- 23 Maggio 2002
Claudio Velardi: capo dello staff del D’Alema segretario alle Botteghe Oscuree e del D’Alema premier a Palazzo Chigi. Oggi lobbista: rappresenta ai politici gli interessi delle aziende che lo pagano. E consulente politico: organizza le campagne elettorali dei candidati. Fra un po’ probabilmente editore. È lui infatti l’ispiratore del Riformista, foglio dentro il Foglio che affiancherà, da sinistra, l’attività di fronda che Giuliano Ferrara sta facendo a destra. C’era bisogno dell’ennesimo giornale? «C’è bisogno di riformismo», spiega Velardi. Ma sono tutti riformisti oggigiorno! «A parole. Di contenuti riformisti non si vede traccia».
Velardi, che mi dice di Maurizio Gasparri che parla di «velardismo, malattia senile del comunismo»?
«Il velardismo esiste. È la mancanza di ipocrisia. Io lavoro per rafforzare le mie sfere di influenza come tutti. Ma a differenza degli altri lo dico apertamente».
Il professor Barbagallo, a Napoli, ha detto che attorno a D’Alema c’era una corte di leccapiedi. Ha detto proprio così, leccapiedi. Ti riconosci?
«È uno dei luoghi comuni sullo staff di D’Alema. Io lo conosco Barbagallo. È una persona dai nervi un po’ fragili. Questo non lo scrivere, è un po’ collerico, iracondo…».
Fragilmente, ha detto che siete degli «affaristi»…
«Fin quando ho fatto politica non ho mai organizzato affari. I miei conti, quando sono uscito da Palazzo Chigi, erano in rosso».
Anche adesso?
«Anche adesso. Però adesso faccio l’imprenditore».
Torniamo al luogo comune: leccapiedi o no?
«Essere capo dello staff di un leader significa esercitare la funzione di critica».
Nemmeno una piccola adulazione? Piccola piccola?
«Dire al tuo capo “stai facendo bene” è tecnicamente una stronzata».
Mi dicono che il capo, nel momento delle grandi decisioni, è solo. E ha bisogno di una piccola bugia che lo incoraggi.
«No, è sbagliato! Il leader è un narcisista, una persona totalmente autocentrata. Chi gli sta vicino deve evitare che esageri. D’Alema si lamentava perché alle 8 e mezza io avevo già letto i giornali e cominciavo a dargli addosso».
Tipo?
«“Hai sbagliato tutto”… “Hai fatto tutte cazzate”… “Ti stai fottendo con le tue mani”».
Il vostro staff non era particolarmente amato.
«Tendeva a tagliare fuori le burocrazie di partito».
Era poco democratico.
«È più democratico un sinedrio dove 20 persone decidono come rompere i coglioni al leader? Se lo avete eletto, lasciatelo governare».
Parli come Berlusconi…
«Il nostro staff è stata un’innovazione anche perché i singoli membri erano dotati di una certa personalità, Fabrizio Rondolino, Massimo Micucci, Antonio Napoli, Gianni Cuperlo, Nicola Rossi, Nicola Latorre e Claudio Caprara.. D’Alema si è messo vicino delle persone dotate di cervello…».
Questa è adulazione pura.
«Io ho una stima sconfinata per D’Alema. Dovevo combattere contro me stesso una incredibile battaglia per non adularlo».
Il tuo ruolo era confrontabile a quello di Tatò con Berlinguer?
«Non lo so. Comunque, io ho solo squarciato il velo dell’ipocrisia. Tatò era il consigliere muto, che non si appalesava mai. Ma nelle scelte politiche di Berlinguer pesava molto più di alcuni dei dirigenti massimi dell’epoca. La base non sapeva neanche chi fosse Tatò. Però agli incontri a casa di Franco Rodano, per decidere la strategia del compromesso storico, andava lui assieme a Enrico Berlinguer. Mica Amendola o Ingrao che pure erano qualcosa di più di quello che sono oggi Gloria Buffo o Pietro Folena».
Ma allora a che cosa serve la direzione di un partito?
«L’obiettivo di chi sta dentro una direzione di partito è fare fuori quello che è più vicino al leader per insediarsi al suo posto».
Tu hai dato molta importanza all’immagine…
«I vecchi leader comunisti avevano un’attenzione all’immagine persino maniacale. I comizi di Ingrao o di Amendola, ma anche quelli più recenti di Reichlin, erano recite formidabili, pezzi di arte. Il capo doveva essere pensoso e sicuro, arringare le masse con tono severo. I comunisti, come i fascisti e i nazisti, hanno sempre fatto molta attenzione alla comunicazione di massa. Come Berlusconi oggi».
Invidi qualcosa a Berlusconi?
«Agli inizi, la sua modernità comunicativa. I fondali azzurri delle manifestazioni di Berlusconi in Tv uscivano magnificamente. La sinistra appariva in gruppazzi di gente triste. Berlusconi era solare sullo sfondo azzurro. Qualsiasi altro cielo azzurro faceva pubblicità a lui. Ora non gli invidio nulla.».
Velardi passa la vita a mostrarsi più intelligente di quello che è. Chi l’ha detto?
«L’ha scritto Santoro».
Ce l’aveva con voi?
«Ebbi uno scontro con lui dopo una partecipazione di D’Alema ad una sua trasmissione».
I motivi dello scontro?
«Santoro aveva fatto passare per una donna comune una signora che aveva portato lì col preciso scopo di rompere i coglioni a D’Alema. È un trucco che usa spesso, quasi ogni settimana. La massaia che passa per caso».
Una volta hai detto: «Occhetto è uno scemo».
«Occhetto è una persona deliziosa e simpatica che politicamente non vale un granché».
Chi non stimi nel tuo partito?
«Gli arrivisti e i cinici».
Quelli come te?
«Io sono un uomo pieno di passioni, uno che si indigna quando vede gli arrivisti e i cinici».
Chi per esempio?
«Pietro Folena, Giovanna Melandri, Fabio Mussi. Hanno partecipato ad un’esperienza di governo, sanno com’è difficile risolvere i problemi di un Paese, a quanti compromessi bisogna adattarsi. E oggi, per piccole convenienze di collocazione interna, scelgono una strada totalmente divergente. Questa loro indifferenza rispetto ai contenuti, ai valori…».
Velardi, che mi fai, il moralista?
«Non ci si può limitare a sparare a zero. È un problema etico».
Una volta hai detto: «Non ne posso più delle idee di sinistra, mi piacciono i programmi della destra. Solo che le facce del Polo sono impresentabili».
«O la sinistra diventa una forza riformista, liberale, oppure non ha futuro».
Per questo ti piacciono i programmi della destra?
«Mi piacciono alcuni programmi che dovrebbero essere della destra».
Se la destra avesse facce presentabili, lo faresti un pensierino?
«Io il pensierino non lo farò mai. Magari lotterò contro la sinistra che esiste, ma sempre dentro la sinistra».
Chi è presentabile a destra?
«Fini. Casini. Alemanno. Una persona con forti elementi di passione politica, rari a destra. La faccia più presentabile di tutti è quella di Gianni Letta».
Ti somiglia un po’?
«Lui è meglio di me. Non ha i difetti che ho io. È prudente, silenzioso».
Ti piacciono i conservatori?
«No. Né a destra né a sinistra».
A sinistra ce ne sono molti?
«Moltissimi. Prendi Vincenzo Vita. È un conservatore. Simpatico. Ma conservatore».
Uno non conservatore?
«Walter Veltroni».
Quello definito da te «un cattivo travestito da buono»?
«È un po’ leggero, un po’ di superficie, non ha una grande profondità di pensiero. Ma ha spirito innovativo».
Mi fai un esempio di cattivismo di Veltroni?
«Quando ci sono delle nomine da fare Veltroni finge di disinteressarsene. Invece persegue con ferocia i suoi obbiettivi. Prendi Balassone. Veltroni si è opposto alla sua nomina a direttore di Rai 3 perché non è suo amico».
Veltroni è il tuo nemico.
«Ha portato i Ds agli esiti miserandi del 2001. E nelle braccia di Rutelli».
Che cosa pensa Veltroni di te?
«Che io ero il consigliere fraudolento di D’Alema, che avrebbe potuto accordarsi con D’Alema se non ci fossi stato io. Perché lui si voleva intortare D’Alema».
Dicono che tu facevi il «lavoro sporco» per D’Alema…
«Se intendono affari sporchi, querelo. Se intendono accordi, mediazioni, nomine, compromessi, è giusto».
E merchant bank?
«Fu Guido Rossi a parlare di noi come di “una merchant bank di gente che non sa parlare inglese”. Uno che per le sue consulenze prende parcelle miliardarie e poi si spaccia come padre nobile della sinistra».
Chi sono gli adulati in Italia?
«Nei confronti di Berlusconi c’è stata tanta adulazione ma il fenomeno si sta attenuando. A sinistra, oggi, gli adulati sono Paolo Flores d’Arcais, Zaccaria, Nanni Moretti. Ma il fenomeno è momentaneo».
È più adulato D’Alema o Veltroni?
«Veltroni ha sacche di adulazione in un certo sottobosco della televisione, del cinema, dello spettacolo dove viene ancora considerato un uomo potente».
E D’Alema?
«D’Alema è antipatico. La sua sdrucidezza allontana gli adulatori».
Adesso che ha meno potere, è facile scoprire gli adulatori.
«Quando la sinistra vinse le elezioni nel ’96 Storace incontrò D’Alema allo stadio e gli disse: “Ah D’Alè, mo te do la lista de quelli che arrivano da te a ditte che so’ sempre stati de sinistra. So’ gli stessi nomi de quelli che arrivarono da me a dimme che erano sempre stati de destrra”».
Chi è che ha smesso di adulare D’Alema?
«I tre quarti del correntone dei Ds».
Chi è il più grande adulatore d’Italia?
«Il mito è Emilio Fede. Ma la sua adulazione è elevata a categoria dello spirito. Un occhio attento e intelligente non la considera piaggeria».
Che cosa vede un occhio attento e intelligente?
«Vede che prende per il culo tutti».
Però non prende per il culo Berlusconi.
«Mah. Comunque è un falso adulatore».
Filippo Ceccarelli, sulla Stampa, ha scritto che eri l’organizzatore della «disinformatzja» contro Occhetto.
«È vero. Era un periodo effervescente, gli anni in cui crescevano alcuni giornalisti politici, Minzolini, Maria Teresa Meli, Francesco Verderami. Io con loro lavoravo quotidianamente per fare disinformatzja. Dovevo diffondere i disegni di D’Alema, contrapposti a quelli di Occhetto».
Gavino Sanna ha detto: «D’Alema ha il look di un parrucchiere di provincia».
«E Gavino Sanna, col suo parrucchino, è un cortigiano del Diciassettesimo secolo».
Ti sei mai sentito l’uomo più potente d’Italia?
«Una certa ebbrezza è naturale provarla se sei il consigliere politico del premier e passano da te tutti i potenti d’Italia e del mondo. Ma il giorno dopo l’andata via da Palazzo Chigi io, Antonio Napoli e Massimo Micucci abbiamo ricominciato daccapo con umiltà. Oggi sono un lobbista che fa l’anticamera presso i politici con serenità, con educazione, ricordando quando l’anticamera la facevano loro».
Avevi adulatori?
«Adulatori di mezza tacca. Gente che veniva a dirmi: “Tu sei l’eminenza grigia, sei il più bravo di tutti, sei potente”. E subito dopo: “Quindi mi devi fare questo piacere”».
E tu?
«Il sistema era ben congegnato. Nel momento in cui qualcuno ti adula tu pensi: “Ammazza ragazzi, sono er mejo figo der bigoncio”. E ti senti in dovere di dare una risposta positiva al questuante. Naturalmente è il gioco nel quale non bisogna cadere, altrimenti sei fottuto».
Che cosa ti chiedevano?
«Nomine, le classiche nomine».
Hai detto: «Giuro che non mi sono mai occupato di nomine Rai…». Sei uno spergiuro?
«Perché?».
Me lo disse lo stesso Pier Luigi Celli che fosti tu a chiamarlo per la carica di direttore generale della Rai.
«Fu Giovanna Melandri a insistere per la nomina di Celli. Io lo conobbi solo all’ultimo. In un bar dietro Botteghe Oscure gli dissi: “Noi riteniamo che tu lo debba fare, che sia una cosa importante”. Un po’ di chiacchiere e lui accettò».
Ho capito, sei uno spergiuro.
«Ero solo un esecutore. Durante tutta la fase in cui Celli ha diretto la Rai, ho discusso esplicitamente con lui solo due nomine, Saccà e Calabrese».
Ha fatto più nomi l’Usigrai?
«Ma certamente! E nessuno dice che il potere di proporre e di fare nomine per l’Usigrai è una cosa illegale e scandalosa, una malversazione, un interesse privato in atti d’ufficio. L’Usigrai è una lobby coperta».
Mi racconti le tue origini?
«Piccolissima borghesia napoletana. Mio padre aveva una piccola tipografia di un certo peso e tradizione. Mia madre faceva l’insegnante di musica. Io andavo a scuola al Genovesi, il liceo classico di Napoli».
La politica?
«Arrivai al Genovesi fascista, leggevo i diari di Galeazzo Ciano. Con le ragazze non funzionava. Mi detti malato per una quindicina di giorni e tornai a scuola comunista».
Convinzioni politiche radicate.
«Avevo 14 anni. Ero confuso e combattuto tra impegno politico e cazzeggio. Avevo un complesso rock, gli Hell’s Angels, e poi andavo alle riunioni politiche gruppettare in cui non capivo niente. Un leader dell’epoca, Guglielmo Trupiano, sotto l’obelisco di piazza del Gesù, mi disse: “Tu sei uno sporco bordighiano”. E io pensai: “Ma che avrà voluto dire?” Qualche anno dopo, sciolsi il complesso e mi iscrissi al Pci».
Hai detto: «Il mio 740 è molto al di sotto di quello di Maltese, Minà e Curzi…».
«Senza alcun dubbio. Questa sinistra snob che fa i girotondi con le giacche di cachemire mi sta sui coglioni. Se vivi una condizione borghese, devi essere un borghese. È eticamente indecente atteggiarsi a proletario. La sinistra snob è gente che vive bene, frequenta benissimo, guadagna moltissimo e se la passa comoda».
Eravate sospettati di essere dietro il Bingo.
«Dietro il Bingo c’era Consoli…».
Che è amico vostro.
«Amico nostro certo. E ancora lo frequentiamo».
All’inizio avevi i tuoi uffici nei suoi uffici…
«Vero. Ma con la storia del Bingo non abbiamo nulla a che spartire. Io sono felice che il mio amico Consoli si sia inventato questo Bingo e voglio che faccia un sacco di denari perché mi pare una grande idea. Bravo Luciano Consoli! Io purtroppo non ci sto dentro».
Il partito ci sta dentro?
«Nel centro Italia ha aiutato la nascita di alcune società legate al Bingo».
La sinistra ha raddoppiato il Lotto e lanciato il Bingo. Le tasse sui cretini poveri. I Casinò, tassa sui cretini ricchi, vietato aprirne altri.
«Giusto: infatti ero per l’apertura di nuovi Casinò».
Velardi, la tua sinistra non rischia di apparire simile alla destra?
«La sinistra si deve differenziare dalla destra in maniera ra-di-ca-le. Ma non difendendo cose vecchie sulle quali ha torto».
Tipo?
«L’art. 18. Non ha senso armare scioperi generali. Bisognerebbe invece porre il problema della flessibilità del lavoro. Una sinistra moderna e innovativa deve porre con veemenza il tema delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni».
Appunto. Appiattita sulla destra.
«Ma no. La destra non lo fa! La destra è statalista in Italia. Se avessi tempo, capacità e voglia mi metterei a scrivere il manifesto della sinistra riformista del terzo millennio. Sono animato da grande passione civile».
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