- 27 Settembre 2001
Ha difeso Silvia Baraldini e Cesare Previti. È amica di quelli del Manifesto e di quelli del Foglio. È la compagna di Paolo Liguori, il giornalista che ha compiuto la lunga marcia da Lotta Continua a Berlusconi. C’è un comune denominatore nelle scelte di Grazia Volo, la donna che ha fatto assolvere Musotto e Calogero Mannino?
Il denominatore comune è l’eccesso. Della Baraldini si è detto che è stata condannata a 43 anni di carcere per omicidio. E non è vero. È stata condannata per associazione sovversiva: in Italia sono 5 anni al massimo.
E Previti?
«Previti è stato demonizzato come autore di terrificanti misfatti, cosa che non corrisponde alla realtà».
E Calogero Mannino?
«Sette anni di calvario per un importante esponente politico, otto volte ministro. Una cosa talmente enorme da mettere in discussione la legittimità dello Stato di diritto».
Lei preferisce difendere i potenti o i deboli?
«Qualsiasi persona che arriva nello studio di un avvocato penale è rovinato. Il fatto che sia stato potente è marginale. Tante volte una persona benestante, terribilmente umiliata, sta peggio di una persona senza solidità economica».
Ma lei chi preferisce?
«Cinicamente io preferisco i colpevoli. È più divertente difendere i colpevoli. L’innocente è una tragedia, una seccatura tremenda. Per un avvocato la massima soddisfazione sta nell’ottenere l’assoluzione di un reo confesso».
E l’innocente?
«L’innocente è inserito in uno scenario di martirio, piccolo o grande che sia. E quindi del martire ha tutti i connotati di vittimismo. Non è nobile quello che le dico però è così. Io sono affascinata dal criminale, da chi è capace di pensare e costruire un delitto».
Quando incontra un colpevole qual è il suo atteggiamento?
«La prima regola è non esprimere mai giudizi morali».
Dopo aver fatto assolvere un colpevole, non si pone il problema di aver contribuito a mantenere in libertà un delinquente?
«Lei sta esprimendo un giudizio morale. Il giudizio morale non riguarda la sfera dell’amministrazione della giustizia. Assolvere un colpevole non presuppone un’ingiustizia, perché può essere una sentenza perfettamente conforme al diritto. Capisce?».
Mica tanto.
«Il problema è che lei, se mi permette di dire…».
Permetto.
«Lei pensa che la verità sia il centro del processo».
Non è così?
«Putroppo non è così. In questi anni di medioevo giudiziario abbiamo pensato che il giudice deve lottare, che può adoperare il criterio che il fine giustifica il mezzo».
Il giudice non deve cercare la verità?
«La giustizia è un verdetto che prende atto di quelle che sono le risultanze del processo. L’opinione del giudice non deve interessare nessuno. Meglio ancora: non deve esistere».
Lei è originaria della Sicilia?
«Su questo vorrei essere molto sintetica perché le signore di mezza età che si celebrano sono insopportabili».
Sa, le origini, i conti col passato, la gavetta.
«Sono nata in Sicilia, ho studiato a Palermo. La mia era una famiglia benestante. Mio padre si occupava di miniere».
Ha avuto maggiori difficoltà nel lavoro, in quanto donna?
«La situazione della donna è un argomento che mi annoia moltissimo. Io non ho mai avuto problemi. Gli uomini sono capaci di andare oltre, di impegnarsi oltre, e se trovano una persona che fa altrettanto se ne strafregano del suo sesso».
Cosa vuol dire impegnarsi oltre?
«Gli uomini non calcolano l’impegno che ci vuole per raggiungere un obbiettivo. Questo va tenuto conto quando si parla di pari opportunità. In questi 27 anni di professione un piccolo fallimento l’ho registrato. Velleitariamente pensavo di far lavorare solo donne nel mio studio. E adesso mi ritrovo con uno studio di soli uomini».
Una sconfitta mica da poco.
«Le donne accettano con difficoltà un impegno totalizzante».
Il mondo del lavoro è organizzato al maschile.
«Luoghi comuni. Le donne non accettano fino in fondo l’assunzione della responsabilità, lo sforzo quotidiano, l’autodisciplina, il rischio di impresa inevitabili in uno studio legale».
Hanno la famiglia.
«Appunto. E allora scelgono il concorso in magistratura. Orari precisi, stipendio fisso».
Lei che cosa ricorda della gioventù?
«Perché vuole farmi indulgere in queste cose?».
Perché questa è un’intervista. Marcello Sorgi, siciliano come lei, mi ha raccontato di una vita palermitana dorata e divertita.
«Sì, è vero, si viveva bene, però si correva il rischio di sclerotizzarsi, di diventare dei ragazzi invecchiati. Infatti Marcello se n’è andato. Lui, Gianni Riotta, Corradino Mineo, Gianfranco Miccicchè, Vito Riggio».
Lei quando ha lasciato la Sicilia?
«A 23 anni quando sono venuta a Roma nello studio di Tina Lagostena».
Grandi processi per stupri.
«C’era l’ossessione ideologica».
Si trattava pur sempre di stupri.
«Chi ha più coraggio difende chi lo commette quel delitto, non la vittima. Io ricordo il processo del Circeo. Mi creò un’ansia terribile. Delle donne, che poi erano mie amiche, quando dettero 30 anni a Gianni, si misero a urlare perché volevano l’ergastolo. Una sete di vendetta eccessiva».
E la criminalizzazione della vittima?
«Insopportabile. Però poi siamo passati all’eccesso opposto. La tutela delle donne e le leggi sulle molestie sessuali sono esagerate rispetto all’emancipazione che c’è. Che un corteggiatore esuberante debba essere denunciato mi fa ridere».
Lei che cosa era politicamente a quei tempi?
«Vicinissima alla sinistra, al Manifesto».
Quando ha conosciuto Paolo Liguori?
«Circa 20 anni fa. Era la sera del mio compleanno, 30 anni».
Perché non vi siete mai sposati?
«Perché mi deve fare dire queste cose su un giornale?».
Perché sì. Due che stanno insieme per 20 anni.
«Il matrimonio è un attentato alla felicità. Io e Paolo abbiamo un rapporto molto più stretto di tanta gente sposata. Riusciamo a divertirci ancora».
Parlate di politica? Litigate?
«Per farmi litigare ce ne vuole, io mi metto a ridere. Le mie amiche si disperavano. Dicevano: “Grazia si è messa con un ossesso”. Ma io ridevo. Sopra casa nostra abitava Emma Fattorini, una donna alla quale sono molto affezionata. Scendeva da noi e si perdeva in discussioni furibonde con Paolo. Io me ne andavo a dormire. Oppure telefonava Franca Fossati dicendomi: “Ma quello è un pazzo, una furia”. Dibattiti che non mi hanno mai appassionato».
La parabola politica di Paolo è simile alla sua?
«Paolo è un istintivo, ha seguito quello che si sentiva di fare in modo assolutamente genuino».
Le dà fastidio che diano del voltagabbana a Paolo?
«Queste accuse sono inevitabili, ma Paolo perseguiva fini più importanti. È successo anche a me quando mi sono accollata delle difese pesanti».
Anche lei non è più di sinistra?
«Il mio percorso non è politico, è professionale. Io sono rimasta me stessa. Però mi sono allontanata dalla sinistra, perché subito mi sono messa a difendere gli imputati di terrorismo. C’era un eccesso di accanimento da parte del Pci che aveva deciso di eliminare tutte le frange alla sua sinistra».
Ma lei era del Manifesto.
«Io non mi sono mai allontanata dal Manifesto, sono sempre stata vicina alle battaglie di garanzia che ha fatto. Ancora oggi sono l’avvocato del Manifesto. Ho rapporti affettuosissimi con Rossana Rossanda, con Valentino Parlato, con Giovanna Pajetta, con Miriam Mafai».
Insomma, per chi vota?
«Voto a destra. Sulla questione giudiziaria la destra è stata più sensibile della sinistra».
Rossana Rossanda, Valentino Parlato e gli altri suoi amici criticano il giustizialismo, sono garantisti ma non sono finiti a destra.
«La politica oggi è uguale da una parte e dall’altra. Ovunque nel mondo sono le lobbie affaristiche che comandano. E la sinistra non è stata per niente estranea a queste lobbie quando ha governato. Ma lo ha fatto col falso moralismo. Questo, per chi è anticonformista, è insopportabile».
Quando lei va a una cena con gli amici del Manifesto, che cosa le dicono?
«Mi prendono in giro, affettuosamente. Poi ognuno di noi ha un ruolo e serve ad alcune cose. Io sono sempre servita a parare i loro guai giudiziari».
Soprattutto querele per diffamazione, immagino.
«L’uso che si sta facendo delle querele per diffamazione è diventato insopportabile. Di Pietro ne ha presentate 450, la Procura della Repubblica di Milano e quella di Palermo altrettante. Una cosa insensata. Le querele presentate dai magistrati imboccano sempre corsie preferenziali e nelle sentenze si vede spesso disprezzo per coloro che hanno fatto un’attività di critica».
La soluzione?
«Una banale e semplice: vietare ai magistrati la possibilità di fare querele. Chi fa il magistrato deve accettare anche l’impopolarità e le critiche».
Anche i potenti abusano delle querele. Come il suo difeso Previti.
«Cesare Previti è un potente che è stato inutilmente molto mortificato».
Non riesco a commuovermi più di tanto. Io sono scandalizzato che Previti abbia ottenuto con una sentenza che Marco Travaglio versi sul suo conto corrente di multimiliardario un quinto del suo stipendio.
«Il problema sono i giudici. Oltretutto, col sistema delle querele, loro si sono triplicato lo stipendio».
Torniamo ai voltagabbana. Mi dà una definizione?
«Chi pensa sempre alla stessa maniera è una persona ottusa. È giusto cambiare opinione. È un segno anche di umiltà. Chi pensa di avere sempre ragione ha una grande dimensione di egocentrismo».
Parlo da ottuso egocentrico. Sono proprio quelli che voltano gabbana che pensano di avere sempre ragione.
«Ma è un errore pensare sempre la stessa cosa senza considerare che il mondo cambia. Bisogna essere attenti e adeguarsi a quello che succede».
Io non le avevo chiesto l’elogio del voltagabbana. Le avevo chiesto solo la definizione.
«La definizione di voltagabbana è complessivamente un giudizio conformista e troppo sintetico. Io stessa sarei una voltagabbana».
Che cosa pensa di una persona che per soldi muta schieramento politico?
«Non è un voltagabbana. È un mascalzone».
E lei che giudizio ne dà?
«Il peggiore possibile».
Che cosa pensa di una persona che pur di fare il ministro, da un giorno all’altro, cambia schieramento?
«Ne penso malissimo, ma è fin troppo banale».
Ecco, volevo dirle che io questo lo chiamo voltagabbana.
«Ma gli fa un favore se gli dà una definizione. Quelli che oggi sono considerati voltagabbana sono esseri umani consapevoli e coscienti che a seconda di quello che succede adeguano la loro opinione. Di loro io penso bene».
Esistono più voltagabbana da destra a sinistra o da sinistra a destra?
«A sinistra si sono consumati abomini in questi anni e sono stati tutti celebrati come grandi passi di intelligenza e di serietà».
Tipo?
«Il ripudio del craxismo per poi adottare il craxismo come metodo politico. L’abominio è avere fatto morire in esilio un uomo che aveva una sua grande complessità certamente superiore alle sue inevitabili responsabilità».
Non era in esilio, era latitante.
«È morto in esilio».
Avvocato, aveva delle condanne passate in giudicato.
«Non si può giudicare un uomo esclusivamente per le condanne che ha riportato in un periodo di guerra».
Guerra?
«Non credo che oggi i tribunali ripeterebbero quelle condanne».
Vorrei farle un esempio di voltagabbana. Un politico che si presenta per la destra, viene eletto e porta quei voti alla sinistra. Un nome per tutti, Clemente Mastella.
«I periodi di transizione portano a queste cose. Quando viene svilito tutto, si pensa soltanto alla poltrona e questo lo hanno fatto in tanti».
Quali giornali legge?
«Mi diverte il Foglio. Molto. È un po’ un club per intimi, una cosa di vecchie zitelle. Ma è una grande idea».
Il giornalista preferito?
«Mi piace leggere Francesco Merlo sul Corriere. E Pietrangelo Buttafuoco quando non indulge troppo sulla sicilianità. E poi Giuliano Ferrara, Andrea Marcenaro».
Solo Foglio e Corriere?
«Su Repubblica ogni tanto ci sono degli sforzi individuali. Come la Milella che in questo momento sta facendo una critica attenta dentro al giornale. Posso dire che Eugenio Scalfari mi annoia?».
Dei politici chi le piace e chi no?
«Mi piace l’intolleranza di D’Alema ma il suo sarcasmo e la sua aggressività lo hanno massacrato. L’aggressività è la caratteristica della sinistra. Ma ci sono fior fiore di uomini di sinistra che pur essendo molto aggressivi sono anche molto gentili. Per esempio Macaluso, di cui io vado pazza. O Bertinotti, un gentiluomo. Gianni Letta che è un uomo gentile e moderato».
Lei diceva che la destra è più sensibile della sinistra sul problema giudiziario e sul garantismo. Eppure non sembra dare segni in tal senso.
«Questo governo di destra, proprio perché è di destra e non ha nessuna possibilità di essere confuso con tutte le vecchie storie, deve avere la forza di dire basta. Il caso di Silvia Baraldini, il caso di Adriano Sofri, ma anche quello della povera Mambro che adesso ha un bambino, devono essere risolti».
Mughini, nel caso Sofri, ha sollevato il problema della chiarezza.
«A me Mughini non interessa. Io dico che l’omicidio Calabresi risale a 30 anni or sono. Bisogna andare oltre e dire: a che cosa serve tenere in galera un maître à penser che scrive tutti i giorni sui giornali, la cui opinione viene tenuta in conto da tanti ed è un punto di riferimento per molti? È un’ipocrisia. Perfino il giudice, uscendo dalla camera di consiglio, ha detto: “Ma sicuramente gli daranno la grazia”. Ma insomma. Era la Cassazione, bastava applicare le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e il reato era prescritto».
Sul delitto Calabresi si sono pronunciati 99 giudici. Come garanzie siamo a un buon livello.
«La sentenza dice una sola cosa: che bisogna credere a Marino. Una sentenza che dice che bisogna credere a un pentito perché ha studiato dai salesiani non mi convince affatto».
Quello che decidono i giudici non va tenuto in alcun conto?
«Non va tenuto in conto nemmeno quello che pensa Adriano. E si arrabbierà per quello che dico, perché Adriano vuole essere testimone del suo martirio, e io da dieci anni dico che non collaborerò mai al suo martirio».
Nessun commento.