- 22 Febbraio 2002
Stenio Solinas lo ha inserito in Giganti di carta, un libro che celebra i grandi del giornalismo, accanto a Eugenio Scalfari e ad Alberto Ronchey. Eppure lui, Mattia Feltri, figlio di Vittorio Feltri, è l’ultimo arrivato, uno degli ultimi, nell’affollato e narcisistico mondo della stampa italiana. Ma i complimenti arrivano da tutte le parti. Ferdinando Adornato, su Liberal, lo ha definito «una delle penne più felici del giornalismo italiano». «Mi piace molto pensare che sia vero», si schermisce Mattia. Qualche sospetto di adulazione? «No», dice, «Ma il giudizio mi è sembrato un po’ eccessivo».
Si potrebbe pensare a una forma di «adulazione di sponda», che qualcuno voglia adulare suo padre adulando lui? «Qualche volta l’ho pensato. Ma di sicuro finora è successo il contrario». Cioè? «Che qualcuno ha elogiato me per colpire mio padre. Come ha fatto Barenghi sul Manifesto, scrivendo che io sono bravo, non come mio padre». Leccaculismo strumentale? «Un po’ cervellotico. Io spero di piacere a Barenghi, mi piace essere apprezzato. Ma se lo ha fatto per dare dello stronzo a mio padre, poteva farlo direttamente».
Il viaggio fra ruffianerie e adulazioni continua questa settimana con Mattia Feltri, 32 anni, inviato del Foglio di Giuliano Ferrara, autore ogni giorno di quelle quattro righe di satira che aprono la rubrica delle lettere al direttore. Quattro righe che per molti sono diventate un appuntamento quotidiano.
Mattia, che cosa è la piaggeria?
«Dipende. È anche una forma di rispetto. Io con il mio direttore Giuliano Ferrara ho un rapporto ottimo. Magari domani litighiamo, ci diamo dello stronzo e non ci frequentiamo più. Ma mai potrò parlare male di lui perché comunque è quello che mi ha salvato la vita, che da stronzetto mi ha fatto diventare un vero giornalista. Nei suoi confronti avrò sempre rispetto. Qualcuno lo scambierà per adulazione».
Vorrei parlare dell’adulazione vera.
«Quella di chi ride eccessivamente alle tue battute? Adulazione brutta meschina, miserabile. Quella di chi dice: "Il tuo articolo è un capolavoro!"».
Diciamo la parola: leccapiedi, ruffiano, lustrastivali. Però, scrive Richard Stengel nella sua Breve storia della piaggeria, è un reato senza vittime e senza danni?
«Non fa danni ma avvilisce. Hai letto l’intervista che ha fatto Enrico Cisnetto su Capital a Piero Fassino? Il leader del più grande partito di opposizione, il partito che ha le sue radici nella classe operaia, dice: "Gianni Agnelli? Un interlocutore imprescindibile. Romiti? Ha salvato la Fiat". E giù a incensare i maggiori esponenti del capitalismo italiano. Quello è un fenomeno, quell’altro è un genio, quello ha la mano salda. Il lettore rimane avvilito».
Tu hai conquistato il pubblico con la tua letterina. Se qualcuno ti telefona e ti dice che sei veramente bravo, ti viene il sospetto di essere adulato?
«Sì, il sospetto mi viene. Qualche volta mi fanno passare per George Bernard Shaw».
Ci sono dei luoghi dove l’adulazione alligna di più?
«Nei Palazzi di Giustizia. Ho fatto un paio di anni cronaca giudiziaria, ai tempi di Tangentopoli. Se nei corridoi incontravi Borrelli e gli dicevi: "Buongiorno Borrelli", quello neanche si fermava. Dovevi dirgli: "Buongiorno dottor Borrelli"».
Non era un dramma.
«Ma era ridicolo. Solamente i tassisti di Roma ormai ti chiamano dottore. L’atteggiamento verso i pm è sempre stato sussiegoso. Di un avvocato puoi scrivere tutto. Ma se scrivi che l’accusa ha sbagliato la requisitoria, hai chiuso. Quello non ti parla più. E le notizie te le scordi».
E tu?
«Io ho cercato di non sottomettermi nei pezzi. Ma nei rapporti umani ho dovuto farlo, altrimenti non avrei potuto fare il mio mestiere. "Buongiorno dottor Borrelli". Anche io come tutti».
Nelle riunioni di redazione che ruolo gioca la piaggeria?
«Quando lavoravo al Giornale di Bergamo era imbarazzante. C’era da vergognarsi per come veniva adulato Pippo Corsentino, il direttore, per poi parlarne male nei corridoi. Il più adulato di tutti fu Giampiero Borghini, l’ex sindaco di Milano. Venne accolto come fosse Montanelli. Una volta fece una riforma grafica. Tutti facevano a gara per pronunciare l’elogio più sperticato.
"Questo ‘bastoni grigio’, cazzo!, ci ha risolto un problema! E le foto? Avete visto le foto?". Lo stesso Borghini era imbarazzato».
Il Giornale di Bergamo è stato il tuo primo lavoro?
«Sì. Era l’88, avevo 19 anni e facevo l’università. A casa mi lamentavo perché non avevo soldi. Mio padre, che aveva diretto il Giornale di Bergamo, chiese di farmi collaborare. Cominciai con l’inserto per le scuole medie. Poi ho fatto sport, cronaca nera, politica. Dopo quattro anni, nel 1992, mi hanno assunto».
Ti facevano pesare il fatto di essere il figlio di Vittorio Feltri?
«Certo, battutina, commenti».
Ti assunsero al Giornale di Bergamo perché eri il figlio di Feltri?
«Ho avuto la netta sensazione che i capi non fossero d’accordo sul mio nome. Ma l’editore era Ciarrapico ed è umano che Ciarrapico, se deve assumere uno, a parità, preferisce quello che si chiama Feltri a quello che si chiama Frinquellini».
Che cosa ricordi di Bergamo?
«La stalla con le mucche, il cavallo Miguel, il cane, i prati, le gite in bicicletta, i contadini che ci sparavamo a sale quando rubavamo le pannocchie. Una vita libera, ma triste. Fisicamente stavo bene. Psicologicamente male».
Male perché?
«Perché i bambini hanno un sacco di domande e nemmeno una risposta».
Padre assente?
«Eravamo una famiglia numerosa. Mio padre doveva lavorare sodo. Però la sua assenza la ricordo perfettamente. E ricordo anche che mi disturbava molto il suo rientro in famiglia, quasi sempre brusco nei miei confronti perché io non ero uno studente modello. Pensavo: "Mio padre torna a casa soltanto per darmi del pirla?". Però poi si andava a cavallo assieme o allo stadio: erano momenti meravigliosi».
Amici?
«Il più caro era Alessandro Dell’Orto. Era al ginnasio con me. Ora è responsabile dello sport a Libero, il giornale di mio padre».
L’hai raccomandato tu?
«Mio padre lo aveva spinto a dimettersi dal Giornale di Bergamo. Poi si è ricreduto e lo ha assunto a Libero. Da un po’ di tempo quando fa una cazzata lo riconosce».
Gli amori?
«Non ho mai avuto il mito della scopata. Non sono stato uno precoce. Forse per timidezza. Non ho avuto molte storie».
La prima?
«Una mia compagna di università, ma niente fuoco e fiamme, non mi ricordo nemmeno il nome».
Non ti sei mai innamorato?
«Il sentimento più forte l’ho avuto per una ragazza con la quale non sono mai stato. Faccio un po’ fatica a innamorarmi perché mi piace molto stare da solo. Le mie storie sono sempre brevissime. Qualche settimana. Poi mi annoio. La storia più lunga è stata di un anno».
Un record. Come si chiamava?
«Alessandra. Carina, simpatica, gradevole. Una sera mi ha detto: "Quando noi discutiamo, hai sempre ragione tu e mi fai sentire una cretina". E allora ci siamo lasciati. Io non posso stare con una che si sente cretina quando parla con me».
Tu sei un adulatore?
«In una certa misura credo di sì. Per le mie letterine ci sono alcuni articoli che non leggo nemmeno, Scalfari per esempio, o Biagi, o Bocca. Non voglio avere la tentazione di prenderli in giro».
Hai mai polemiche con i colleghi?
«Quando ho scritto un pezzo sul giornalismo in tempo di guerra se l’è presa molto Augusto Minzolini. Mi ha scritto una lettera in cui metteva il mio cognome in minuscolo».
Già ti chiamano «feltrino»?
«Feltrino mi piace. Mi fa sentire ragazzino. Ma Minzolini ha scritto il mio cognome in minuscolo. Troppo facile, sono capaci tutti».
Perché ce l’aveva con te?
«Avevo scritto che scriveva i pezzi dagli Stati Uniti come se fosse alla bouvette della Casa Bianca, nel senso che ha sempre quell’eterno stile da cronista parlamentare. E lui mi ha fatto tutto un panegirico per dirmi che aveva girato il mondo».
Chi altri si è arrabbiato per quel tuo articolo?
«Mario Giordano: non avevo citato il suo tg. E ha scritto una lettera a Ferrara. Non mi è piaciuta perché usava un tono di eccessivo distacco: noi due ci conosciamo bene, abbiamo lavorato anche insieme».
Sai: da direttore a direttore.
«Va bene. Ma cerchiamo di volare basso. Lui voleva volare alto».
Domanda tremenda: sei meglio o peggio di tuo padre?
«Non vorrei dare una risposta dorotea. Per un certo periodo ho scimmiottato lo stile di mio padre, però credo di essermi accorto abbastanza presto che era una stronzata. Adesso abbiamo due modi diversi di scrivere e di affrontare i problemi».
Hai ragione, risposta dorotea.
«Era più forte Tassotti o Evani? Tassotti faceva il terzino, Evani faceva l’ala. Io credo di avere delle caratteristiche diverse da mio padre. Alcune migliori e molte peggiori».
Dimmi la migliore.
«La capacità di sprofondarmi in una storia per raccontarla. Mi piace entrare in pieno in una storia, innamorarmene talmente che, quando la scrivo, scrivo di me».
Chi sono i leccapiedi italiani?
«Sicuramente non lo è Emilio Fede».
Perché no?
«Fede è assolutamente allo scoperto. Il Tg4 è come Alè Toro, la rivista dei tifosi del Torino. Sarebbe ridicolo che Alè Toro fosse diretta da un tifoso della Juventus. A proposito di Juventus, un bel ruffiano è Walter Veltroni. È juventino e si è messo la sciarpa della Roma».
Altri lustrastivali?
«Tutta questa pletora di persone che girano attorno a Berlusconi: specialmente i parlamentari, Schifani, La Loggia, Vito, Pisanu. Schifani che dice che Berlusconi è un premier alto? Ma non può dirlo. Lo devono dire gli altri. In Forza Italia pochi si sottraggono alla piaggeria».
Gianni Letta?
«Gianni Letta è un ottimo professionista che lavora dietro le quinte. Indispensabile per Forza Italia».
Chi sono gli attira-piaggerie?
«Berlusconi. Però se qualcuno non lo adula, magari si secca un po’, ma alla fine sopporta».
Veramente, chi lo critica viene marginalizzato.
«Questo vale anche per Agnelli. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui dicono che è impossibile lavorare a Torino se ti sei messo di traverso. Forse la differenza è che Berlusconi le piaggerie le premia, mentre Agnelli le considera dovute».
Ferrara è un attira-piaggerie?
«Assolutamente sì, come tutti i personaggi istrionici. Quando viene a trovarlo qualcuno, il trasporto è sempre eccessivo. Ultimamente anche da parte degli avversari politici».
Ci sono anche quelli che si sovraestimano e si leccano i piedi da soli.
«In prima fila i calciatori. Se chiedi un’intervista a un attaccante della C2, sembra che la stai chiedendo a Garcia Marquez. Ma il peggio è Cristina d’Avena. Talmente piena di sé che una volta le ho chiesto un’intervista e poi non l’ho fatta».
Tu sei presuntuoso?
«Tu adesso mi stai intervistando per Sette. Potrei alzare la considerazione di me stesso. Ma ho un cugino, Alberto, che tutte le volte che gli parlo di qualche mio piccolo successo, mi dice: "Ricordati che sei della Val Seriana". Me lo dice in dialetto e io in quel momento, taci!, torno coi piedi per terra».
Hai un tuo personale leccapiedi?
«Lo ho avuto. Ho avuto il forte sospetto di essere molto adulato da uno che poi è andato a lavorare a Libero, su mia segnalazione».
Come hai fatto a capirlo?
«Appena aprivo bocca rideva un quarto d’ora».
I premi giornalistici sono una forma di piaggeria?
«Piaggeria imbarazzante. Che senso ha premiare Ferruccio de Bortoli, Paolo Mieli, Enzo Mauro, Giorgio Bocca? Bisogna premiare Marco Imarisio che ha fatto pezzi fantastici durante la guerra, Gaia Piccardi che fa cronache sportive meravigliose, Concita De Gregorio che è la più spiritosa di tutti».
Qual è stato il tuo itinerario politico?
«Ai tempi del liceo, un paio di mesi con gli studenti di sinistra».
Non granché.
«Organizzavamo gli scioperi, uscivamo in mille da scuola e ci ritrovavamo in piazza in cinquanta. Tutti gli altri a giocare al biliardo. Dopo un po’, sono andato a giocare al biliardo anch’io».
Poi?
«Ho votato Lega nell’89-’90 quando era una botta al sistema politico. Adesso voto per quello che passa il convento. Cioè tutto purché vinca Berlusconi. Ma al mio paese non voterei mai Forza Italia. Voto Ds, c’è un sindaco bravissimo».
Sono più ruffiani a destra o a sinistra?
«A destra. Chi contesta Bossi viene cacciato, quelli che criticano Berlusconi finiscono ai margini come è successo a Colletti. Non possono che emergere i leccaculo».
Si trova molta adulazione anche nel mondo della televisione.
«Ma la situazione si è ribaltata. Una volta i conduttori leccavano le scarpe dei politici. Adesso i potenti sono loro. E i politici sono i leccapiedi. Hai visto da Vespa? Lo corteggiano, si lasciano interrompere, lo riveriscono. "Dottor Vespa mi consenta"».
Giornalisti politici, sportivi e mondani. A chi va la palma della piaggeria?
«A quello sportivo. A cena ti racconta tutto. Quei due sono omosessuali, questo non gioca perché ha rubato il parcheggio all’allenatore, quello scopa con la moglie del portiere, quello col cazzo che non gioca perché ha la pubalgia, in realtà ha avuto dei contatti con il Real Madrid e il presidente gliela fa pagare. Ma sui giornali niente. Sui giornali le notizie sono: "Dedico il gol a mio cugino" o: "La formazione la decide il mister". Leccaculismo da silenzio. Ma anche la moda. Si diventa parte di un’élite, si va alle sfilate, ti arriva a casa il cappottino. Ieri ho letto un pezzo di Natalia Aspesi che per spiegare una sfilata di moda ha tirato in ballo Tolkien, Harry Potter, l’uomo che non gli tira più, e le donne in carriera che spaventano gli uomini».
Se ti dicessero: avrai il successo però una leccatina la devi fare?
«La domanda è un po’ vaga».
La proposta indecente. Ti dicono: «Puoi diventare direttore della Stampa se la smetti di parlar male della Fiat». Che fai?
«Io al Foglio vivo benissimo, la qualità della vita è stupenda e scrivo le cose come piacciono a me. Per me è il massimo. Ma certo, ad alcune cose non si può dire di no. E in questo caso è ovvio che mi tratterrei dal fare articoli su Agnelli».
Piccoli livelli di piaggeria?
«Ma chiamiamoli anche grandi livelli di piaggeria».
Piaggeria !!!!
Presunzione !!!!
Banalità !!!!
L’intervistatore
L’intervistato
L’articolo