- 31 Agosto 2003
Claudio Martelli, Silvio Berlusconi, Irene Pivetti, Valeria Marini, Ambra, Che Guevara, Massimo D’Alema. Meglio di Zelig. Ogni volta entra nel personaggio, lo viviseziona, lo frulla. Poi lo restituisce ai telespettatori come un clone, più reale del reale ma con le contraddizioni spiattellate senza misericordia. Un’operazione radicale, spietata che Sabina Guzzanti conduce col sorriso sulle labbra. Ora che la sua “Posta del Cuore” è terminata, le chiediamo di fare un bilancio.
La sua è una satira violenta?
No, perché?
Qualcuno lo sostiene.
Violenza è una parola grossa.
Ci sarà pur qualche differenza fra lei e il Bagaglino.
Il Bagaglino non fa satira politica. Spettacolo diverso, pubblico diverso. Più popolare. Può piacere o no, ma non è giusto chiamarla satira.
Lei guarda gli spettacoli del Bagaglino?
No. Come non guardo le trasmissioni televisive di varietà, Frizzi, Carrà, Baudo.
Allora, la satira?
La satira esercita il senso critico basato sulla propria onestà intellettuale. Quando ci sono ammiccamenti vari, non è satira.
E la satira non deve essere cattiva…
No, la satira non deve fare del male. Anzi.
Anzi?
La satira deve fare del bene. A tutti.
Anche alle persone oggetto di satira?
Si, anche a loro.
Quando lei fa le sue imitazioni, sembra rubare l’anima alle persone. Ecco perché qualcuno sostiene che la sua è satira violenta.
Ma la cosa bella è proprio entrare nelle persone e cercare di coglierne l’essenza. Questa non è violenza. Altrimenti sarebbero violenti anche i pittori quando fanno un bel ritratto.
Perché una persona decide di fare le imitazioni?
Io non ho mai preso una solenne decisione del genere. Io ho deciso di fare l’attrice.
Che però fa le imitazioni, in tv.
Ma in tv faccio anche altre cose.
Sono le imitazioni che l’hanno portata al grande successo.
Le imitazioni sono un sistema per sfruttare meglio il mezzo televisivo. Usando un personaggio noto a tutti – un primo grado di lettura universale – si salta la prima fase di contatto col telespettatore.
Comunque sempre imitazioni sono.
Dal punto di vista della recitazione sono personaggi che non esistono. La mia Marini è surreale. E anche D’Alema. Un D’Alema che si innamora di se stesso non è un’imitazione. Come anche il Martelli che lascia la politica e apprezza il gusto della vita. Si ricorda?
Ricordo. Loro come la prendono?
In silenzio. Quando i giornalisti glielo chiedono rispondono sempre: mi sono molto divertito.
Invece lei sospetta…
Può darsi che qualcuno, a caldo, si risenta.
Sbagliando?
Io credo che tutti dovrebbero essere consapevoli che a loro fa bene.
Daniela Fini non era per nulla consapevole del bene che le derivava dall’imitazione di Cinzia Leone.
Daniela Fini si è fatta male da sola. Le imitazioni creano simpatia umana. La gente ride e va oltre l’orrore delle frasi. La censura rompe questo rapporto.
I suoi cloni cambiano nel tempo?
Per forza. Doverli riciclare obbliga a inventare sempre nuove chiavi. Per esempio D’Alema l’ho fatto in versione sentimentale nella “Posta del cuore” dopo averlo fatto in versione più politica del “Pippo Kennedy Show”.
Capita che i personaggi le si appiccichino addosso?
Qualche volta si. Durante il “Pippo Kennedy” non riuscivo a staccarmi dalla “mia” Valeria Marini. E anche tutti gli altri della trasmissione si erano fatti contaminare. Parlavamo tutti in quella maniera. Era diventato un incubo.
E adesso?
E adesso mi capita ogni tanto con le smorfie di D’Alema. Continuo a farle anche finita la trasmissione.
D’Alema, quando vede le sue imitazioni…
Sa una cosa? Mi secca abbastanza essere chiamata “imitatrice”. E’ riduttivo. Io faccio una quarantina di personaggi. Non sono imitazioni, sono invenzioni.
Lei ha sense of humour?
Bella domanda.
Beh…
Suppongo di sì.
Intendo dire: ha autoironia?
Si abusa del termine.
Ride di se stessa?
Si, più o meno.
E quando la prendono in giro…
Mi diverto. Ma se mi offendono mi arrabbio.
Stavo dicendo: D’Alema, quando vede le sue imitazioni, si modifica, limita i suoi tic, le sue smorfie?
Direi di no.
Persevera? Continua a dire “diciamo”?
Continua. Non si controlla. Comunque i tic conviene averli e conservarli. Andreotti insegna. Il pubblico ama i difetti non i pregi. I personaggi famosi piacciono di più quando diventano umani. La Marini per esempio in questo genere di calcoli è abilissima. Ripete cose di cui si vergogna a morte.
Per esempio?
Una volta, dovendo fare delle citazioni colte, disse “Bernardino Croce”. Ci fu una risata generale. Allora lei, dopo un po’, l’ha ridetto. Insomma la prima volta ha sbagliato senza volerlo, per ignoranza pura. La seconda per calcolo, perché capisce perfettamente quello che funziona.
Suo padre, il giornalista, faceva imitazioni…
Vede? Sempre imitazioni. Poi le rispondo alla domanda su mio padre. Ma prima voglio chiarire che le imitazioni sono un mezzo, un veicolo per utilizzare schemi comici. Il varietà che ho scritto, “La posta del cuore”, è un varietà intero. Ci sono molte invenzioni, molti meccanismi comici. Cose nuove come Michele Cucuzza che usa il suo Tg per fini personali, intimi. Elementi surreali. Si creano giochi fra realtà e finzione.“La posta del cuore” è un programma complesso. Dietro c’è un lavoro importante. Chiamare tutto questo “imitazione” è proprio irritante.
L’imitazione è un grimaldello per arrivare prima a contatto col telespettatore. L’abbiamo già detto no? Ma suo padre?
Mio padre ci ha trasmesso attenzione e conoscenza per il comico in generale.
Faceva le facce, le voci. Imitò pubblicamente Pertini…
E’ vero, aveva una certa dimestichezza con le imitazioni. Ma ci faceva soprattutto leggere molti fumetti, ci faceva ascoltare Arbore. Ci trasmetteva la sua passione per Dario Fo, per Franca Valeri. Questo mi è tornato utile.
Gli “imitati” collaborano? Le danno una mano a perfezionare il personaggio?
Sinceramente: mi scoccia parlare sempre da imitatrice. Io nelle imitazioni non mi ci riconosco proprio.
Nessun commento.