- 19 Settembre 2002
Chi fa la fronda da destra si confonde con chi fa la fronda da sinistra? Lo sapremo quando Antonio Polito, direttore, e Claudio Velardi, editore, manderanno in edicola Il riformista, il Foglio di sinistra, da Giuliano Ferrara soprannominato O riformista a causa del fatto che sia Polito, sia Velardi, arrivano dalla Campania. È un successo per la scuola napoletana, quel gruppo di giornalisti che dalla redazione locale de l’Unità si sono sparsi per i quotidiani italiani. «C’era Federico Geremicca, oggi capo della redazione romana de La Stampa», ricorda Polito, «c’erano Marco De Marco che oggi dirige il Corriere del Mezzogiorno, Maddalena Tulanti, capo dell’omologo giornale barese, Luigi Vicinanza, che oggi dirige la cronaca napoletana di Repubblica dopo essere stato vicedirettore de Il Mattino, Rocco De Blasi, oggi direttore del Salvagente e Franco Di Mare, inviato della Rai. C’era anche Michele Santoro, pro forma, perché non ha mai scritto una riga». Antonio Polito racconta la sua storia di un comunista in carriera e dice la sua su voltagabbana e leccapiedi.
Polito, eri un bassoliniano?
«Bassolino era il nume tutelare di molti giovani napoletani. Una delle ragioni per cui fui scelto come capocronista, perché piacevo a Bassolino».
Bassolino era ingraiano.
«All’inizio. Si batteva contro la destra, Chiaromonte, Napolitano, Valenzi, Andrea Geremicca».
Fu una bella lotta.
«Amendoliani contro ingraiani. Comunismo liberale, borghesia colta, sofisticazione intellettuale, contro la plebe, demagogica, barricadiera. Poi arrivò Bassolino».
Non più di sinistra.
«Non è mai diventato un destro. All’inizio mentre Valenzi trattava con il Pri e il Psdi, Bassolino diceva: “Niente compromessi, pensiamo alle masse”. Ma quando è stato chiamato a governare ha dovuto fare i conti con la realtà».
È sempre così.
«Il primo giorno da sindaco terrorizzò i dipendenti comunali, centinaia di nullafacenti che stazionavano davanti a Palazzo San Giacomo, minacciando di mandarli in tribunale».
All’Unità eravate giornalisti o comunisti?
«Professionisti militanti. Devo dire la verità. Quando mi sono iscritto al Pci non era per adesione a un modello di vita».
Facile dirlo adesso.
«No, è vero. Io volevo iscrivermi al Psi. Alla sezione mi dissero che prima bisognava decidere in quale corrente mettere la mia tessera. E allora mi iscrissi al Pci».
Solo per questo?
«Il Pci era una forma di liberalismo di emergenza, un modo per uscire dal posto dove stavi e dire io penso “più in grande”».
Uscire da dove?
«Dalla cappa dia piombo della piccola provincia meridionale. Ero un ragazzo di Castellammare di Stabia, affascinato dalla politica, con una brevissima esperienza, ahimè, in Servire il popolo, subito dopo la parrocchia. E siccome in parrocchia leggevo le Lettere degli Apostoli, i marxisti-leninisti mi facevano leggere, il mercoledì sera, brani di Enver Hoxha».
Matrimoni proletari? Falò di libri borghesi? Consegna dei propri averi?
«No. Ricordo però che ci portavano a Napoli in pullman a sentire Aldo Brandirali, il capo».
Che oggi è di Forza Italia, dopo essere passato per Comunione e liberazione.
«Tra Servire il popolo e Comunione e liberazione una certa continuità la vedo».
Anche tra Servire il popolo e Forza Italia?
«Destra e sinistra si sono toccate milioni di volte nella storia. Renzo Foa passa per voltagabbana, ma c’è continuità nel suo percorso intellettuale. Era un destro allora ed un destro adesso».
Piero Sansonetti, vostro collega a l’Unità, dice che scherzando lo chiamavate fascista.
«Prendiamo Sansonetti. Io gli voglio un sacco di bene però tra lui e Renzo è più voltagabbana lui. Quando faceva il giornale con Foa, faceva cose di destra. Oggi un girotondista no-global. Prima ancora era stato ingraiano. Ha fatto su e giù».
I voltagabbana non ti scandalizzano.
«Bisognerebbe dare un’occhiata anche agli apparenti coerenti, quelli che non cambiano e aspettano che la storia li riporti a galla».
A chi pensi?
«Santoro è uno coerente: sa che prima o poi tornerà un governo di centro-sinistra. E la storia dell’orologio fermo. Due volte al giorno segna l’ora esatta. I voltagabbana invece sono impazienti, non ce la fanno ad aspettare, hanno bisogno di sentirsi al passo con i tempi».
Tipo?
«Paolo Guzzanti, voltagabbana manicheo. Uno di quelli che vogliono raddrizzare il legno storto dell’umanità, giudice del Bene e del Male. Ha voluto la Commissione Mitrokhin, una moderna caccia alle streghe fuori tempo massimo. Ma è peggio il voltagabbana con lo sputo».
Tipo?
«Nando Adornato. Intollerabili quelli che sputano sulla gabbana precedente: io non sono cambiato perché sono cambiato io, ma sono cambiato perché voi non siete più quelli di una volta».
A volte è vero.
«Uno che è stato con Berlinguer non può stare con Berlusconi. Adornato ci vende una sua coerenza liberale ininterrotta».
Ci sono anche quelli rimasti nel partito che ci vendono una coerenza kennediana ininterrotta.
«Veltroni non è mai stato comunista».
Allora si è iscritto al partito sbagliato.
«E a quale cavolo di partito ti iscrivevi?».
Al Pci, avvertendo: «Io non sono comunista».
«La tragedia della sinistra comunista italiana è stato il discorso “noi l’abbiamo capito che il comunismo reale fa schifo, ma lo dobbiamo dire un po’ alla volta sennò le masse non ci seguono”. Ancora oggi abbiamo questa ossessione delle masse».
Le masse sono importanti.
«I leader devono guidare le masse. Le masse cambiano».
Le masse sono voltagabbana?
«Alle ultime elezioni sono andate con Berlusconi».
Castellammare: miti, canzoni.
«Mogol, Mogol e ancora Mogol. E Battisti».
Non eravate di sinistra?
«A Napoli non ce lo dissero mai che erano di destra. Per noi erano i sentimenti, l’amore, lo struggimento solitario, mi ritorni in mente le discese ardite e le risalite».
Come sei arrivato al giornalismo?
«Facevo un giornaletto insieme a Gigi Vicinanza e a Matteo Cosenza, figlio di Saul Cosenza, il grande stalinista duro e puro di Castellammare. Poi la Voce della Campania. E l’Unità».
Che tipo eri?
«Intellettualino, leaderino».
Secchione?
«Secchioncino. Saputello applicato a tutto tranne che alla scuola. Poche ragazze, poco pallone, poche feste, poca discoteca. Vestito per bene. Ci dicevano: “Il comunista porta la cravatta”».
Sei guarito?
«Come no! Due anni da pazzo alla redazione bolognese de l’Unità. Donne, motocicletta, balli, strafottenza».
Una seconda giovinezza.
«Solo, libero, trasgressivo. I comunisti bolognesi erano diversi, gaudenti, pratici. Sai perché ha vinto Guazzaloca? Perché era più comunista della Bartolini».
Quando ti sei sposato?
«Otto anni fa. Ma ho convissuto molto a lungo. Mia moglie Anna, la figlia di Luisa Melograni, ex giornalista de l’Unità. Suo padre, Carlo, l’architetto, è stato consigliere comunale del Pci. Suo zio, Piero, è lo storico che ha fatto il deputato per Forza Italia, proveniente dalla sinistra, dopo essere passato per Craxi».
A l’Unità hai avuto tanti direttori.
«Pavolini, Reichlin, Petruccioli, Macaluso, Chiaromonte… Reichlin era eccezionale. Snob, colto, intelligente. Le riunioni erano uno spettacolo. Arrivava e diceva: “Come avrete sicuramente letto sul New York Times e su Le Monde di oggi”».
Dopo di lui, Petruccioli.
«Segnato dalla vicenda Cirillo, grave errore professionale, che ha pagato».
Macaluso.
«All’ora di pranzo si chiudeva nella stanza, apriva il fazzoletto sul tavolo e con il coltellino da contadino tagliava un pezzo di pane a fette e ci spalmava la pasta di olive. Finito il pasto, scriveva editoriali sanguigni».
Chiaromonte.
«Era dolce, buono, scettico, relativista. Non sembrava un dirigente comunista. E mi voleva bene».
Poi sei andato via.
«Con grande senso di colpa. Andavo a guadagnare di più, nella stampa borghese».
E gli amici?
«Piero Sansonetti cercò di dissuadermi. Mi disse: “Ti giustifico solo se entro due anni diventi direttore”».
Ci sei quasi riuscito. Vicedirettore di Eugenio Scalfari. E te ne sei andato perché non ti hanno fatto direttore.
«No. La realtà è diversa. Quando c’era Scalfari io scrivevo commenti, editoriali. Quando è arrivato Ezio Mauro sono tornato a fare il lavoro di governo».
E allora sei andato a Londra.
«Il mio era un percorso che non portava da nessuna parte. Quando uno dei caporedattori arriva alla vicedirezione di un grande giornale è finita».
C’è la direzione.
«Non si arriva alla direzione dal desk».
Pensavano a te come direttore de il Mattino.
«So che se ne è parlato, ma anni fa».
Pensavano a te come direttore del Tg3.
«Ma non ho avuto offerte».
Se guardi indietro, hai fatto errori?
«No, ma quasi tutte le grandi scelte le ho fatte col parere negativo di chi mi stava vicino. Quando andati a Repubblica mi dicevano: “Vai in un posto orribile, dove si scannano”».
Il professor Barbagallo, a Napoli, mi ha detto che D’Alema era circondato da leccapiedi. Si riferiva al tuo editore Velardi e al suo staff.
«La critica era che separavano il leader dal partito».
Con metodi non democratici.
«L’esercizio del potere è una cosa altamente professionale. Non succede lo stesso con Berlusconi?».
Non hai fatto il miglior paragone possibile.
«La comunicazione politica oggi deve essere gestita da professionisti».
Velardi era un adulatore?
«Velardi era un istigatore».
Come mai ha scelto te?
«Ero da cinque anni all’estero, estraneo alla notte di San Valentino che c’è stata nella sinistra italiana, questo accumulo di odi reciproci, di vendette da consumare».
Definiamo l’adulazione?
«Adulazione significa non dire mai mi dispiace».
Baci Perugina.
«Farsi soverchiare dal fascino di chi è sopra di noi».
Dove alligna?
«Soprattutto fra gli intellettuali. Pensa a Flores d’Arcais affascinato prima da Craxi e poi da Di Pietro».
Altri luoghi di adulazione?
«Forza Italia. Ma sarebbe ingeneroso aspettarsi che questi poveretti, i peones, discutano la linea di Berlusconi. Loro sono là per organizzare il consenso. Pensa a Bondi e a Schifani. A qualsiasi domanda, anche sul campionato di calcio, rispondono: “È una campagna della sinistra per colpire Berlusconi”. E Miccicchè? Ha costretto Ronconi a togliere la caricatura di Berlusconi. Eccesso di zelo adulatorio».
A sinistra?
«La cortigianeria è nei confronti delle masse. Flores e Pancho Pardi adulano il momento politico. Moretti continua a chiedersi come nel film: “Mi si nota di più se non vado o se vado e non parlo?”. Ma ha scoperto che lo si nota di più se va e sale sul palco».
Anche Santoro è un adulatore?
«No. D’Alema non era contento di Santoro quando era a Palazzo Chigi. Nei Ds c’è chi lo odia. Dare voce alla protesta del popolo non è adulazione, è populismo di sinistra. Ma chi parla male del potere fa meno danni di chi ne parla bene».
Tu sei adulato?
«Una volta mi è venuto a intervistare Giorgino, giovane giornalista del Tg1. Quando uscì dalla stanza io pensai: “Questo diventa direttore”. Ha la vaselina nel sangue».
Chi ti piace fra i dirigenti dei Ds?
«Fassino, il “patito di sinistra” come lo chiama Maria Laura Rodotà. Ha una sua figura berlingueriana, sofferta, ascetica, tragica. Prima o poi lo fanno beato».
Gli altri?
«D’Alema è un politico sconfitto ma non fallito».
Uno sconfitto non dovrebbe lasciare il campo?
«Anche Berlusconi era stato sconfitto».
Continui a fare paragoni audaci.
«Comunque D’Alema non sarà il candidato alle prossime elezioni. Comunque il leader era Rutelli. Comunque prendere il 16,7 per cento essendo guidati per sei mesi da Folena è un successo eccezionale».
Ti piace Folena, eh?
«È un bel caso di doroteo di sinistra».
Mussi?
«Ha annunciato la crisi finale del capitalismo. Una cosa che la sinistra aspetta da tempo e che per fortuna non accade».
Occhetto?
«Non mi è mai piaciuto, però ha fatto la cosa che andava fatta, senza la quale non ci sarebbe più nessuna resistenza nel Paese, nessuna discendenza post Pci. Alcuni dissero che lo fece perché era pazzo».
Ti piace l’Unità?
«No. Furio Colombo salva il giornale ma danneggia la sinistra».
Chi ti piace fra i giornalisti?
«Cazzullo, Rampini, Giannini, Stella, Ajello».
Chi ti piace a destra?
«Vado pazzo per Domenico Fisichella. È uomo dotato di un senso dello Stato invidiabile. Sogno un governo d’emergenza di due anni Fisichella-Napolitano».
Altri?
«Non sono un fan di Fini. Meglio Follini, uomo concreto che non cerca lo scontro ideologico. O Martino, persona intellettualmente stimolante».
Per chi hai votato?
«Sempre Ds. Tranne l’ultima volta. Non mi convinceva la campagna elettorale del centro-sinistra».
Sembri pronto a votare Forza Italia.
«Non ce la farei mai a votare Berlusconi».
Ma?
«Ma non escludo che un giorno possa votare per una destra liberale. Tra massimalisti di sinistra e riformisti di destra, sceglierei la destra».
Gioco della torre. Velardi o Rondolino?
«Butto Rondolino. Claudio Velardi ha fatto di più dopo Palazzo Chigi».
Berlusconi o Fini?
«Butto Berlusconi, perché Fini non è il padrone di mezza Italia».
Baldassarre o Saccà?
«Salvo Saccà: fa il mestiere suo. Baldassarre se lo sta inventando. In maniera non molto brillante».
E se sulla torre ci fossero Baldassarre e Zaccaria?
«Con tutta la buona volontà non posso salvare Zaccaria».
Cofferati o D’Alema?
«Butto Cofferati. Ma se Cofferati ritorna riformista sono pronto a buttare D’Alema».
Cofferati non ti piace.
«C’è solo un modo per fare politica, farsi eleggere in Parlamento».
Sembra destinato a travolgere tutto.
«È uno sconfitto. Aveva detto ai tre milioni in piazza che l’articolo 18 non sarebbe stato toccato. Nessuno ha la forza di attaccarlo. Ma Rutelli, D’Alema e anche Fassino, in cuor loro pensano che la battaglia sull’articolo 18 è stata esagerata».
Lerner o Ferrara?
«Butto Lerner perché Ferrara è più bravo».
Mimun o Mentana?
«Salvo Mentana. Il Tg5 è il miglior telegiornale».
Maltese o Rinaldi?
«Mi danno fastidio i giornalisti maniacali, quelli che, letta la firma, hai già capito tutto».
E chi butti?
«Butto Rinaldi. Maltese ogni tanto fa ridere».
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