- 27 Maggio 2004
Qualcuno lo considera l’erede di Michele Serra. La rubrica di Massimo Gramellini, dieci righe, ogni giorno sulla prima pagina della Stampa, è di quelle che possono uccidere. Guai a quel politico che entra nel suo mirino. Non importa essere di destra o di sinistra. Gramellini non sta da nessuna parte. Ma si diverte di più con la sinistra. Certa destra, dice, fa satira da sola. Basta guardarla per ridere. La sinistra no, si prende sul serio, è permalosa. Veltroni, per esempio…
Veltroni è la tua vittima sacrificale.
I personaggi pubblici sono dei simboli che mi aiutano a raccontare il mondo. Veltroni non è Walter Veltroni. Veltroni è il veltronismo, quel mondo a metà tra cinema, politica, spettacolo, quel cazzeggione superficiale che dice la prima cosa che gli viene in mente. Tu non diresti mai “Va’ dove ti porta il cuore”. Lui invece non se ne vergogna.
L’ha detto veramente?
“E allora vi dico, quando andate al voto, andate dove vi porta il cuore”.
Veltroni si arrabbia con te?
Mi dice: “Sono dispiaciuto che mi hai trattato così, però, insomma, vediamoci, sentiamoci”. Lui è uno di quelli che non ti uccide, ti abbraccia e abbracciandoti ti strangola. E’ un epuratore omeopatico.
E gli altri?
Molti mi tolgono il saluto. Sandro Veronesi, lo scrittore, del quale ho raccontato la passione grottesca per la sorella di Che Guevara, si è vendicato nel suo ultimo libro chiamando Gramellini un generale fascista.
Chi ti ha tolto il saluto?
Ferdinando Adornato, dopo che avevo raccontato i suoi molteplici passaggi politici. Come Picasso, il periodo blu, il periodo rosso, il periodo verde.
Non piace fare la figura del voltagabbana.
Mi fa impressione pensare che uno come Paolo Liguori, che era di Lotta Continua quando io ero liberale, adesso potrebbe insegnarmi il liberalismo e darmi del comunista.
La tua prima moglie era Maria Laura Rodotà. Tutti e due eravate dei giornalisti “umoristici”…
Quando ci siamo conosciuti scoprimmo che avevamo gli stessi libri. Tutti i libri di Woodehouse per esempio.
Eravate spiritosi tra voi?
C’erano dei momenti in cui le nostre litigate sembravano un film di Woody Allen. A metà ci fermavamo e cominciavamo a ridere.
Perché sei diventato giornalista?
Ero bravissimo in italiano. E solo in italiano. La maestra era ipercomunista. Si chiamava Olga, era fantastica. Ci spiegava che gli americani erano cattivi perché uccidevano i vietcong in Vietnam. Ma mio padre era filo-americano e mi diceva il contrario. Sono cresciuto in un clima bipartizan: maestra comunista e papà yankee.
Dove hai fatto il liceo?
A Torino, al San Giuseppe, scuola dei preti. Tutti i miei compagni erano più ricchi di me. Di colpo mi sono trovato come Calimero, il pulcino tutto nero.
E perché eri finito in una scuola di preti?
Mio padre diceva che le scuole pubbliche erano piene di comunisti, di spinelli, di droghe. Ricordo un prete-professore che ci iniziava alla politica. Diceva: “Ricordatevi: se siete di destra dovete votare un democristiano di destra, se siete di sinistra, dovete votare un democristiano di sinistra”.
E la classe lo seguiva?
Facemmo una finta votazione in classe. Era il ’78. Trionfò Pannella. Scrivemmo sulla lavagna i risultati. “Pr: nove voti”. Il professore disse: “Non ho nulla contro i repubblicani: anche se sono laici e massoni”. Uno disse: “Professore, Pr vuol dire radicali”. Gridò: “Pannella!”. Era sull’orlo del collasso.
Anche tu eri radicale?
Per me la parola libertà è sempre stata piena di fascino. E quando hai 18 anni, quando cominci a mettere a fuoco la tua vita, hai le prime storie d’amore, e ti succede di leggere i filosofi, Feuerbach, le dieci prove dell’inesistenza di Dio, e vuoi contestare tutto con il cervello…Oggi sono contrario, oggi penso che le cose devi viverle con la pancia, con il cuore.
Un ricordo di scuola?
Ogni mattina, quando c’era questo famoso professore democristiano, uno della classe doveva dire un pensierino che iniziasse la giornata. A me toccò il giorno del rapimento Moro. Dissi una cosa retorica e banale. Tipo: “Una pagina nera della storia italiana”. Un mio compagno simpaticissimo, Giovanni Schittino, alzò la mano e disse: “Anche Garibaldi era considerato un terrorista. In fondo le Br ci hanno fatto un piacere. Moro sta sulle palle a tutti”.
Fu sospeso?
Fu sospeso.
Ti interessava già il giornalismo?
Avevo il mito di Montanelli. Avevo in casa un suo vecchissimo libro, “Lettere a Longanesi”, raccolta di tutti gli articoli scritti negli anni Cinquanta. Diceva cose pazzesche, bocciava l’Europa unita dicendo che era un’unione di cadaveri, voleva che l’Italia diventasse il 51° Stato americano. Io leggevo uno di questi articoli, poi chiudevo il libro e provavo a riscriverlo.
Oggi quali sono i giornalisti che preferisci?
Tolgo i grandi vecchi e quelli della Stampa ovviamente, compreso l’ultimo che è arrivato, Mario Calabresi, uno giovane molto bravo. Beh, Pierangelo Buttafuoco, Francesco Merlo, Curzio Maltese, Antonio Socci, Michele Serra, Gabriele Romagnoli, Gianantonio Stella, Concita De Gregorio, la più brava delle donne, Cristiano Gatti, Giorgio Gandola, Mattia Feltri.
Torniamo alla gioventù. Amori?
Una notte di Capodanno, mi ero innamorato pazzamente di una ragazza che aveva la frangetta. Ero fissato con le ragazze con il naso all’insù, castane, con la frangetta, magre, piallate, con il broncio eterno. Si chiamava Monica, era la ragazza più bella del mondo. Ci sedemmo vicino a un attaccapanni. Le dissi: ti posso baciare?
E lei che?
Con voce metallica e sgraziata disse uno squillante “No!” Per la vergogna mi nascosi dietro la marea di cappotti dell’attaccapanni.
Tutto passa.
L’anno successivo tentai l’approccio epistolare. Per conquistare una ragazza le scrivevo pagine di un diario dove scrivevo che ero innamorato di una ragazza ma non le dicevo che era lei. Nella mia scemaggine ero convinto che non lo avrebbe capito. Finché una volta mi ritrovai il diario nella mia buca delle lettere con scritto sopra “parliamone”. Lì capii quanto le donne sono più prosaiche di noi uomini.
I tuoi miti?
Il mio primo mito musicale erano i Genesis. Quando Peter Gabriel lasciò il gruppo fu per me un trauma fortissimo. Poi arrivarono i Police, Sting, che era nato il mio stesso giorno, il 2 ottobre.
Cinema?
Mito assoluto Dustin Hoffmann. Avrò visto 40 volte “Il laureato”. C’è quella frase che lui dice alla ragazza togliendosi gli occhiali neri: “Io non sono così, anzi così mi faccio schifo”. Anche io vorrei dire una frase del genere prima o poi.
Impegno politico?
Poco. Un giorno mi beccai del fascista. Durante un seminario era entrato un gruppo di ragazzi: “Reagan ha invaso il Salvador. La lezione è sospesa. Assemblea”. Io mi alzai in piedi e dissi: “Scusate ma l’assemblea per l’invasione dell’Afghanistan quando l’abbiamo fatta che non mi ricordo?” Fascista!
Fascista no. Ma provocatore sì.
Avevo l’orrore di tutte le chiese, le processioni, i cortei, i greggi. L’unico gregge che accettavo era la curva Maratona, quella del Toro.
Qual è stato il tuo primo giornale?
Il Corriere dello Sport. Il mio primo caposervizio, Enzo D’Orsi, appena mi vide disse: “Non ti pagheremo niente, non hai nessuna possibilità di essere assunto e comunque sappi che fare il giornalista è un lavoro di merda. Accetti lo stesso?”
Brutta la gavetta.
Come da copione: i primi mesi portavo il caffè in redazione e andavo a comprare le sigarette ai redattori.
Molti giornalisti famosi hanno cominciato con lo sport.
Infatti al Corriere dello Sport ho conosciuto Curzio Maltese. Lì è nata la nostra amicizia. Io scrivevo anche per il Giorno. Il capo dello sport era Franco Grigoletti, un signore alto due metri, comunista pazzesco, personaggio meraviglioso. In redazione tirava le scarpe contro il televisore quando compariva Lech Walesa. E urlava: “Servo! Schiavo della Cia!” Fu lui che mi offrì il primo contratto regolare.
Com’era l’ambiente al Giorno?
Schieratissimo a sinistra. Il primo giorno mi mostrarono una foto. “Vedi questo signore sorridente fra Maldini e Baresi? Tra sei mesi lo vedrai in mezzo a due carabinieri”. Sono quindici anni che si dice che fra due mesi vedremo Berlusconi in mezzo a due carabinieri. E invece è sempre sorridente tra Baresi e Maldini.
Come andò al Giorno?
Mi sono divertito tantissimo. Ho fatto esperienza e ho perso quasi tutti i capelli. Mi facevano fare il turno di notte anche per sette giorni di seguito. Poi andai alla Stampa. Nella redazione romana. All’inizio sport, poi anche attualità, e politica, e televisione. Era l’epoca del mielismo. Io ero l’esperto del dice-dice. Ogni giorno bisognava chiedere l’opinione di tutti su un problema fondamentale.
Boxer o slip? Capalbio o Ansedonia?
Esatto.
Ci vuole un’agenda pazzesca.
Il trucco era crearsi un giro di dichiaratori fissi, la compagnia della parrocchia. Io avevo i miei fedeli. Per esempio Curzi. Non si negava mai. Quando lo chiamavo mi diceva: “Oggi che tte serve?” Poi Gianni Ippoliti, Roberto D’Agostino, Enrico Mentana, Alba Parietti, Marta Flavi, dei veri tuttologi.
Ricordi il tuo primo dice-dice?
Craxi al congresso di Bari aveva sudato e si era vista la canotta. Paolo Mieli mi disse: “Facciamo un pezzo sulla canotta in politica”. Andai a Montecitorio. Lo chiesi per prima a Tina Anselmi. “Onorevole Anselmi, ho molto apprezzato il suo intervento riguardo la difesa dei diritti del feto. A proposito, lei porta la canotta?”
Imbarazzo?
Da parte mia tanto. Ma mi vergognavo solo io. Bodrato mi parlò per dieci minuti delle differenza fra le Fruits of the loom e le canotte con scollatura triangolare.
Chi sono i tuoi punti di riferimento quando scrivi?
Mi piace il moralismo di Serra. Alcuni suoi pezzi li ricopio, a mano, per studiare il suo metodo, i suoi ritmi.
Molto rimpiangono il Serra satirico.
Serra ha una scrittura talmente straordinaria ed essenziale che è irresistibile anche quando fa i pezzi da santone. Succede anche a me che mi considerino quello che fa ridere. Ero a Sarajevo sotto le bombe, con i cecchini che sparavano. Gad Lerner mi telefonava: “Mi raccomando, non fare un pezzo da ridere”.
Tu per chi voti?
Ogni volta scelgo se votare da una parte, dall’altra o non votare affatto. La politica è anche un confronto di interessi. Stai meglio o peggio di cinque anni fa? Se stai meglio ridai il voto all’Ulivo, se stai peggio provi gli altri.
In definitiva per chi hai votato?
Mai pci, né dc, né fascista. In astratto mi sento un radicale. Per quanto i radicali siano lagnosi, piagnoni, narcisisti.
Tu te la prendi molto con i radical chic.
Se oggi ci fosse la rivoluzione francese la sinistra non sarebbe il Terzo Stato, ma la nobiltà, il clero. Ha perso contatto con la vita reale. Non ha niente a che vedere con i suoi elettori. L’elettore di sinistra si riconosce molto di più in Michele Serra che nel mondo snob delle terrazze romane. Prendi Enzo Siciliano: quando era presidente della Rai diceva che gli faceva schifo guardare la tv.
Un voltagabbana lo troviamo?
Nicola Piepoli, quello del Cirm. Un personaggio simpaticissimo che il 27 marzo 1994 scrisse un articolo sul Messaggero, ad urne ancora aperte: “So già chi ha vinto, non ve lo posso dire ma sappiate che è la persona di cui il nostro Paese aveva bisogno”. Capito il genio? Chiunque vincesse, lui aveva già servito il padrone. Scientifica incarnazione del pensiero del voltagabbana.
Un voltagabbana concreto?
Gabriele La Porta, direttore di Rai Notte. Una volta che lo avevo preso in giro perché era passato dalla Lega a Rifondazione, mandò una lettera al giornale in cui spiegava che nella Lega aveva cercato il lato sociale. Quindi non c’era nulla di strano nel passaggio a Rifondazione. Tipico dei voltagabbana: passi da Lenin a Formigoni perché entrambi hanno la barba. Cosa gli vuoi dire a uno così?
Tu hai frequentato gli ambienti Rai.
Un dirigente Rai sconosciuto, di cui non ricordo il nome, aveva nel suo ufficio, nel ’94, una foto che lo ritraeva con Casini. Nel ’96 aveva la stessa identica foto ma alle spalle c’era Rosy Bindi. Era un fotomontaggio.
Il nome, assolutamente.
Giuro, non lo ricordo. Mi sembra che la stanza fosse la 144. Ma forse sbaglio. Il giorno dopo le elezioni del 1994 sono andato a vedere l’effetto della vittoria di Forza Italia a Saxa Rubra. Quando entrò in redazione Fabrizio Del Noce che era considerato un uomo di Berlusconi, tutti ad abbracciarlo, destra, sinistra, centro. Compreso Badaloni.
Quale tg guardi?
Ho una passione perversa per Fede, è più forte di me, mi scappa il dito sul telecomando. La satira di destra non è il Bagaglino, che è volgare, trucido. E’ Emilio Fede. Fa satira pura. Ha raggiunto livelli di grande teatro. I commenti sulla sinistra non li legge più. Fa le smorfie. “Rutelli ha detto…mah…boh…ah ah”. Esilarante. Quello che non sopporto è l’insinuazione.
Per esempio?
Il Tg3 è un telegiornale fatto bene, ma è pieno di notizie-insinuazione. Come Fusi che da New York fa un servizio su come i ministri hanno risolto il conflitto di interessi. Non cita Berlusconi. Tira il sasso e nasconde la mano.
Ti piace il Tg1?
E’ un tg difficilissimo da fare. Solo un uomo con l’idealismo e il narcisismo di Gad Lerner poteva sperare di riuscirci.
Che tipo di giornalista è Gad Lerner?
E’ come il cronista sportivo che vuole fare l’allenatore. Lui vuole fare il politico. Prima o poi lo farà. Ma non in seconda fila. Lui va a fare direttamente il ministro.
Ti piace Vespa?
Lo accusano di essere lecchino, ma è fin troppo facile, è banale. Il politico preferisce dare le interviste a chi sa che lo tratta con rispetto. Se Vespa facesse le domande di Luttazzi, nessuno andrebbe più a “Porta a porta”.
Però i giornalisti televisivi sono spesso troppo servili…
E quello che succede negli altri settori? Basta andare a una sfilata. Vedono quattro modelle e cinguettano: “Giorgio sei un genio, grazie di questa serata meravigliosa, mi hai veramente emozionato”.
Da chi compreresti un auto usata in Parlamento?
Da Fassino la comprerei.
Da chi non la compreresti?
Da Berlusconi. Me la venderebbe senza volante, e direbbe che il volante l’ha staccato Fassino.
Ottima Claudio, letta in un sorso.
Ciao, Matteo da Rimini.
Massimo Gramellini é un MASSIMO GRAMELLINI