- 18 Ottobre 2000
Nelle polemiche ci sguazza. Sono il sale della vita politica e culturale. Una volta Bettino Craxi lo insultò pesantemente: “Paolo Flores d’Arcais è uno stronzo. Anzi, mi correggo: è due volte stronzo. E adesso vediamo se mi querela”. Paolo Flores d’Arcais non lo querelò. “Craxi visse la mia rottura come un tradimento. Pensava che avendo io accettato di fare Mondoperaio avessi fatto una specie di patto di sangue con lui”. Usiamo la parola: ti dettero del voltagabbana. Prima comunista, poi gruppettaro, poi socialista. Anche Giancarlo Perna, sul Giornale, ha ironizzato sui tuoi percorsi politici. “Se qualcuno ha bisogno per scopo polemico di dire che sono un voltagabbana faccia pure. I miei valori, giustizia, libertà e metodo della trasparenza sono sempre rimasti gli stessi. Io credo al dovere della ingenuità: dare credito ai politici quando promettono qualche cosa. E lasciarli quando tradiscono”. L’ultimo traditore è Massimo D’Alema, il politico che l’ha deluso più di tutti. La polemica è recentissima e riguarda il dossier Di Pietro, quello che parlava di telefonini, di Mercedes, di prestiti. L’ultima versione, quella che sosteneva che erano stati gli ex comunisti a prepararlo e a diffonderlo ha visto la reazione veemente di D’Alema: “Noi abbiamo sempre sostenuto i giudici di Mani Pulite”. Eh no! E’ intervenuto Flores d’Arcais e ha raccontato un episodio di quattro anni fa, una cena in cui D’Alema avrebbe parlato malissimo dei giudici del pool milanese. Cominciamo da questo episodio per raccontare, insieme al direttore di “Micromega”, un altro episodio del nostro viaggio sul filo della memoria, ricordando gioventù e gavetta, alla ricerca dei truccatori del passato, dei voltagabbana.
Perché hai tirato fuori quell’episodio dopo tanti anni?
D’Alema ha usato una menzogna, il suo sostegno a Mani Pulite, come architrave di un ragionamento in polemica molto dura con Di Pietro. Io avevo il dovere morale di testimoniare che lui detestava i giudici di Mani Pulite.
Raccontaci di quella cena.
Non racconto nulla. Dico solo che rimasi stravolto sentendolo parlare in quella maniera dei giudici. Disse tante altre cose che ovviamente mai scriverò sui giornali. Il suo ero un vero e proprio odio teologico nei confronti di Mani Pulite.
Come era nato quel discorso?
D’Alema si era lamentato delle difficoltà che gli creavano i “cespugli centristi”. Io gli avevo ribattuto con un consiglio: “Puoi risolvere tutti i problemi di rapporti con il mondo moderato alleandoti con Di Pietro”.
Tu pensi che Di Pietro sia un uomo di destra?
Ho sempre pensato che in un Paese europeo Di Pietro, insieme a Dini, a Monti, a Fazio sarebbe uno dei capi della destra. E sarebbe una destra civile.
Torniamo alla cena.
Era il 96. La popolarità e il seguito di Di Pietro era enorme. Questo dissi a D’Alema.
E D’Alema?
Si infuriò, ne disse di cotte e di crude su Mani Pulite. Sosteneva che Tangentopoli era stata un complotto contro il Pci-Pds. Ho anche pensato: forse sa qualcosa che noi non sappiamo.
Tu sei considerato uno dei capi del giustizialismo. I garantisti sostengono che…
Io sono uno dei capi del garantismo. Del garantismo vero.
In effetti la destra ti ricorda molto garantista ai tempi degli anni di piombo. Allora accusavi i giudici di usare i pentiti contro gli imputati del 7 aprile. Ricordi?
Certo che ricordo e questo conferma che sono sempre stato per il vero garantismo, allora come ai tempi del caso Tortora. Il garantismo di oggi è un garantismo imbroglione, quello di chi si mobilita solo per difendere ricchi e potenti. E che per tutti gli altri, i poveracci, chiede “tolleranza zero”.
Dimmi una cosa. Perché sei sempre all’opposizione? Sei votato all’eresia?
Non credo che esista il Dna dell’eresia, ma se uno sente come bisogno di esercitare lo spirito critico, l’eresia diventa una condizione esistenziale quasi ovvia. Per fortuna viviamo in epoche in cui si può essere eretici senza rischiare niente di grave. Al massimo, come me, l’espulsione dal Pci.
Perché entri sempre in partiti nei quali non puoi rimanere?
Nel Pci ero entrato giovanissimo, all’università, filosofia. Ero uno dei capetti della facoltà, presidente del circolo universitari comunisti, avevo fatto la scuola di partito Marabini a Bologna, ero iscritto alla Fgci. C’era molto fermento nella Fgci di allora. Frequentavamo la parte più viva del movimento giovanile comunista mondiale, come Crivine e Weber che sarebbero stati i dirigenti dell’ala trotzkista durante il maggio francese. Nel circolo universitario io accentuai la fronda che divenne proprio opposizione, critica della linea del partito da posizioni di sinistra libertaria, utilizzando ideologie interne alla storia del movimento operaio, da Rosa Luxembourg a Trotzkj, al Gramsci del “Consigli” o quello della svolta di Lione.
Ma attaccasti Togliatti in occasione dell’anniversario della sua morte.
In un clima che doveva essere di apologia io feci un intervento sui suoi crimini. Da Pietro Tresso, nome di battaglia Blasco, il dirigente comunista espulso e poi ucciso per delazione in Francia durante la resistenza, ai crimini in Spagna dove Togliatti era delegato personale di Stalin e quindi responsabile del massacro dei dirigenti del Poum e degli anarchici, fra i quali l’italiano Berberi.
E la cosa non piacque.
Venni considerato un provocatore.
Effettivamente…
Avevo con me la stragrande maggioranza del circolo universitario comunista. Poi scrissi un articolo su Rinascita, firmato anche da Renato Nicolini, che cominciava: “Siamo in dissenso con le tesi del congresso”. Violava tutte le regole non scritte del centralismo democratico. La risposta durissima di Pavolini ci trattava da provocatori.
Ancora.
Poi diffondemmo il documento di Kuron e Modzelewsky, i dissidenti polacchi. Infine l congresso dell’Ugi, la sinistra universitaria, nel 67. Con i brogli di Claudio Petruccioli.
I brogli di Petruccioli? Questa è una notizia.
L’opposizione di sinistra era pronta a prendere in mano l’Ugi e trasformarla nella prima organizzazione alla sinistra del Pci. La maggioranza era nettamente per il nostro candidato, Luigi Bobbio. Ma la commissione verifica poteri depennò gran parte dei nostri delegati. Un vero e proprio broglio elettorale scientifico, realizzato da Spano, presidente uscente, De Michelis e Petruccioli.
Ne hai mai parlato con Petruccioli?
Mi è capitato, amichevolmente: “Beh, che bei brogli faceste quella volta, ti ricordi?”
E lui?
Rispose con delle risatine imbarazzate.
Quando ti hanno espulso?
Subito dopo. Relatore per l’espulsione dalla Fgci fu Renato Nicolini, che era sempre stato sulle mie posizioni. La logica classica del Pci era che ti doveva accusare uno che era stato dissidente e che poi ci aveva ripensato. Ma dalla Fgci non riuscirono a cacciarmi. La pensavano tutti come me. Allora mi cacciarono dal Pci, dalla sezione Balduina, segretario Claudio Fracassi. In appello confermò la mia espulsione la federazione romana del partito, i capi erano Trivelli e Verdini. Votarono per la mia espulsione anche quelli che un anno dopo avrebbero dato vita al Manifesto. Tutto il gruppo di Natoli per esempio.
Poi ci fu il ’68.
Io fui alla testa del movimento studentesco romano per pochi mesi insieme a Franco Russo, Perris, il fratello di Petruccioli, Mattioli, Scalia, Piperno, Scalzone. Ci fu l’occupazione dell’università, Valle Giulia. Noi eravamo arrivati con un paio di ceste di uova marce. Loro spararono lacrimogeni, noi rispondemmo con i sassi.
E poi?
Poi andai in Francia. I miei amici trotzkisti avevano organizzato un incontro con tutte le eresie giovanili d’Europa. E mi ritrovai in pieno Maggio Francese. La notte delle barricate fu una battaglia veramente forte. Si incendiavano le macchine e le si buttavano verso i Crs, i corpi speciali che rispondevano con lacrimogeni e bastonate. Feci tutto il maggio in Francia e poi tornai in Italia. E scoprii che il Movimento stava inesorabilmente cambiando. Era scoppiata l’egemonia dei filocinesi, noi libertari eravamo emarginati, il capo riconosciuto era Luca Meldolesi, un economista, che fu poi tra i fondatori dell’unione dei marxisti leninisti, quella di Brandirali, Servire il popolo. A Milano Capanna, anche lui filocinese, anzi, Stalin-Beria-Ghepeù. Per noi che eravamo luxembourghian-trotzkisti, sempre meno trotzkisti e sempre più libertari, era dura. Fondammo un gruppetto e una rivista, Soviet. La disegnò Ruffolo, era elegantissima. Nel frattempo mi ero sposato con una dissidente polacca.
Eresia anche nel matrimonio.
L’emarginazione del settore libertario la constatai con grande amarezza quando cominciarono i processi contro la primavera di Praga. Nessuno protestò. Nemmeno il Manifesto o Lotta Continua. Quando Kuron e Modzelewsky furono arrestati di nuovo, io organizzai un appello. Rifiutarono quasi tutti di firmarlo, perfino Lucio Lombardo Radice che passava per essere uno vicino al Manifesto. Il rifiuto che mi amareggiò di più fu quello di Vittorio Foa.
Vuoi dire che nella sinistra la libertà era poco popolare.
Io sono diventato di sinistra perché inseguivo due valori importanti: giustizia e libertà. Questo io cercavo nel comunismo. Ma non l’ho trovato.
In Soviet chi c’era?
Franco Moretti, critico letterario che ora insegna in america, ancora oggi il mio migliore amico, mio fratello Marcello, Luca Codignola, Mariella Gramaglia.
C’era anche Nanni Moretti.,
Giovanissimo. Stava girando “Io sono un autarchico”: ho fatto una porticina anche io, qui a casa mia. Ho detto quattro battute ma devo averle dette male. Non mi ha mai più chiamato.
Quando hai abbandonato il marxismo?
Attorno al 74. Quasi contemporaneamente a Colletti. Ma lui verso destra, io verso sinistra. Lui cominciò a frequentare gente come Ronchey e lo storico Romeo. E scivolò via verso Forza Italia.
Voltagabbana?
Colletti non è un voltagabbana. Come tanti ex comunisti ha messo in discussione i capisaldi del comunismo e anche i valori che a parole il comunismo diceva di voler realizzare. Quindi hanno scelto posizioni di destra. Come Giuliano Ferrara. Non sono voltagabbana.
Chi è voltagabbana allora?
Paolo Guzzanti, per esempio. Quando io l’ho conosciuto bastonava i corrotti invece che difenderli come fa oggi. Ricordi la sua famosa intervista a Evangelisti? “A Frà, che te serve?”
Perché Guzzanti è un voltagabbana e Colletti no?
Paolo Guzzanti era coraggioso una volta. Oggi vomita veleno e ingiurie contro i magistrati.
Ripeto, in che senso lui è voltagabbana e Colletti no?
Perché Guzzanti non rinnega, non dice: “Sbagliavo tutto quando facevo “A Frà che te serve”. Ero un feroce giustizialista fanatico che voleva distruggere una brava persona”. Lui rivendica quell’episodio, vuol far credere che oggi, come condirettore del Giornale, è in continuità con allora.
Altri voltagabbana come lui?
Mi sorprendo ogni volta che vedo comunisti, ex comunisti, redattori dell’Unità che nel giro di poche settimane riescono a passare su lidi opposti.
Nomi?
Rondolino? Renzo Foa? Può quello che è stato il direttore dell’Unità scrivere articoli di fondo sul “Giornale” di Berlusconi? Ma oltre ai voltagabbana, che sono sfacciati, smaccati, autosqualificanti, c’è un altro fenomeno che pesa di più, quello dei cerchiobottisti. Oggi i cerchiobottisti hanno conquistato una sorta di egemonia culturale nei mass media che hanno potere. Parlo di Angelo Panebianco, Pierluigi Battista, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, Paolo Mieli. Scambiano l’imparzialità con l’equidistanza. Mettono sullo stesso piano errori politici della sinistra e crimini della destra. Slalomisti.
Torniamo alla tua vita tormentata. Approdi al Psi di Craxi e ne vieni velocemente cacciato.
L’editore Massimo Pini mi portò a conoscere Bettino Craxi. L’incontro fu semplice. Io dissi: “Voi avete questo progetto socialista, nenniani e lombardiani, ma perché oltre a lanciare questo progetto, i socialisti rubano?”
Grande diplomatico. E Craxi che cosa rispose?
“Provvederemo a rinnovare anche questo”. Mi fu proposto di organizzare un centro culturale, Mondoperaio, mi furono date garanzie di autonomia. Craxi e Martelli mi dissero: la nostra politica è quella degli intellettuali disorganici.
Eppure nessuno più di Craxi odiava il dissenso interno.
Ci sono stati due Craxi. Un Craxi non craxiano che aveva come riferimento ideologico Norberto Bobbio, e come progetto politico quello dei giolittiani. E un Craxi craxiano, quello che cominciò ad appoggiare il governo. Quando Craxi divenne craxiano io scrissi sull’Europeo un articolo intitolato “Dal progetto alle poltrone”. Il giorno dopo venivo cacciato da Mondoperaio. Per continuare ad essere critico nei confronti del Pci e della Dc non restava che mettermi in proprio, con una rivista tutta mia. E’ nata così Micromega.
Sei anche uno dei fondatori del Pds. Anche lì è durata poco.
Occhetto aveva detto che voleva rifondare il partito insieme alla Società Civile. Io ci ho creduto. Ma le promesse andavano mantenute. Il Pds ridiventò subito un partito con le solite correnti. Invece di esserci un centralismo democratico ce ne erano tre. Dopo un anno uscii.
La doppiezza degli ex comunisti…
Micromega ha sempre criticato questa nuova versione della doppiezza comunista che è l’”inciucismo” dalemiano. Incrocio fra il tradimento dell’identità del partito e il masochismo.
D’Alema masochista? Non è cinico e realista?
Berlusconi nella primavera del 1996 era finito. Basta rileggersi i giornali dell’epoca. Come politico si discuteva su chi sarebbe stato il suo successore, come imprenditore era pieno di debiti, come cittadino era sulla soglia della galera. D’Alema, pensando di essere più furbo e di coltivarsi un avversario di comodo, gli ha ridato forza e potere con l’inciucio della Bicamerale.
Ci sono differenze tra dalemiani e veltroniani?
Sono faide interne e sorde. Contrapposizione semmai c’è fra la base e i vertici. La base è per una giustizia uguale per tutti. I vertici no.
Tu che sei considerato un difensore di Di Pietro…
Di Pietro l’ho difeso e attaccato. Anche recentemente.
Però il suo comportamento su telefonini, Mercedes e prestiti…
Di Pietro ha spiegato tutto.
No, non ha spiegato nulla.
Episodi certamente sgradevoli. Ma lui per primo ha chiesto scusa agli italiani. Quanti sono i politici che per episodi mille volte più gravi hanno chiesto scusa? Sono episodi sgradevoli, lo ripeto, ma se il protagonista ha chiesto scusa che cosa si vuole di più?
Chi sono i tuoi nemici?
Ce ne sono tanti.
Parliamo allora di delusioni.
Ce ne sono tante.
Scriveresti di nuovo un libro con Mughini?
Con lui potrei scrivere solo un libro in contraddittorio. Malgrado tutto, ho ancora dell’affetto per Giampiero.
Con Galli Della Loggia hai fatto un giornale insieme.
Con Galli Della Loggia non farei nemmeno un libro in contraddittorio. Di lui non ho più stima. Troppo cerchiobottismo e troppo doppiopesismo.
Di Colletti sei stato allievo.
Per lui ho riconoscenza. Ma mi rattrista il viscerale odio che dimostra verso i magistrati.
Per chi voti?
Alle provinciali e alle regionali non ho votato. Ma alle prossime voterò perché ritengo che con una vittoria di Berlusconi sarebbe a rischio la democrazia. Questa volta veramente non faranno prigionieri, come diceva Previti. Ci aspetterebbe una democrazia peruviana alla Fujimori.
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