- 1 Settembre 2001
Nel garage, davanti al presidente della Dc Aldo Moro rannicchiato nel bagagliaio della Renault rossa, Mario Moretti, capo delle Brigate Rosse, era in preda a una crisi di panico. Gli tremavano le mani. Provò lo stesso a sparare ma la pistola si inceppò. Moretti rivolse uno sguardo in cerca di aiuto verso Prospero Gallinari. Ma Gallinari singhiozzava. Germano Maccari scansò sia Moretti sia Gallinari e si fece avanti con la mitraglietta Skorpion. Sono gli ultimi cinque secondi della vita di Aldo Moro.
Li rivela, come in una tragica scena di un film di azione, Lanfranco Pace in una intervista che uscirà domani su Sette: «Me lo raccontò Maccari stesso prima del suo processo. Era indeciso se dire ai giudici la verità. Poi non lo fece. Ora che è morto mi sento libero di farlo io», dice Pace. Sembra cadere così anche uno degli ultimi misteri sul sequestro e l’ omicidio di Aldo Moro. Non sarebbe stato dunque Mario Moretti a porre termine alla sua vita ma Germano Maccari, una figura che finora era rimasta piuttosto nell’ ombra. Germano Maccari è morto dieci giorni fa in carcere. Per questo Lanfranco Pace, figura di spicco di Potere Operaio e di Autonomia Operaia, insieme a Franco Piperno e Oreste Scalzone, si sente libero di restituire l’ ultimo spicchio di verità alla ricostruzione storica degli anni di piombo e racconta. Germano Maccari era il famoso «quarto uomo», che insieme a Mario Moretti, Prospero Gallinari e ad Anna Laura Braghetti, aveva tenuto prigioniero Moro per 55 giorni nel covo di via Montalcini. Nelle Brigate Rosse era arrivato solo da pochi mesi, reclutato da Valerio Morucci che lo aveva presentato a Moretti. La sua freddezza e la sua preparazione militare avevano colpito i brigatisti. Che però lo usarono solamente per il sequestro Moro. Con il falso nome di «ingegner Altobelli» fu Maccari ad allestire e insonorizzare il «carcere del popolo» dove fu tenuto prigioniero il presidente della Democrazia cristiana. «Maccari era contrario a uccidere Moro», ha raccontato Lanfranco Pace a Sette ricordando le parole che gli disse il suo amico qualche giorno prima del processo. «Considerava quell’ omicidio una ignominia assoluta. Però prese su di sé il peso di quella decisione tremenda, perché si riteneva un soldato. Dopo 48 ore abbandonò le Brigate Rosse. Io lo incontrai all’ università la settimana successiva. Era irriconoscibile. Gli erano diventati tutti i capelli bianchi».
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