- 4 Marzo 2004
Da ragazzina aveva una passione per Claudio Martelli. Quando tentò di attaccare un suo poster al muro della stanzetta del collegio, le suore spagnole glielo vietarono con la scusa che non si potevano rovinare le pareti con nuovi chiodi. Lei allora scoprì un chiodo già nel muro e lo appese là. Solo che a quel chiodo c’era già attaccato il crocifisso che venne a posizionarsi esattamente sopra il grande garofano rosso del Psi. Scandalo.
Le suore convocarono la mamma, nota militante democristiana di Cosenza, e le dissero che la figlia era irrecuperabile. Adesso Jole Santelli, trentaseienne sottosegretario alla Giustizia, ha un’altra passione, Silvio Berlusconi. Non attacca poster nella sua stanza da letto ma per il Cavaliere stravede. Ne parla talmente bene che ogni volta sente il bisogno di chiarire che non è un’adulatrice. E allora cominciamo proprio da lì, dall’adulazione per il primo ministro, l’uomo mandato dallo Spirito Santo a fondare Forza Italia e a salvare il nostro Paese dai comunisti. Cominciamo dalla festa per i dieci anni. Qualcuno ha detto che è stato il trionfo dell’adulazione. Jole naturalmente non è d’accordo. «Nel 1993, con l’elezione dei sindaci, è nato il leaderismo», dice. «Ormai si vota sempre l’uomo, il leader. E Berlusconi è un leader naturale».
Dimentichiamo Baget Bozzo e lo Spirito Santo. Ma Bondi adorante con le mani giunte?
«Bondi adora veramente Berlusconi. Tutti quelli che lavorano a stretto contatto con lui si innamorano».
Scajola è uno che lavora a stretto contatto con Berlusconi.
«Ed è assolutamente innamorato di lui. Tutti lo amano».
Preoccupante.
«Lo amano anche quando li tratta male. Carisma, fascino».
La Prestigiacomo sembrava la pastorella di Lourdes in estasi davanti alla Madonna.
«È stato un momento di grande emozione. Era tanto tempo che il partito non si riuniva in una manifestazione. La gente ha bisogno del rapporto diretto e personale con Berlusconi, di vederlo, di sentirlo, di parlarci».
Tu quante volte hai visto Berlusconi?
«Parecchie volte. E ogni volta torno rincretinita e ricaricata».
E quelle domande retoriche alle quali la folla in delirio rispondeva: «Sììì», «Nooo»?
«Il coinvolgimento fa parte del gioco».
Tu urlavi sì e no?
«Sì, urlavo anch’io».
Sembra una tecnica da venditore di pentolame.
«Anch’io lo faccio durante i comizi. A me piace molto la piazza e mi piace farla partecipare».
Hai imparato tutto da Berlusconi.
«Anche a me, come a lui, piace la gente».
Chi secondo te ama di più Berlusconi ?
«Pera».
Lo ama più di Fede?
«Lo ama diversamente».
Lo ama più di Bondi? Più di Schifani?
«Mi correggo. Quello che lo ama di più è Bondi. Anzi, è Marinella, la segretaria. Sono trent’anni, poveraccia, che si rovina la vita appresso a lui».
Bondi e Schifani sono considerati il massimo dell’adulazione nei confronti del Cavaliere.
«Non è adulazione. L’adulazione è quando dici qualcosa che non credi. Sandro e Renato amano veramente Berlusconi».
Tanto da definirlo il più grande statista europeo?
«Ti assicuro. Lo credono veramente».
Lo credi anche tu?
«Io penso che sia grande, geniale. Che sia al di là della norma. Non è un tipo analitico, è intuitivo. Ha l’intuizione rivoluzionaria. E poi è un grande oratore».
Qual è il più bel complimento che ti ha mai fatto?
«Alla festa di Natale mi ha detto che stavo molto bene. Allora ho capito che prima stavo male. E che mi trovava dimagrita».
Lui è molto sensibile alle diete.
«Io ne faccio in continuazione. Ma l’unica che funziona è la dieta del digiuno. Da ragazzina ero grassottella. A vent’anni ho fatto una dieta brutta, nel senso che non ho mangiato per tre mesi. La mattina se avevo un chilo di più non uscivo di casa. Sono arrivata a pesare cinquantatré chili, uno scheletro».
Quando hai conosciuto Berlusconi?
«Nel 1997. Lavoravo già in Forza Italia. Scrissi una cosa sulla giustizia e la mandai al dottor Letta. Era una visione un po’ diversa dalla solita impostazione e Berlusconi mi telefonò per parlarne».
Vi date del tu?
«Lui mi da del tu e io gli do del lei. Do del lei anche a Pera, a Previti, a Letta. Do del tu a Pisanu, a Scajola».
Quando ti è nata la passione per la politica?
«Mio nonno, a Cosenza, mi portava ai comizi di Berlinguer e di Almirante quando avevo quattro anni. Da bambina guardavo tutti i dibattiti televisivi. Da ragazza non uscivo la sera per vedere i telegiornali. Per me era una malattia. E adoravo soprattutto Giacomo Mancini, che era una specie di zio».
Adoravi Martelli, adoravi Mancini.
«Ho bisogno di miti, di personaggi guida».
E gli altri a casa?
«Mia madre era una convinta Dc. Quando faceva le sue riunioni mi pregava di chiudere la mia stanza dove c’era tutto un tripudio di garofani rossi. Mio padre era socialista. Non ricordo mai un pranzo che non fosse condito da qualche litigio politico. Misasi contro Mancini. Più mio nonno, un po’ fascista, che contestava tutti».
Come hai scoperto Forza Italia? Dicono grazie a Cesare Previti. Nel suo studio hai fatto la pratica legale.
«Questa è una leggenda. Io la pratica l’ho fatta nello studio di un senatore dell’Ulivo, Vincenzo Siniscalchi. E poi sono andata in quello della Lagostena Bassi».
Sei una che cambia.
«Consumo le esperienze. Mi annoio a fare sempre le stesse cose».
Sei incostante.
«Cerco di razionalizzare la mia incostanza sostenendo ogni volta che ho imparato quello che c’era da imparare e che voglio provare cose nuove».
E sei finita nello studio Previti.
«Solo otto mesi, il civile non è fatto per la mia forma mentis. A me piacciono le aule e i tribunali. Il combattimento. Da Previti si lavorava sulle carte. Ricerche su ricerche. Stavo sclerando. Mi ero anche stufata di fare l’avvocato. Andai al gruppo di Forza Italia al Senato dove cercavano delle persone per l’ufficio legislativo. Mi piacque subito l’idea di poter fare politica senza rinunciare alla professione».
Quanto guadagnavi con Forza Italia?
«Un milione e 800 mila lire al mese».
Pochino.
«Nell’arco di cinque anni sono arrivata a circa nove milioni al mese».
Nel 2001 ti sei presentata alle elezioni in Calabria.
«Io non sono una da prima fila. Sono un ottimo braccio destro. Però ho pensato che sarebbe stato bello occuparsi di problemi della giustizia in Parlamento e in commissione».
Ti prendevano sul serio nel tuo collegio? Avevi 33 anni.
«C’erano anche altri giovani. In Calabria Dorina Bianchi, dell’Udc, mia coetanea, ha vinto in un collegio difficilissimo, Crotone. In Forza Italia c’è anche Angelino Alfano che ha trent’anni. Ce ne sono tantissimi di giovani. Il 40 per cento hanno meno di 40 anni».
A me risulta un po’ meno, diciamo il 4 per cento.
«Non conosco la statistica, però per vita vissuta posso dire che i giovani sono tanti».
Che cosa dicevano i tuoi avversari?
«Prima dicevano che ero un’anziana signora grassoccia di sessant’anni. Allora misi fuori dei manifesti con la mia faccia. Poi dicevano che ero una ragazzina manovrata, una che non sa fare, non sa dire. Mi chiamavano “la ragazza”. Poi dicevano che non ero calabrese, che ero di Torino, di Milano, che facevo la dattilografa, la centralinista».
Due mesi dopo eri sottosegretario. C’è una spiegazione? Ai tempi dei democristiani si arrivava al governo a 60 anni.
«Ero quella che aveva seguito più da vicino la stesura del programma, che lo aveva scritto con Pera».
Eri in quota Previti o in quota Pera?
«Il fatto che abbia lavorato per cinque anni con Pera è stato determinante. Ho lavorato anche con Previti, e sono in rapporto di amicizia con lui, ma non mi risulta che Previti si sia interessato alla formazione del governo. È una persona molto ragionevole. Noi, cinque anni di opposizione li abbiamo vissuti veramente male, specialmente nel campo della giustizia. Batoste su batoste. Tanti avevano i telefoni sotto controllo. Probabilmente anch’io».
A Roma fai vita mondana?
«Pochissimo. Io sono timida, non mi piace uscire la sera, non sono salottiera, non amo fare conversazione, non mi piacciono le discoteche».
Ma vai da Maria Angiolillo.
«Certo. Ma ci vado più a pranzo, come amica, che a cena, come invitata. Ne sono abbastanza orgogliosa, perché dall’Angiolillo c’è la scrematura pesante. Mi colpisce molto il modo di ricevere, la cura del particolare».
Quanta gente al massimo?
«Trentasei. Dodici per ogni tavolo».
L’ultima volta chi c’era al tavolo tuo?
«Augusta Iannini, magistrato, con suo marito Bruno Vespa. Gianni Letta con sua moglie, Castelli, Luigi Abete».
Poi fuori c’è sempre Pizzi che vi fotografa.
«Sono disperata. Ogni volta esce una fotografia tremenda e mia madre mi telefona. Perché ti sei vestita così? Perché eri così brutta?».
Tu hai un tipo di eleganza piuttosto vistosa.
«Noooo. Sono sobria».
In una foto pubblicata da Sette hai un vestito rosso fiammante piuttosto scollato.
«Un caso. Il mio colore è il nero. E la scollatura appare eccessiva perché la foto è presa dall’alto».
Una scollatura è una scollatura.
«Ho il problema del collo».
Cioè?
«Mi da fastidio la roba sul collo. Il mio grande incubo è il soffocamento. Non sopporto nemmeno gli ascensori. Credo che sia perché sono nata prematura, con un cesareo. Ero tutta cianotica».
Parliamo ancora di moda. Minigonna?
«Non me la sono mai messa. Non mi piace proprio, a me piace la gonna sopra il ginocchio».
Scarpe con la punta lunghissima?
«No, non seguo la moda».
Gli stilisti ti danno i loro vestiti?
«Mai, io vado per i miei acquisti in un outlet di Firenze. Approfitto dei convegni e mi fiondo».
Se dovessi scegliere un tuo stilista di riferimento?
«Prada».
Ma è comunista!
«È brava».
Se lo sa Berlusconi ti sgrida.
«Ma figurati».
Quando vai in Parlamento qualcuno ti corteggia?
«Sono tutti abbastanza carini. Quasi tutti».
Spiegami una cosa: non ti da fastidio che il Parlamento sia pieno di avvocati difensori di Berlusconi? Si crea confusione fra ruoli. Nei tribunali i suoi avvocati si comportano da parlamentari e in Parlamento da difensori di Berlusconi.
«Si dimenticano le storie. Pensa a Gaetano Pecorella. È stato leader di una determinata politica sul penale. Se Berlusconi ha preso lui come difensore è stato proprio per segnare quella che a noi pareva una politicizzazione della giustizia. È stata una scelta. Fare una difesa fortemente tecnica all’interno del processo per bilanciare tutta la mediaticità che c’era».
Andiamo sul concreto. Sono parlamentari di Forza Italia o difensori di Berlusconi?
«In questo Paese ci sono sempre stati gli avvocati del partito. Nel Msi Trantino, nel Pci Maris, Calvi. A dare significato sociale a certi processi ha cominciato la sinistra».
Avete fatto passare la riforma dell’ordinamento giudiziario e da quel momento i giudici sono meno cittadini».
«L’anomalia di questo Paese è avere una magistratura autonoma e indipendente al massimo. E poi di converso abbiamo quella più apertamente politicizzata, con le correnti di sinistra che dicono che attraverso l’uso della giustizia si cambia il Paese».
Da qui a vietare l’associazione politica…
«Ci arrivo. La Costituzione parla di divieto assoluto dei magistrati di iscriversi a partiti politici. Ma non è stata mai fatta una legge di attuazione».
Adesso l’avete fatta e i giudici non possono nemmeno più partecipare a un dibattito sulla riforma.
«Si può contestare dicendo: “Facciamo questo perché è meglio”. Ma non dire: “Questo disegno di legge non mi piace, e fate attenzione perché altrimenti…”. Il magistrato che va a sfilare al corteo neoglobal urlando: “Polizia fascista” ci fa la cortesia di smetterla».
Quindi oggi sono consentite solo riunioni di carattere ricreativo e sportivo. Il giudice e la bocciofila.
«Secondo me ci sono delle cose che sono liturgia. Compito del prete è dire messa e dimenticare la sua vita privata».
Castelli non vuole dare la grazia a Sofri nonostante il parere favorevole di Berlusconi.
«Nel 1998 Cossiga voleva dare la grazia a Curcio e Martelli si rifiutò di firmarla».
Se tu fossi ministro, firmeresti la grazia per Sofri?
«Io penso che per dare la grazia sia necessario che il soggetto la chieda».
Ma per chiederla bisogna ammettere di essere colpevole.
«No. La domanda di grazia non è un’assunzione di responsabilità. È solo riconoscere lo Stato».
Ma Berlusconi non ha telefonato a Castelli per dirgli: «Toglimi questa grana”?
«Berlusconi ha molto rispetto delle idee delle altre persone. Ma non è un caso di oggi. Perché non l’ha fatto Diliberto? O Fassino? O Flick?».
Hanno sbagliato. E voi volete continuare nell’errore?
«Castelli guarda alla giustizia con gli occhi di un cittadino comune e difende la sua immagine. Dice: ragazzi, io questa responsabilità non la piglio. Cambiate la legge e fate in modo che io non c’entri».
Un ultimo sforzo sugli adulatori.
«Vedo molta adulazione nei confronti di Carlo Azeglio Ciampi. Ormai è diventato un santo. E anche donna Franca».
E che mi dici dei voltagabbana?
«Mi fanno impressione tutti quelli che stavano nei Ds e nella Cgil e oggi li trovi in Alleanza Nazionale. Appena sono arrivata al ministero è cominciata una processione di gente, tanta gente, che voleva dirmi quanto amasse da sempre Berlusconi. Ma io li conoscevo e li ho sbattuti fuori».
Un voltagabbana?
«Marianna Li Calzi. È stata sottosegretario in tre governi. Agli Interni per Forza Italia e alla Giustizia prima per Dini e poi per l’Udeur».
L’Udeur è una stazione di transito per voltagabbana.
«A me Mastella è simpatico. Il trasformismo è il suo modo di fare politica. E lo fa a viso aperto. Tanto di cappello. Voltaggabana è Filippo Mancuso, uno di quelli che urlano di tutto nei confronti di tutti e poi a loro non puoi dire nulla perché sono persone sacre. Voltagabbana è Tiziana Parenti. Ma chi se la ricorda ora che è andata via da Forza Italia? Voltagabbana è Irene Pivetti. Tutti i leghisti che cambiano partito mi fanno impressione perché per essere della Lega ci devi veramente credere. D’accordo, ti stufi, ma allora vattene a casa».
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