- 4 Settembre 2003
"D’accordo per l’intervista, ma non voglio fare il gioco della torre". Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista, non vuole buttare giù nessuno, nemmeno per gioco. "Ho impiegato tanto tempo e tanta fatica per passare dalla categoria del nemico alla categoria dell’avversario", spiega. "Una persona può avere anche idee politiche schifose e repellenti. Ma in un angolo magari conserva qualcosa di interessante. Potrebbe essere pessimo politicamente ma gradevolissimo per prendere un caffè, fare due chiacchiere o giocare a bocce".
Sembra l’immagine della Roma inciuciona. Fascisti e comunisti che si scannano in Parlamento e poi tutti insieme, alè, all’osteria.
"No, resta la radicalità della critica delle idee. Sulle idee sono implacabile".
Rovesciamo il problema. Nel gioco della torre tu vieni sempre salvato. I peggiori voltagabbana dicono di te: "È coerente".
"In un Paese in cui la cifra dominante è il trasformismo io ho un largo tasso di simpatia ma purtroppo prendo pochi voti. Perché?".
Ecco perché?
"A volte è rancore diretto, personale".
Certo: hai fatto cadere il governo Prodi, hai favorito il ritorno di Berlusconi al governo?
"Un pezzo di intellettualità italiana mi odia per questo. Ma è anche vero che un certo rigore e lo stare dalla parte degli ultimi fa sì che il mio indice di gradimento sia abbastanza alto. Per la stessa ragione però vengo considerato fuori dal gioco. Cioè: sono simpatico ma strano. Se fossi un po’ più dentro il mondo trasformista, magari sarei meno simpatico ma avrei più consenso".
Simpatia e riconoscimenti di rigore e di coerenza ti arrivano da destra.
"Faccio l’avvocato del diavolo contro di me: agli occhi della gente di destra sono così diverso che non costituisco una minaccia immediata. La coerenza, il rigore, l’incorruttibilità, fanno sì che non vengo considerato pericoloso".
Fassino, nel suo libro Per passione, puntualizza che la responsabilità della caduta di Prodi nel ’98, "è stata esclusivamente del Prc di Fausto Bertinotti".
"Naturalmente, al contrario di Fassino, penso che la rottura sia tutta responsabilità del centrosinistra.
Ma te lo rimproverano ancora?
È un fenomeno molto cicatrizzato, ma la cosa è stata drammatica, asperrima, dolorosa, una lacerazione dei tuoi rapporti col vicino. Ho provato l’aspetto del mondo di sinistra al quale appartengo, l’intolleranza".
Reazioni personali?
"Soprattutto da parte dei ceti intellettuali. Con i proletari lo scontro era più diretto e meno ricattatorio. Ma ci sono state case di amici, lungamente frequentate, che si sono del tutto chiuse. Una sorta di espulsione da parte dei ceti borghesi intellettuali in preda allo stalinismo più truce".
Di stalinismo sei sospettato tu.
"Nessuno mi accusa di stalinismo".
Armando Cossutta?
"L’atteggiamento di Cossutta nei miei confronti è una patologia. Ormai l’unica ragione per cui Cossutta parla è per attaccare Rifondazione. Il fatto che io abbia guadagnato la maggioranza di un partito che lui considerava suo l’ha vissuto come un’onta irreparabile. Ma, tranne lui, nessuno mi definisce stalinista. Quel poco di residuo staliniano che poteva essere in Rifondazione lo abbiamo sradicato dalle fondamenta".
Parliamo di voltagabbana.
"Voltagabbana è il titolo di un libro di Davide Lajolo in cui parlava del suo passaggio da combattente con le forze fasciste alla militanza nella Resistenza. In quel senso eccezionale e drammatico è l’unico caso in cui il termine voltagabbana ha un suo tratto di nobiltà perché c’è dentro tutta la drammatica torsione del cambiamento".
C’è anche il caso di Lucio Colletti.
"Colletti è stato per molti di noi un punto di riferimento importante nella ricerca politica. Poi ce lo siamo ritrovato in Parlamento dalla parte di Berlusconi. Che cosa, almeno a me, non faceva usare il termine di voltagabbana con il connotato di invettiva nei suoi confronti? Il carattere eccezionale del passaggio, la percezione di un dramma intellettuale che vive una crisi del suo impianto teorico. Approdare al proprio contrario quasi per irrisione e demolizione di sé. Nel caso di Lajolo, chapeau. Nel caso di Colletti, pietas. Ma in tutti gli altri casi mi pare un fenomeno tanto più criticabile quanto più avviene in direzione dei vincitori, senza dar conto a nessuno del proprio cambiamento".
E il caso di Norberto Bobbio che ha confessato a Pietrangelo Buttafuoco, per il Foglio, i suoi rapporti con il fascismo?
"Quando si parla di voltagabbana dobbiamo fare riferimento a quelle situazioni in cui le scelte non comportino particolari prezzi da pagare. Nei regimi oppressivi come il fascismo c’erano zone grigie in cui persone che pure non militavano con il fascismo non hanno scelto coraggiosamente la strada dell’opposizione. Per un intellettuale sarebbe richiesta coerenza. Tuttavia sarei attento a usare la categoria del voltagabbana".
Perché si tende a dare del voltagabbana a chi abbandona la sinistra per la destra e non per il passaggio contrario?
"La destra non è uguale alla sinistra. Per me e per la mia storia un certo passaggio significa giustizia, eguaglianza, libertà. Il passaggio opposto significa oppressione".
Non si potrebbe essere più neutrali?
"No. Sono uomo di parte. È buono il passaggio verso la liberazione e non il contrario. Debbo però riconoscere che per fare questo discorso partigiano bisogna appoggiarsi su un’ideologia. E infatti il discorso contrario lo fa chi non ha un fondamento ideologico".
Il caso peggiore di voltagabbana?
"Nomi non ne faccio. Ma il voltagabbana nell’accezione più deleteria del termine è il sindacalista che diventa capo del personale".
È vero che lo sciopero ti dà gioia e allegria?
"Come si fa a pensare il contrario? Io di scioperi ne ho visti tantissimi, anche di problematici e difficili. L’aria che si respira è sempre di liberazione, di gioia per avere conquistato uno spazio di libertà".
Passiamo all’adulazione.
"È un fenomeno di degrado delle relazioni umane, una vera schifezza. Ma solo quando significa servilismo. Ci sono al contrario forme di adulazione che possono essere veri e propri atti di amore e di complicità. L’adulazione può perfino essere un medicinale. Se a una persona che non ha un aspetto gradevole dico che è molto bella, la aiuto a vivere".
La peggiore forma di adulazione?
"Quella nei confronti degli ordini sociali esistenti. Ha a che fare con l’idolatria, come la spasmodica ricerca di un prodotto che ti nobiliti attraverso la sua griffe dorata. Adulare la cosa. Molto più travolgente e grave che adulare le persone. Adulo la Ferrari Testa Rossa perché mi ritorna in termini sociali".
L’adulazione è frequente anche a sinistra?
"L’adulazione è un vizio connesso al potere. Quindi è sempre di destra anche quando il potere è di sinistra. Qualche volta tocca anche giganteschi intellettuali. Jean Paul Sartre, in polemica con Camus, spiegò che non criticava Stalin solo per non creare difficoltà agli operai".
Se l’amore non è adulazione, Bondi e Fede, che amano Berlusconi, non sono adulatori.
"Se ami disinteressatamente devi toglierti dalla dimensione mondana e secolare. Padronissimo di sperticarti in elogi a Berlusconi. Ma allora non fai il direttore del Tg4 o il portavoce di Forza Italia".
C’è adulazione in tv?
"Sì, soprattutto nei conduttori di Tg apparentemente asettici. Il conduttore che dice con tono di approvazione determinate notizie, che annuisce con la testa. Questa cosa si notava molto con i governi di centrosinistra".
Fammi un esempio.
"Quando abbiamo rotto con Prodi è stata incredibile l’enfasi che certi conduttori del Tg3 mettevano nelle scomuniche e il pathos con cui comunicavano gli appelli, come quello di quell’attrice che dichiarò: "Fausto, non farlo"".
Tu sei adulato dalla destra.
"No".
Luca Telese, sul Giornale, ti ha fatto 26 interviste dall’inizio dell’anno. Il quotidiano di Berlusconi, ti dà molto spazio. Come le reti Mediaset, d’altronde.
"Io non nego che un avversario tenda ad utilizzare le contraddizioni interne dello schieramento opposto. Però facciamo il confronto tra il numero di interviste che Telese ha fatto a me e quelle che ha fatto a Cofferati. Vedrai che non fa differenza".
Non vai d’accordo con Cofferati.
"Stupidaggine! Stupidaggine! Io e Sergio siamo diversi. Io sono di scuola metalmeccanica e lui di scuola chimica. Io sono sempre appartenuto alla sinistra sindacale e lui alla componente centrista. Ma siamo stati compagni di banco nella segreteria della Cgil".
Dove tu eri per il conflitto e lui per la mediazione. Lui faceva gli accordi e tu glieli bocciavi.
"Ma no! Può essere successo una volta. Avemmo spesso scontri di linea ma sempre di grande correttezza".
Dicono che il referendum sull’articolo 18 ti è servito per staccare Cofferati dalla Cgil.
"Questo è falso. Basta vedere le date. Prima c’è stata la convocazione del referendum, poi il pronunciamento della Cgil, infine il pronunciamento di Cofferati. Che c’entro io?".
Alla Festa di Rifondazione, quella di Castel Sant’Angelo, tu e Cofferati avete litigato.
"Abbiamo dibattuto in modo molto cortese. Litigare non è nel suo stile. Né nel mio".
Ho visto una vignetta di Vauro in cui ci siete tu e Fassino e la dicitura dice "Opposti isterismi".
"Le cadute di stile e le volgarità sono pane quotidiano".
Di Vauro o di tutti?
"Non di tutti, di qualcuno".
È la satira.
"C’è anche la satira volgare".
Chi ti piace?
"Altan, Giannelli, ma soprattutto Bucchi. È fantastico!".
E Forattini?
"Forattini è una volgarità continua".
Una volta eri molto filocubano.
"Lo sono ancora".
Una volta andavi da Vespa e prima ancora della prima domanda, dicevi: "Viva Cuba!". All’ultima manifestazione per Cuba, in prima fila c’era Oliviero Diliberto e tu no.
"Ho un atteggiamento critico nei confronti dell’uso della pena di morte".
Anche tu come Saramago?
"Io non dico come lui: "Mi fermo qui". Io continuo a stare con Cuba, ma rifiuto l’idea che per stare con Cuba bisogna tacere i dissensi oppure che per fare valere i dissensi bisogna essere contro Cuba".
Da giovane eri un pessimo studente. Ti sei diplomato all’età in cui generalmente ci si laurea.
"Avevo altri interessi. Mi sono costruito un corso parallelo a quello del mio pessimo corso da studente. Mi bocciavano regolarmente ed io me ne tornavo in biblioteca a leggere le mie cose, cinema, filosofia, con grande dispiacere di mia madre".
Ti contestano di non aver mai lavorato in fabbrica.
"Chi mi rimprovera di non aver lavorato, non conosce la storia del sindacalismo italiano, gremito di intellettuali o di dirigenti politici che sono diventati dirigenti sindacali. Luciano Lama dove ha lavorato? Bruno Trentin dove?".
Dicono anche che parli troppo difficile. Sei un rappresentante della gente semplice. Dovresti parlare semplice.
"Mi sono stufato di considerare gli operai degli imbecilli".
Giancarlo Perna, sul Giornale, ha citato alcune tue frasi di difficile comprensione anche per chi non è imbecille. Tipo: "L’economicismo non si presenta più come un atteggiamento povero di antagonismo reale, ma si trova costretto a scegliere drasticamente tra la subalternità compatibilistica e l’urlo comparativo".
"Avete mai provato a leggere qualche pezzo dell’Ordine nuovo di Gramsci? Questa critica è populismo marcio. Perché essere semplici?".
Per farsi capire.
"A forza di essere semplici, si diventa banali e quindi oscuri. Quello che decide è il pathos, il rapporto di connessione che tu hai con la gente. Ti leggono in faccia, ti guardano negli occhi. È una stronzata contare le parole che entrano nella testa di chi ascolta. Sei tu che devi entrargli in testa. Le parole hanno una seconda vita".
Alberto Statera ha scritto di te: "È uno snob che gode ad essere aristocraticamente anti-storico e possibilmente minoritario". Ma a te non piacerebbe andare al governo?
"Altroché! Mi piacerebbe un bel governo monocolore comunista. Io non godo nello stare all’opposizione".
C’è un rimprovero che ti fai?
"Dopo i famosi 35 giorni della Fiat ho tentato di spiegare in modo ambiguo e un po’ ipocrita che era un arretramento strategico. Invece era una sconfitta. E di fronte a una sconfitta bisogna dire: "Abbiamo perso"".
Una volta Bossi ha detto di te: "Gli operai gli daranno quattro legnate".
"Beh, io sono in politica davanti ai cancelli delle fabbriche da 40 anni, ed eccomi qua".
Mai nemmeno un fischio?
"Credo proprio di no. Sfido con orgoglio chiunque altro a stare insieme a me davanti ai cancelli di Mirafiori, chiunque".
Anche Cofferati?
"Chiunque. Non ho difficoltà ad andare davanti ai cancelli quale che sia il compagno, l’avversario, l’interlocutore".
Contestano la tua mondanità. Vai alle feste di Mario D’Urso, di Elisa Olivetti, eri amico di Antonio D’Amico. Adori frequentare i ricchi.
"Potrei enumerare gli amici di estrazione popolare con cui vado a cena la sera. Io sono comunista, sono contro il capitalismo, frequento tutti i luoghi del mio tempo e del mio spazio. Tutti. Sono sicuro della mia integrità, non ho nulla da farmi perdonare e non temo la contaminazione. Ci sono delle persone che io rispetto al di là della loro collocazione sociale. Tra queste le persone che hai nominato".
La curiosità è: perché?
"Perché mi interessano le persone svestite delle loro insegne sociali. Quando si incontra un comunista che conosce le buone maniere e intrattiene relazioni anche con coloro che neanche appartengono alla sua classe sociale, curiosamente questo diventa una grave colpa. Si preferisce il comunista trinariciuto, privo della capacità di usare il congiuntivo, povero, straccione, sporco".
Che cosa rispondi quando qualcuno dice: non esistono più la destra e la sinistra?
"Rispondo: andate davanti a quelle schifezze che sono i call-center. Sono stato a Bologna due o tre volte con i giovani dei call-center. Sono proprio gli stessi che vediamo nelle manifestazioni dei no-global, stessa fisiologia, stessi tratti somatici. E sono tantissimi. Sono la nuova classe operaia".
Classe operaia è una parola che non si usa più.
"Classe operaia e padrone. Ma io le uso ancora. Sono la mia storia. Io non so vedere il mondo se non ho il padrone e la classe operaia. Sono i miei occhiali. Senza, non capisco niente. Però se voglio parlarne con un ragazzo di 15 anni le devo rideclinare".
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