- 31 Agosto 2003
Era il 1974. Lidia Ravera era una ragazzina torinese piuttosto scapestrata, colta e intraprendente. Aveva 23 anni. Io la assunsi ad “Abc” e la mandai a fare cose orrende nei confessionali di tutta Italia, oppure a sedurre autonomi per conquistare documenti e scoop. Era una brava giornalista ma “Abc” chiuse e Lidia diventò una scrittrice. Prima con “Porci con le ali”, un libro che segnò una generazione, poi con romanzi meno traumatizzanti e rivelatori. Da allora 14 libri, 59 sceneggiature di film, centinia di articoli e una lunga mancanza di frequentazione fra di noi.
Oggi ci rincontriamo nel suo casale di Ansedonia. “Sette” ha appena pubblicato l’ultimo articolo della serie “Maledetta gioventu” nella quale Lidia Ravera, parlando con Claudio Rinaldi e Paolo Mieli, Gherardo Colombo e Fiamma Nirenstein, Barbara Palombelli e Maria Laura Rodotà, Elisabetta Rasy e Giorgio Montefoschi, Giampiero Mughini ed Ernesto Galli della Loggia, Giuliano Ferrara ed Alberto Ronchey, ha tracciato una specie di identikit della generazione che non vuole invecchiare, quella dei baby boomer, i nati tra il 1946 e il 1955, quelli che hanno fatto, o semplicemente hanno guardato, il movimento del ’68. Le faceva da linea guida il suo ultimo libro, “Maledetta gioventù”, appunto, nella quale ha raccontato la storia di un uomo, una donna, due figli e una giovane amante percorsi da opposte pulsioni ma omogenei nel maledire la giovinezza, quella propria e quella degli altri, quella rimpianta o quella dolorosamente vissuta. Gioventu come ricatto, alibi, debolezza, trincea, bene rifugio.
Alla fine delle sue interviste, sono ora io che intervisto lei, per consentirle un riassunto. Meglio, un’analisi, un riordinamento di idee. Aveva cominciato con Alberto Ronchey, un adulto vero, di quelli che non stanno vivendo patetici tempi supplementari (come ha definito Giuliano Ferrara la terza età). Alberto Ronchey che dirigeva la “Stampa” nel ’68, che ha lanciato la definizione di ”old boys net”, per individuare quel gruppo di sessantottini che oggi si spartiscono il potere nel mondo dei mass media appoggiandosi a vicenda – dice Ronchey – a prescindere dalle loro attuali posizioni politiche.
“Old boys net”: quasi a dire una forma di massoneria…
No, è un tipo di legame più fluido. Non è un patto criminoso. E’ una sorta di vecchia affinità.
Che nasce da quale esigenza?
Per la mezza età la dimensione collettiva, fare gruppo, sembra impraticabile. Si rintanano tutti nella coppia, nella famiglia. E allora dobbiamo tornare indietro, all’ultimo indirizzo collettivo conosciuto: il ’68 appunto.
Ma è un problema solo della nostra generazione?
L’ha spiegato bene Maria Laura Rodotà. Noi avevamo idee forti. La generazione di Maria Laura può ricordare al massimo i campeggi in Grecia. Non è la stessa cosa. La Rodotà, ma anche i giovani di oggi, si incontrano per incontrarsi. Noi ci incontravamo sostenendo che non era solo per non star soli, per cercare la mandria o il branco. Ma per cambiare il mondo.
Tu la racconti bene. Ma Ronchey parlava di occupazione del potere da parte dell’”old boys net”.
Chi è stato adulto nel 1968 ha avuto l’occasione di odiarci molto. La forza della giovinezza, la tracotanza e l’orgoglio tipici dell’età erano stati potenziati dalla particolare situazione politica, dalla sensazione di essere quelli che avevano ragione. Chi era già adulto, quindi coinvolto dalla realtà, veniva aggredito, detestato, insultato, contestato, disprezzato.
La teoria di fondo della tua inchiesta è che questa generazione non vuole invecchiare. Ma quale generazione ha mai voluto invecchiare?
La nostra è la prima generazione che sa di avere davanti a sé una vecchiaia molto lunga. Talmente lunga che deve riarredarla, ridefinirla, ristrutturarla. Deve inventare un’altra metà della vita.
Metà della vita da vecchi.
Il termine “invecchiare” mi dà fastidio. L’erba cresce e noi invecchiamo. E’ la percezione del tempo che passa che dà il senso dell’invecchiamento e non della crescita?
Chi è il più immaturo, quello che accetta meno l’idea di invecchiare tra i tuoi intervistati?
Giampiero Mughini, completamente dentro a questa meravigliosa recita di narcisismo realizzato che lo rende un uomo assai attraente e simpatico. Nello stesso momento in cui dice che vive ritirato fra gli oggetti, “io sono un veccchio, ho chiuso, nel mio giornale mi trattano come una porcellana preziosa da preservare e da usare ogni tanto”, in quel momento tu senti che sta ancora recitando la giovinezza.
Che cosa è la giovinezza?
E’ quella fase della vita, meravigliosa e completamente idiota, in cui sei pazzamente innamorato di te stesso. Una persona dabbene invece si viene a noia. E venirsi a noia consente di capire gli altri, avere curiosità infinite, vite movimentate. Una conquista dell’età matura.
Ronchey dice che avevamo studi peggiori e vita più facile rispetto a loro.
Per gli studi peggiori aveva ragione. La politica prendeva spazio e l’onda d’urto di una critica a una selezione vecchia e sbagliata era diventata una critica alla selezione tout court. Abbiamo fatto danni cui nessuno ha più rimediato. Vita facile no. Per quanto si voglia costruire il presepe del ’68, ci siamo fatti male nei rapporti uomo-donna, sperimentando, sbagliando, litigando. E la belligeranza permanente con la famiglia era dura. Io ho scoperto il piacere della relazione tra adulti e giovani coi miei figli. Coi miei genitori era duro. Mandavi tuo padre al diavolo e poi stavi male.
Giampiero Mughini, è stato un po’ irritante con quel suo vantarsi di essere stato comunista, anticomunista, antianticomunista…
E’ un giovane, ha dieci anni più di me ma è un ragazzino…
E il più maturo che hai incontrato?
Sono incerta fra Montefoschi e Galli della Loggia. Galli della Loggia mi ha molto colpita perché ha questo aspetto da sessantottino come nessun altro sessantottino ha. Ma dichiara la non appartenenza. Però viene da tutti messo li. Come mai? Forse è la sua tempra di polemista, il piacere che ha per le posizioni da isolato. E’ uno che sculetta col cervello. E’ un seduttore a mezzo intelligenza.
Quando tu incontri un uomo della tua età, che cosa pensi?
Lo penso più giovane, perché gli uomini hanno sempre dieci anni di meno. Le donne maturano prima, crescono prima, invecchiano prima. Però qualcosa è cambiato: le donne sono più belle nella mezza età rispetto agli uomini. Hanno avuto sempre il problema di essere desiderabili: difficilmente si fanno cogliere impreparate dall’aumento di peso o da qualche altro di questi mostri della mezza età. Ma continuano ad essere considerate fuori dal mercato del desiderio, molto più degli uomini, anche degli uomini brutti. Quando incontro un uomo della mia età confronto inevitabilmente la tenuta delle nostre rispettive carni. Vinco quasi sempre io ma scopro che lui ha lasciato la sua moglie coetanea per una ragazzina di 20 anni più giovane.
La ragazzina è uno dei sintomi dell’uomo che non vuole invecchiare?
E’ una dichiarazione di senescenza. Quando un uomo comincia a guardare il sedere di un’adolescente è perché è arrivato a fine corsa.
Nell’insieme delle tue interviste si nota una solidarietà femminile vecchio stampo. La donna invecchia meglio, è più intelligente, affronta meglio questi problemi.
Me ne sono accorta, e ne sono lieta. Esiste ancora una battaglia non conclusa che sta vivendo un momento di stasi.
Anche nel tuo libro “Maledetta gioventù” mi sembra che tu preferisca il personaggio femminile, Linda, e che l’uomo, Carlo, sia poco più che un pirla.
Nego. Il mio personaggio preferito in questo libro è proprio Carlo. Lui si accorge di avere fatto una cazzata, si incasina, per colpa soprattutto della ragazza, vacilla, sbarella, ma è un grande, è meraviglioso. Linda invece prende la strada della fuga. Una gran furbata.
Tutti maledicono la gioventù nel tuo libro.
Tutti i miei personaggi maledicono la gioventù, quella propria e quella degli altri.
Morale?
Noi attentiamo alla felicità dei nostri figli perchè siamo continuamente loro fra i piedi. Io e mio figlio andiamo insieme ai concerti di Tom Wait. Ci divertiamo insieme. Ma io so che il protrarsi della mia giovinezza ingombra la giovinezza di mio figlio. Percorrere gli stessi territori costringe a un confronto costante. Se il confronto è contrapposizione, come è stato per la nostra generazione, vince il più giovane. Se invece il confronto non è di contrapposizione vince il vecchio: ha più esperienza, ha più parole.
Tu ti senti dentro l’old boys net?
No, non mi si fila nessuno. Sono fuori di qualsiasi consorzio. Non per mia volontà. Non servo, non ho favori da scambiare.
Ma tu facevi parte di quel gruppo. Che fine ha fatto il legame?
Il marchio c’è. Lo sento. Anche con quelli che hanno dirazzato, la maggioranza. Io sono rimasta di sinistra. Ma la maggioranza dei sessantottini è passata a destra. Ha fatto il percorso Craxi-Berlusconi. Come Giuliano Ferrara.
Giuliano Ferrara l’uomo di destra preferito dalla sinistra.
Giuliano Ferrara è la testa pensante di Forza Italia. L’unica. Non ce n’è altre. E’ un uomo molto intelligente. Sta lì. A destra. Come Andrea Marcenaro, come Nini Briglia.
Ma era un passaggio obbligatorio? Il ‘68 ci doveva insegnare l’uguaglianza, il riequilibrio dei rapporti sessuali, la lotta per un mondo migliore. Secondo Claudio Rinaldi, invece, ci ha insegnato a condurre le assemblee, quindi a gestire il potere. Agghiacciante.
Ho apprezzato la sincerità.
Ma gestire il potere era la specialità della destra.
Era il posto in cui pensavamo che non ci saremmo seduti mai se non in una società che pulisse prima le poltrone.
Ci sono persone che non l’hanno fatto questo percorso.
In queste interviste le uniche continuiste risultiamo io e la Palombelli che non a caso siamo le uniche giovani. Per noi piccole, il ’68 voleva dire critica alla famiglia, antiautoritarismo, libero esercizio della sessualità. Rivoluzione dei comportamenti. Quelli che invece erano già adulti all’epoca, e che facevano politica veramente, si sono formati sull’anticomunismo. E dove stanno gli anticomunisti oggi?
Molti nel Pds.
D’accordo. Il comunismo si è evoluto fino a diventare quella minestrina scaldata che è adesso. Ma quel gruppo si è formato contro il Pci e gli è rimasto quell’imprinting politico. Che invece non è rimasto molto in chi era più piccolo perché aveva in testa un’altra scala di priorità. Come me e la Palombelli, per esempio.
Senti, la Palombelli ti ha detto una frase tremenda: “Capii che si poteva essere comunisti e vivere in una casa elegante” Non le hai dato un pugno?
Come dire: “Non bisogna rinunciare a niente e quindi facciamolo pure”.
Certo. Diverso sarebbe stato dire: “Capii che si poteva vivere in una casa elegante ed essere comunisti”
Una religione molto comoda. Come adesso che sono tutti buddisti. Il buddismo concede tutto e non chiede niente. Se non chiede nulla, un’ideologia o una religione sono un bene rifugio. Una cuccia calda.
Perché la giovinezza è diventata un valore?
E’ questa ossessione che mi accompagna da due anni. Col valore della bontà entri nel regno dei cieli, con l’impegno a favore dei deboli entri nel sol dell’avvenire. Ma con il valore della giovinezza dove vai?
Vai in televisione.
Finché dura. E quando non dura più?
Ci sono i chirurghi.
Stiamo lottando per andare a conquistare il paradiso del lifting? No, è troppo poco. La giovinezza non è un valore, è una condizione transitoria, che capita a tutti e non dura per nessuno.
La giovinezza non è un valore. Ma ha dei valori.
Valori che possono durare tutta la vita. Ci sono dei grandi vecchi curiosi, energici, solidali con gli altri, aperti al nuovo, capaci di mettersi in discussione. E hanno 80 anni. E ci sono dei ventenni coglioni, annoiati, che passano tutta la loro giovinezza con la playstation.
Fianmma Nirenstein ti ha detto che la forza della vecchiaia è poter ammettere di essere moderati. Quindi giovani aperti e vecchi moderati…
Sono stereotipi che ci marchiano a fuoco e ci rovinano la vita. Io non sarò mai moderata, mi auguro di poter continuare a sbagliare.
Ci sono grandi vecchi?
Ci sono. Ma a me piacciono le grandi vecchie. Si nascondono e vengono nascoste. In genere vengono riconosciute dopo morte. Come la Ortese. Adesso una grande vecchia è Lalla Romano.
Perché non ven gono riconosciute le grandi vecchie?
Perché ancora dura lo stereotipo della donna natura, la carne fresca. Di me diranno molto presto, probabilmente dopodomani, l’appassita. L’uomo invece è cultura. Di te non diranno mai che sei appassito, useranno altri aggettivi, rimbambito.
Sai che soddisfazione.
E sai che soddisfazione appassire. Tu non sei mai stato una lattuga. Io ho dietro di me una vita da insalata fresca che il tempo fa appassire. Tu invece sei cultura il tempo ti migliora. Tui sei sicuramente più intelligente oggi che all’epoca in cui ti frequentavo ed eri un trentenne sciroccato.
E bello lasciare grandi ricordi di sé.
Anche io sono meglio adesso. Solo che a me non serve. Io devo essere giovane e bella. E possibilmente inferiore. La cultura non fa valore aggiunto per le donne. Questo è il motivo per cui le donne non desiderano veramente il potere. Perché non riusciamo a spemderlo sul piano delle relazioni personali.
Una donna di potere è un fastidio.
Se l’uomo guadagna tanto e diventa presidente della Confindustria diventa anche più bello. Se la donna guadagna tanto e diventa presidente della Confindustria perde fascino.
Tu hai avuto un grosso successo in gioventù. Hai venduto due milioni di copie di “Porci con le ali”.
Appunto. Me l’hanno fatta pagare.
Chi te lha fatta pagare?
La mia generazione. “Porci con le ali” è stato adorato dalle persone di cui non mi fregava niente e contestato dalle persone più importanti della mia vita di allora.
Tu fai parte di un “old girls net”?
I miei punti di riferimento sono donne non famose. Come una psicanalista freudiana, Manuela Fraire, femminista delle prime ore, una donna di una intelligenza incredibile. Ha un cervello che è come una lama di rasoio. Quando andiamo a cena insieme, lei parla ed io ed tiro fuori un taccuino e prendo appunti. Poi c’è Roberta Tatafiore, la persona meno moralista che io conosca. Una persona libera. Una donna bella e tosta. Vivace. Ma questo non è un “old girls net”.
Esiste un’”old girls net”?
Esiste una rete sul piano privato, se sei depressa, se ti ha mollato l’uomo.
Per gli uomini il network è pubblico e professionale, per le donne è privato e intimo.
Una rete di sostegno emotivo è molto più importante che non avere il posto nel giornale del vecchio amichetto. Hai meno soldi ma non ti butti dalla finestra.
Montefoschi è l’unico nonno che hai intervistato.
E l’unico che parla della morte. Perché è uno scrittore. Gli altri parlano della morte del padre, ma non della loro. Gli scrittori maneggiano continuamente questo materiale tossico. La vita, la morte, il tempo.
Gherardo Colombo l’hai definito l’unico di sinistra.
Forse perché non è un sessantottino. E’ uno che si pone il problema dell’egualitarismo, uno che considera Berlusconi uno degli orrori d’Italia.
Rinaldi è apparso il più cinico, o il più lucido.
O il più sincero. Acnhe io sono convinta che il 68 sia stato una palestra di potere. La selezione naturale ha fatto emergere i migliori, i più abili. Se tu vai a grattare un leaderino del 68, Lerner, Hutter, Viale, Sofri, Ferrara e tutti gli altri, puoi trovare una persona corrotta, un persona ambigua, una persona fragile. Ma mai una persona senza qualità.
Ma non c’erano solo sessantottini arrapati di potere. Io conosco molti leaderini, come li chiami tu, che non si sono arrampicati su presidenze, direzioni, assessorati. E non erano meno leader, non erano meno intelligenti.
Guarda che non sono nemmeno così arrapati di potere. Ma chi ce l’ha il potere in Italia? D’Alema ha il potere non Rinaldi. Non Mieli.
Ferrara dice che alla sua età si è praticamente morti, che si stanno giocando i tempi supplementari credendosi vivi. Che ormai non si conta più nulla.
Ferrara è una specie di genio. Se non campa mi dispiace. Anche se è un avversario. Dice una cosa interessante: che chi viene dal 68 non ci casca dentro nel potere. Un po’ come i soldi: ce li hai ma ne puoi fare a meno.
La Rasy ti ha detto che la vecchiaia le ha dato l’ironia. I giovani quindi non sarebbero ironici.
L’ironia è una conquista della maturità. Uno che è ironico da subito, come probabilmente è capitato sia a me che a te, è raro. I giovani si prendono sul serio.
Chi invecchierà meglio dei tuoi intervistati?
La Rasy sarà una vecchia affascinante. Non me la immagino grassa e cadente. Ha un’anima molto strutturata e attenta alla propria immagine che le ha permesso di fare un certo tipo di carriera senza sbagliare un passo e un’altra anima ascetica e segreta che le consente di salvarsi dall’inevitabile inaridimento di chi ha solo l’anima strutturata.
Poveri e ricchi, potenti e deboli invecchiano diversamente?
Chi è vecchio e povero è uno zero sociale. Se vedi un vecchio, bello, ricco e potente che scende da una Maserati accanto a una biondona, ti tranquillizzi e lo tratti meglio.
E’ stato proprio il 68 che ha voluto distruggere la leadership della vecchiaia. Questo disprezzo ce lo siamo trascinato dietro?
Si, e ci impedisce di invecchiare serenamente. La generazione che non sa invecchiare parte da lì. Noi abbiamo costruito un’immagine di maturità caricaturale per poterci esercitare al lancio delle freccette, esercizio in cui siamo diventati bravissimi. Quando abbiamo finito le freccette e ci siamo trovati al posto del bersaglio, la cosa ci ha fatto orrore.
Tu sei pentita del disprezzo con cui hai trattato i tuoi genitori?
Quella generazione era analfabeta dal punto di vista psicologico. Non avevano un rapporto corretto con i figli. Non si mettevano mai dal nostro punto di vista. Il loro unico problema era proteggersi dall’ansia facendo finta di proteggerti dai pericoli. Era terribile. Hanno avuto quello che meritavano. Io non rimpiango niente delle mie lotte giovanili. Non solo: noi abbiamo avuto una funzione educativa nei confronti dei nostri genitori. Li abbiamo migliorati. Mia madre, quando mio figlio ha occupato il Mamiani, ha fatto la torta di mele per il servizio d’ordine.
Invecchiando si modera anche la moderazione
Il tempo è un grande democratico.
Gli uomini si ribellano alla vecchiaia mettendosi con amanti giovanissime o comprandosi la motocicletta. Protesi. Però anche le donne usano protesi. Il lifting per esempio. La Nirenstein, con te, lo ha teorizzato.
La Nirenstein è una di quelle donne che possono farlo o non farlo. Nulla cambierà in lei. Quelle che mi fanno pena sono le donne che pensano che il lifting serva a riconquistare la giovinezza. Io sono contraria al lifting, ma non giudico male le donne che lo fanno nel modo giusto dichiarando di averlo fatto e dichiarando la loro età. Le bamboline in frigo sono delle donne deboli. Le donne forti possono farlo il lifting. C’è la differenza che passa tra farsi due tiri di coca ed essere una tossicomane.
Quali sono le persone che frequenti?
Giuseppe Bertolucci e Nicoletta Braschi. Nicoletta è unica, un prototipo, non è di serie. Io entro in relazione di lei con incantamento. E’ intangibile, legge moltissimo, ha tempi lenti, non è mondana. Ha una personalità cristallina. Il fatto che abbia dieci anni meno di me non è un problema. Con Bertolucci ho lavorato molto. E’ più facile avere un rapporto con un uomo se passa attraverso il lavoro, se è un lavoro creativo.
La Rodotà ti ha fatto il solito pianto della donna single con figlio e della fatica del doppio lavoro. Ma quale doppio lavoro? Il doppio lavoro lo fanno le mogli, che hanno il figlio ma hanno anche il marito. Avere un figlio è la cosa più bella che possa capitare a una persona.
A me piacerebbe moltissimo vivere da sola con mio figlio. Ma ho tutta la cultura occidentale contro. Anche io non sopporto più il pianto dele donne. Penso che vivere da donne è faticoso ma per altri motivi che non sono i piatti da lavare o i figli da allevare.
Quando sarai veramente vecchia?
Quando la paura di dire cazzate sarà più forte della voglia di parlare. Spero di morire un secondo dopo. Oppure quando il mio corpo non mi seguirà più.
E dal punto di vista intellettuale? Si diventa vecchi anche rimbambendo.
No. Se un vecchio ha il cervello che non funziona, è perché non gli funzionava nemmeno da giovane. Non ho paura di rimbambire. E’ come la cellulite. Se non mi è venuta finora non mi verrà più.
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