- 12 Febbraio 1993
Lei mente mai?
Io non mento mai. Posso essere reticente. Posso non dire. Ma non mento.
Che cosa pensa del giornalismo italiano?
Mi piacerebbe un giornalismo più analitico e meno militante. In Italia ci sono tante anomalie strutturali e di comportamento. L’anomalia strutturale è la proprietà industriale e quella dei giornali coincide. L’anomalia di comportamento è che alcuni giornali sono protagonisti della lotta politica.
Quali?
La Repubblica e il Giornale di Montanelli. Scalfari e Montanelli direttori all’antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell’ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutti.
Gli altri?
Il Corriere della Sera, la Stampa ed anche il Messaggero hanno una loro filosofia ma non sono protagonisti della lotta politica. Mieli (Corriere della Sera) e Mauro (Stampa) sono direttori più moderni, sanno che un giornale è come un orchestra. Suonano strumenti diversi e cercano di coordinarli senza pretendere di imprimere l’impronta della loro personalità dalla prima alla ultima pagina.
Lei non risparmia critiche alla Repubblica…
Repubblica è un partito irresponsabile. Fa lotta politica ma non ne risponde di fronte all’elettorato.
A lei non è simpatico il direttore, Eugenio Scalfari…
E’ un giornalista trimezzato. Un terzo giornalista, un terzo uomo politico, un terzo uomo d’affari.
Ma Scalfari è bravo?
Scalfari è molto bravo. Se dovessi dargli un voto darei 10 come uomo d’affari. Otto come giornalista. Cinque come uomo politico perché non ne ha mai indovinata una.
Lei ha detto che l’Unità è più pluralista della Repubblica…
Era una battuta, paradossale ma vicina alla verità. Scalfari è un direttore padrone che dà una linea assolutamente omogenea, fermissima, dalla prima pagina sino all’ultima, dal primo titolo fino all’ultimo. Walter Veltroni, il direttore dell’Unità, è il capo di un giornale di partito nel quale convivono comunisti non pentiti, liberaldemocratici e socialdemocratici.
Non le sono simpatici nemmeno i grandi del giornalismo italiano. Bocca, Biagi, Montanelli, Scalfari, Pansa: lei li ha definiti barbagianni del giornalismo, vecchi che hanno cavalcato tutte le mode.
E’ una battuta che non vorrebbe essere offensiva. Nasce da una constatazione: le classi dirigenti devono avere un ricambio. Ma questo vale anche per gli opinion leaders. E’ una cosa anomala che pontifichino per decenni.
Montanelli…
Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. E’ stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. Ricordo le sue battaglie contro Mattei, contro l’Eni, agli inizi degli anni Sessanta che erano precisamente delle battaglie di destra. Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra.
E Biagi?
Biagi è meno caratterizzato politicamente. E’ sempre stato un giornalista che ha fiutato con grande abilità l’animus del momento, dell’opinione pubblica e lo ha cavalcato.
Bocca?
E’ stato sempre collocato a sinistra. Adesso usa un argomento che non avrebbe dovuto usare: è crollato il comunismo e inevitabilmente deve crollare anche il socialismo democratico. Si dimentica che lui e il suo giornale hanno aggredito i socialisti mentre poverini tentavano di contrastare il comunismo.
Perché ce l’ha tanto con Bocca e gli altri?
Rappresentano un’altra anomalia: le rubriche fisse nelle quali si deve necessariamente compiere una aggressione polemica. Bocca, Biagi, Pansa ogni settimana devono buttarsi in una rissa. A me piace invece il giornalismo di approfondimento.
Sull’Avanti, giornale sul quale avete un minimo di controllo, di giornalismo analitico se ne vede poco.
L’Avanti è un giornale di partito con mezzi molto modesti. Non si può immaginare che faccia ciò che non fanno i grandi giornali.
Comunque quando avete influenza sui giornali non fate grandi cose…
Io penso che i partiti debbano rifuggire con orrore dall’avere influenza sui giornali. I partiti si muovono con una logica che non è mai quella della professionalità. Provocano soltanto dei danni. L’unico caso di influenza forte del Psi su un giornale è stato quello dell’Europeo.
Non che sia andato molto bene.
No. Anche se penso che il direttore dell’Europeo si mosse con grande autonomia. Pirani non era uomo da accettare condizioni di sudditanza.
Che cosa pensa del Giornale di Montanelli?
E’ l’organo della destra italiana aggressiva e sofisticata.
E l’Indipendente?
Rappresenta una destra più ruspante ed aggressiva. E’ incredibile quello che è successo a questo giornale. Si voleva aprire una sala da thé per signore sofisticate ed è diventato un osteria.
La Stampa?
E’ un giornale con una impronta culturale liberaldemocratica che è stata mantenuta costante negli anni e anche una strana contraddizione. Da una parte è internazionale e di alto livello culturale. Dall’altra è fortemente provinciale.
Il Corriere della Sera?
Per chi è nato e cresciuto a Milano è sempre il primo giornale, il primo che si legge, il primo che si compra.
E nel resto d’Italia?
E’ pur sempre il giornale dell’ establishment che ha il peso maggiore nella società italiana, cioè il mondo industriale solido che c’era nel capoluogo lombardo. La Repubblica è invece l’organo di un gruppo di pressione politica e basta.
Il Manifesto?
E’ un giornale che mi piace molto. Con mezzi modestissimi fanno un giornale "contro".
Che cosa pensa dei settimanali?
I settimanali italiani non li leggo, li scorro. Io leggo quelli stranieri. Quante volte la copertina dell’Espresso o di Panorama introduce un argomento intelligente, fantasioso, che non riguarda l’attualità politica o l’evasione più banale? Solo scandali o nudi.
E’ meglio Panorama o l’Espresso?
Panorama. E orientato più dell’Espresso ad occuparasi di cose estranee al Palazzo. L’Espresso è diventato un O.P. di lusso, nel senso che è uno strumento di aggressione politica con mezzi scandalistici, tra belle fotografie e articoli su gente importante.
Mentre Panorama?
E’ più giornale. Forse più pettegolo.
A proposito di giornalisti che hanno cavalcato tutte le mode, il direttore che vi piace di più oggi, Paolo Liguori, nel ’68 era sulle barricate, oggi difende i socialisti dopo essere stato sbardelliano…
La generazione che aveva venti anni nel ’68 era più o meno tutta conquistata a quelle idee rivoluzionarie. Cionondimeno ne sono venuti fuori fior di professionisti, fior di intellettuali, di professori, la classe dirigente della cultura e del giornalismo italiano. Ferrara, Liguori, Mieli, Guzzanti, Rinaldi, tanti tanti, tutti.
Ma che cosa vi piace di Liguori?
Liguori è una voce anomala nel panorama dei media italiani che sono di una uniformità totale. Lo stereotipo uguale per tutti è: cattivo il politico, buono l’imprenditore, bravi i giornalisti che difendono la libertà, bene i magistrati che fanno pulizia e mettono in galera i politici.
Bene, la stampa è bocciata. E la televisione?
Io do un giudizio positivo di tutti i telegiornali della Rai e di Berlusconi. E anche di quello di Montecarlo.
Di tutti?
Si. L’informazione televisiva italiana è a un ottimo livello. Con un limite. Che i Tg sono stati affidati a giornalisti provenienti dalla carta stampata con la mentalità e la cultura della carta stampata.
Quale preferisce comunque?
Il Tg2.
Perché è socialista?
No, perché è quello in cui il peso dato alle notizie è più vicino a quello che io ritengo giusto. Poi il Tg1 perché è la tradizione, l’ufficialità. Quello di Fede mi pare che abbia una impostazione per niente di Palazzo, quindi ottima. Fede ha le antenne lunghe per cogliere i sentimenti dell’opinione pubblica. Il Tg3 è fatto molto bene e ha un ritmo molto sostenuto, ma è come la Repubblica, non c’è nulla lasciato al caso. Quasi tutto è mirato ad ottenere un risultato politico.
Lei dedica particolare attenzione alla Terza Rete…
La Terza Rete è stata un grande successo editoriale. E ciò è dovuto al fatto ha potuto utilizzare due straordinarie sinergie, quella con un mondo della cultura cinematografica, letteraria, artistica egemonizzato storicamente dai comunisti e quella col gruppo della Repubblica.
Che tipo di sinergia?
C’è una comune impostazione politica, una comunanza di obbiettivi politici e di conseguenza anche di personale. Risulta evidente come Terza Rete, Espresso e Repubblica marcino di pari passo spesso con gli stessi uomini. Barbato e la Palombelli. Galimberti e Fuccillo. E potrei fare anche altri nomi. Se uno spettacolo è della Terza Rete si può star sicuri che la Repubblica né parlerà bene e viceversa. Si è arrivati al punto che il direttore della Terza Rete Angelo Guglielmi vorrebbe venderla al gruppo Caracciolo.
Se dovesse scegliere oggi il presidente della Rai, chi sceglierebbe?
Potrebbe apparire fantasioso ma mi piacerebbe uno come De Rita.
Ma non è socialista…
Una grande azienda di informazione dovrebbe essere guidata da un uomo che conosce la società italiana senza lasciarsi influenzare dagli stereotipi descritti dai giornali.
E a capo del Tg2?
Io spero che mai più si debba nominare il direttore di un Tg con una indicazione prevalentemente politica.
Lei ha lottizzato?
No. Quando ho cominciato ad essere responsabile del settore dell’informazione del Psi erano state già fatte le scelte importanti.
Non ha mai indicato un giornalista, un direttore?
Ho raccomandato, indicato, consigliato molti giornalisti. Non sono mai stato così sprovveduto da indicarne di non socialisti o di antisocialisti, ma credo di avere sempre indicato degli ottimi professionisti. Nella mia carriera di direttore di giornali credo di avere sempre investito su uomini che erano prima professionisti e poi militanti politici: Massimo Fini, Roberto Pesenti, Marcella Andreoli, Gialuigi Da Rold, Walter Tobagi.
Quali giornalisti preferisce?
Quelli che intervistano e fanno inchieste. Guzzanti, Palombelli, Zucconi. Tra i commentatori, i professori universitari. Giovanni Sartori, Franceso Alberoni.
Che cosa sarebbe disposto a fare per Craxi?
Concludere la mia vita politica, se l’esser craxiano me lo chiede.
Ma se scoprisse che Craxi si è arricchito personalmente?
Questo fatto rompererebbe il vincolo di solidarietà.
Craxi è un nepotista?
Secondo me no. Col suo decisionismo ha arricchito i quadri dirigenti del partito imponendo persone che mai sarebbero riuscite a diventare dirigenti, come Acquaviva, Amato, Giugni, me. Scelte giuste fatte forzando il meccanismo democratico. Questo non è nepotismo.
E Bobo?
Ma è stato semplicemente eletto consigliere comunale. Mica è stato eletto deputato come il figlio di Ugo La Malfa o quello di Antonio Segni!
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