.
Laconi?
Era veramente il capo ufficio di Tonino. Dal fatto che stracciava alcune delle trascrizioni Tonino capì che c’era una tela di ragno nella quale si cercava di far cadere il regime fascista.
Lei ha letto i brogliacci?
Mi sono preso degli appunti man mano che Tonino mi raccontava le telefonate e me li sono tenuti da parte per essere preciso su alcuni passaggi.
Questo posto sulla via Appia, sede dell’organizzazione, lei l’ha mai visto?
Si, ma non è sulla via Appia. E’ in un altro posto, altre catacombe, altra grande importante via consolare. Io cerco di non creare mai problemi a nessuno. Qualcuno è ancora vivente.
Qualcuno?
Uno, un tedesco.
Le telefonate erano tutte comprensibili?
Non tutte. Il Re parlava in piemontese stretto, forse per non farsi intercettare. Molti di queste intercettazioni, man mano che ci si avvicinava alla data del 25 luglio, diventavano ermetiche. Tipo: “Forse non potrai andare in vacanza questa estate”. Ma anche adesso, ogni tanto, mi dicono che magari la frase più innocua, “Butta giù la pasta”, vuol dire che deve scattare un golpe.
Tre intercettazioni: l’abusivismo edilizio dei Mussolini, i reali italiani che avevano sottoscritto il prestito di guerra inglese e il ministro giapponese cocainomane…
Episodi reali ma ne sono venuto a conoscenza in maniera diversa. Io ho fatto pratica legale per qualche tempo, nello studio De Sanctis che era in piazza del Gesù 46 dove poi dopo è finita la Dc. Cliente dello studio era la famiglia Torlonia, proprietaria della villa dove abitavano i Mussolini. Deve ancora esistere – io la ricordo – una lettera molto spiritosa di Vittorio Mussolini in cui diceva che per eseguire alcuni lavori a sue spese voleva avere l’assicurazione che avrebbe potuto rimanere nella villa 15 anni “duri o non duri il fascismo”.
E il prestito di guerra? I reali italiani finanziavano la guarra contro l’Italia?
Questo episodio me lo raccontò monsignor Belvederi. Era un fatto curioso ma non illegitimo. L’assicurazione sulla vita di Umberto I fatta ai Lloyds di Londra non era mai stata riscossa dai Savoia. Si era capitalizzata. Durante la guerra era stata fatta una legge che obbligava a destinare una parte di tutti i depositi al prestito di guerra. Ecco perché il Re d’Italia era titolare del prestito di guerra inglese.
E il ministro giapponese cocainomane?
E’ storia. Li per lì se ne sapeva poco ma dopo la guerra un certo Max Mugnani che si faceva la barba la mattina a piazza Barberini dove mi facevo la barba pure io e mi raccontò l’episodio. Un importantissimo incontro fra il Duce e il ministro degli esteri giapponese Mitsuoka era andato a monte perché Mitsuoka era fuori combattimento per una razione di cocaina fornitagli dallo stesso Mugnani. Mugnani fu mandato nel campo di punizione per antifascisti di Padula. Così, quando arrivarono gli americani lo presero per un perseguitato dal fascismo. Lo liberarono e gli affidarono l’armadio dei narcotici della Quinta Armata.
E il cardinale Pizzardo, quello che raccontava le barzellette spinte sul fascismo? Episodio vero?
Come no. Le raccontava anche a me. E poi diceva, accompagnandomi alla porta: “Raccontale, ma non dire la fonte”
A chi venivano date quelle intercettazioni?
Le più importanti, quelle che riguardavano persone del governo, direttamente a Mussolini.
Intercettare è inevitabile?
E’ sempre stato fatto. Adesso però ci sono le regole.
C’è differenza fra intercettare per il governo e intercettare per i giudici.
Certamente. Comunque la politicizzazione non esiste più, adesso.
Sicuro? E’ da escludere che che oggi qualcuno intercetti telefonate per conto del governo?
Io nell’esecutivo ci sono stato per tanti anni e devo dire di no. Io non ho mai visto niente del genere né mi sono mai sognato di chiedere un’informativa presa attraverso ascolti telefonici. Che poi ci possano essere stati degli abusi da parte di qualcuno, non si può escludere. Ma se sono abusi non lasciano tracce.
Non c’è da stare allegri.
Oggi, tecnologicamente, è molto più facile. Si può, a duecento metri di distanza, trapassare finestre e porte con gli ascolti ambientali. Forse qualcuno sta ascoltando questa stessa nostra conversazione.
Che cosa si può fare per difendersi?
Se non si vuol far sapere una cosa, l’unico modo valido è il non pensarci nemmeno. Chissà che non sia stato già inventato un intercettatore dei pensieri.
Oreste Del Buono ha scritto del suo libro: “Un lavoro lieve denso di sapienti allusioni”. C’è qualche messaggio che a noi sfugge?
No, no. Solo una meditazione sulla fragilità di sistemi che appaiono granitici. Le strutture pubbliche, anche quelle ritenute forti, sono in realtà deboli.
Anche quelle democratiche?
Anche quelle più perfette posono essere scosse da acque sotterranee…
In che senso possono essere scosse?
Sulla carta si sono tutte le garanzie: organizzazioni, tempi, controlli. Ma se poi certi strumenti possono venire usati da qualcuno o da una rete, allora può crollare anche il sistema più sicuro.
La fine del regime fascista può assomigliare, come grandezza del fenomeno, alla fine dei grandi partiti moderni, la Dc, il Psi e tutti gli altri?
La guerra contribuì alla fine del fascismo, la caduta del muro di Berlino a quella dei partiti. Qualche analogia ci può essere benissimo.
L’analogia può andare oltre? Se in quel momento qualcuno usò i servizi per stare al vento, è possibile che sia successo qualcosa del genere anche nel favorire la caduta della vecchia classe politica?
Spero di no, ma indubbiamente…
I servizi di chi devono essere al servizio?
La cosa importante è poter mettere alla loro testa persone di assoluta garanzia democratica. C’è un vecchio dibattito: bisogna cambiare i direttori molto spesso, per evitare incrostazioni, o tenere tempi lunghi, per ragioni di professionalità?
Lei che dice?
Fra le due alternative io preferisco la rotazione veloce.
Rimane comunque sempre il sospetto che le intercettazioni possano essere usate per fini personali.
Rimane il sospetto.
In appendice al suo libro ci sono delle trascrizioni di telefonate che arrivano agli anni Cinquanta…
Non ho più niente. Né vado a cercarlo.
Non intendevo questo. Volevo solo dire che Tonino aveva continuato.
Erano degli appuntini che questo ragazzo, o qualcun altro che continuava a fare il suo lavoro, avevano preso. Forse si divertivano anche. Erano episodi buffi, non importanti. Per questo uscivano.
Il procuratore Vigna dice che le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per combattere la criminalità.
Io credo che l’ordine giuridico lo si tuteli creando una educazione civica e non lasciando margini all’arbitrio di qualsiasi autorità, compresa quella giudiziaria.
Bisogna scegliere bene il direttore dei servizi, diceva. Lei ne ha scelti tre della P2.
Si. Qui entriamo nel problema massoneria o no. Se uno di noi clericali, per fare un indagine su una persona, avesse chiesto: “Ma questo è massone?” sarebbe successo di tutto. Perché per noi la massoneria era una cosa antitetica al nostro modo di pensare. Però sul piano civile…
Ma se giurano di proteggere, come prima cosa, i fratelli massoni…
In contrapposizione a questo c’è anche il peso che hanno avuto in tutta la vita risorgimentale. Certo fa un po’ impressione pensare che tre persone appartenevano a una loggia massonica. Ma certamente non li ho scelti per la loggia.
Che impressione le ha fatto quando lo ha scoperto?
Mi è dispiaciuto. Ma non ho motivi per pensare che non abbiano fatto il loro dovere.
Qualche altro direttore di cui si pente?
No. Dovetti rimuoverne uno, il generale Miceli, che poi diventò deputato e mi attaccò anche in parlamento. Ma avevo ragione io: era incorso in errori di servizio troppo grossi.
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