- 31 Luglio 2003
Lo avevo intervistato dieci anni fa, quando aveva appena compiuto 61 anni. Mi aveva detto: «La mia televisione è vuoto pneumatico». Gianni Boncompagni è l’autore di Pronto Raffaella, di Non è la Rai, di Macao. Adesso che ha passato la soglia dei 71 anni, è cambiato qualcosa nella sua televisione?
«Niente».
Sempre televisione vuota?
«Si faccia avanti chi pensa di fare cose che rimangono nella storia. La televisione è come il chewing-gum. La mastichi un po’, senti il sapore, poi la butti».
Non hai voglia di fare televisione impegnata?
«La televisione d’inchiesta è facilissima da fare. Difficile è fare quella stupida».
Il solito paradosso.
«Fare un programma che non si guarda non ci vuole niente. Metti cose incomprensibili. Fatta».
Magalli mi ha detto: sono meglio della televisione che faccio.
«Come dicevano a scuola: se si impegna può fare meglio. Anch’io posso fare meglio. Magalli è spiritoso. Abbiamo fatto programmi insieme».
C’è dibattito: chi ha inventato il vaso con i fagioli?
«È da rivendicare?».
Completezza dell’informazione.
«Io. Ma la verità è che l’avevo copiato da una televisione privata».
Tu guarderesti i tuoi programmi?
«No. Solo adesso, la notte, guardo le repliche di Non è la Rai. Era una trasmissione molto carina, ingenua, innocua. Quando la mattina vedevamo entrare quelle duecento ragazzine al centro di produzione del Palatino, fra colonne romane, pini, colli, sole, ci dicevamo: ‘Il paradiso deve essere così’».
Una volta hai detto: è indifendibile, ma ho visto di peggio.
«Ribadisco».
Cosa di peggio?
«Tette e culi. Io non ho mai fatto tette e culi. Le mie ragazzine erano perfette, non truccate, magre, prive di qualunque malizia voluta».
Ti accusavano del contrario. Sexy morboso.
«Se vuoi, puoi trovare morbosità anche nella Bibbia».
E la storia dell’auricolare? Trattavi Ambra come fosse un pupazzetto ai tuoi ordini.
«Ambra era bravissima. Capì il gioco, lo assimilò subito, lo metabolizzò immediatamente. La trovata fu che una ragazzina di 15 anni dicesse cose che ignorava. Facevo le citazioni più impossibili. Lei le sbagliava e si metteva a ridere. Ci siamo divertiti molto. Era simpaticissima».
Sei sempre stato un appassionato di ragazzette giovani.
«Ho avuto fidanzate molto più giovani di me, vabbè però?».
Magalli ha fatto la spia: adesso stai con una ragazza che ha 50 anni meno di te.
«Anche se volessi andare con una mia coetanea sarebbe difficile perché sono quasi tutte morte».
Ma il tuo è un vizio?
«Una volta ho incontrato una ragazza e le ho chiesto: ‘Quanti anni hai?’. ’18’. ‘Oh madonna mia, 18 anni. Ah, se avessi qualche anno di meno’. E lei cortese: ‘Ma non importa, non è l’età anagrafica quella che conta’. Ed io: ‘Ma che cosa hai capito? Ho detto: ‘Se tu avessi qualche anno di meno’».
Ho capito: è un vizio.
«No, è una barzelletta».
Parliamo delle donne «professionali».
«Io ho avuto fidanzate ‘professionali’. Isabella Ferrari è una che è diventata un’attrice famosa. È diventata anche colta. Io non c’ero riuscito a farle leggere i libri. Le si chiudevano gli occhi alla prima pagina. C’è riuscito un fidanzato intelligente, Marco Tullio Giordana. Adesso sono vent’anni che Isabella legge un libro al giorno».
Altra fidanzata «professionale», Claudia Gerini.
«Parla quattro lingue, è molto in gamba, informata di tutto, viaggia molto. Con lei mi sono divertito molto. Era spiritosa, simpatica, intelligente. Aveva un grande senso dell’umorismo. Ha avuto un grande maestro, me».
Anche Raffaella era una fidanzata «professionale».
«Con lei sono stato dieci anni. Tre anni più che con mia moglie».
Come passavate la giornata tu e Raffaella?
«Perché?».
Perché siete così diversi.
«È vero. Lei era una stakanovista. Io lavoravo molto poco. E lei si arrabbiava perché guadagnavo il doppio di lei».
Litigavate?
«No. Io trovo insopportabile il litigio».
Una vita in Rai e quattro anni a Mediaset, il tempo di fare Non è la Rai, le ragazzine che ballavano e cantavano, Ambra, l’auricolare. Come andò? Anzi, perché andasti a Mediaset?
«Fu Berlusconi a chiamarmi. Dopo Pronto Raffaella mi avevano fatto la corte tutti quanti. Era stata una rivoluzione. Prima c’era il monoscopio. Con Pronto Raffaella avevamo intercettato le massaie. A me piace quel pubblico».
La prima serata non ti piace?
«È il momento dei telemorenti. Me li immagino davanti al televisore, co la flebo, il prete pronto per l’estrema unzione, il notaio nel caso vogliano cambiare testamento. Tutti analfabeti. Appena c’è qualche parola diversa non capiscono. Capiscono solo ‘cane’, ‘pane’, ‘minestrina col dado’. Stanno lì col plaid anche d’estate e non comprano mai niente. A me la prima serata non piace. È preda dei format. Io sono un regista-autore. I format li può fare chiunque».
Tu hai cominciato alla radio.
«Alla radio svedese. Andai in Svezia a 18 anni con un mio amico e ci rimasi otto anni».
Il mito provinciale dell’amore libero, delle belle svedesi senza inibizioni?
«Nella mia città, Arezzo, negli anni ’50 non c’erano nemmeno i semafori. Erano tutti comunisti e si sposavano tutti in chiesa».
Anche tu eri comunista?
«Tutti eravamo comunisti. E leggevamo tutti i testi comunisti».
Marx? Gramsci?
«Non esageriamo. Le cose che andavano allora, Sartre, Pavese. Mi costringevano anche a leggere tutto Proust. L’ho letto capendo quasi niente. E poi la musica sinfonica. Il sabato sera ci riunivamo tutti a casa mia a sentire alla radio i concerti Martini e Rossi, in diretta da Torino».
Ricordo.
«No, non ricordi niente. Non eri nemmeno nato. Abbiamo passato anni ad Arezzo e non si faceva niente. Dopo aver mangiato la minestrina a casa, ci vedevamo in piazza Guido Monaco, quello che ha inventato le note musicali, alle due. Una piazzaccia, non c’erano alberi, sembrava di stare a Bengasi. Nessuno di noi aveva soldi, tranne uno che si chiamava Sacchi e che comprava due Nazionali, mi ricordo, due Nazionali. Non facevamo niente. Ma leggevamo tanto. Ad Arezzo non c’erano nemmeno i telefoni. E in quei pochi che c’erano, si urlava. ‘Prontooooo!’. Quando vidi gli svedesi che al telefono sussurravano pensai che mi stessero prendendo in giro».
Che tipo eri con le donne allora? Geloso?
«No, ma figurati!».
Ricordi la prima ragazza?
«Certo che la ricordo».
Svedese o aretina?
«Aretina? Non esistevano donne ad Arezzo. Ricordo solo uomini. Al massimo strane compagne di scuola tutte intabarrate in maniera tale che non si capiva che cosa c’era sotto. Grembiuloni, cappottoni. Aliene».
Allora? Il primo amore?
«Finlandese. Anita. Figlia di un famoso chirurgo. Incredibile, andammo in una sua villa, noi due, c’era anche il padre. Ero terrorizzato e allibito. Era tutto molto diverso lassù al Nord».
È per quello che non sei tornato ad Arezzo?
«La prima volta che tornai ad Arezzo, in treno, alla stazione sentii l’annuncio: ‘Arezzo, stazione di Arezzo’. Mi dissi: ‘Non ce la faccio, torno indietro’. Sembrava di tornare nel Medioevo».
Che cos’è per te l’amore?
«Mi viene in mente Susanna Agnelli quando disse al fratello: ‘Sai Gianni, mi sono innamorata’. E il fratello rispose: ‘Innamorata? Ma solo i domestici si innamorano’».
Vale anche per te?
«No, ma insomma?».
Gianni, ti sei mai innamorato?
«Non sono uno di quelli che perdono la testa».
Quindi non ti sei mai innamorato.
«È fondamentale avere la panchina lunga».
Chiarisci. Stai parlando di riserve?
«Una se ne va e ce n’è subito un’altra. Boom! Più carina, più giovane. Ma dobbiamo parlarne?».
Ti secca?
«No, ma chissà che cosa pensa la gente».
E che deve pensare? Che a 90 anni ti metterai con una quindicenne. Tradimenti?
«Poca roba. Sono monogamo. Panchina lunga ma una alla volta».
Se vieni tradito ti secca?
«Sì. Abbandono subito, arrocco e chiudo».
Per forza, hai la panchina lunga.
«Ho preso dalle svedesi. Se la storia è finita è finita».
Non riesco a credere che tu non sia mai stato innamorato.
«Ho avuto momenti di grande passione. Isabella Ferrari mi piaceva tantissimo. Era una storia d’amore molto tenera, bella. Claudia Gerini non ne parliamo, fu una storia stupenda».
Corteggi o vieni corteggiato?
«Tendo a farmi corteggiare, a volte ci riesco. Io non sono un corteggiatore purtroppo. L’unica mia arma è la chiacchiera, le stordisco parlando. Per questo ho sempre odiato le discoteche. Fra 150 anni gli storici parleranno delle discoteche di fine millennio come di un luogo di tortura. Diranno: ‘Ci andavano di notte, sempre in piedi, si agitavano, sudavano, venivano accecati dai laser, assordati da suoni sempre uguali. Finché non confessavano’».
Il tuo primo guadagno?
«In Svezia. Ho fatto l’interprete ad un’asta di pellicce. Mi hanno dato un’enormità, 300 mila lire. Spesso facevo lo chaperon agli italiani importanti che arrivavano in Svezia. Quando Quasimodo venne per l’Oscar lo accompagnai dovunque, musei, gallerie. Alla fine, distrutto, mi disse: ‘Ma qua non si fotte?’».
Che altro facevi?
«Per un po’ ho scritto novelline, racconti, short stories. Una cosa noiosissima.
Quando non ce la feci più mandai all’editore dei racconti di Agata Christie».
Una truffa.
«L’editore mi chiamò e mi disse: ‘Gli ultimi racconti fanno schifo’. E mi licenziò».
Il primo guadagno nello spettacolo?
«Le canzoni. Ho scritto Il mondo, la canzone di Jimmy Fontana. Ci ho comprato una casa. Venti milioni. Tutte le canzoni di Raffaella ancora mi rendono un sacco di soldi».
Il guadagno più pazzesco che hai avuto?
«No, non lo voglio dire. Sono cifre esagerate. Un lettore direbbe: ma guarda che stronzo! Lo direi anch’io».
Certo, visto che sei comunista.
«Non vedo perché se sono comunista devo rifiutare i soldi che mi danno».
Ma sei comunista?
«Alla Rai sono sempre passato per comunista. Quando ti attribuiscono una patente è come un marchio. Comunista? Comunista. Ma comunista all’acqua di rose. Mica un attivista».
Comunista o no?
«Ho sempre votato comunista, frequentavo Giorgio Amendola, ed ero amico di Giorgio Cingoli, direttore di Paese Sera. Laureato comunista. Ma non facevo le manifestazioni».
Non andavi ad attacchinare.
«No. Però andavo a festeggiare a Botteghe Oscure quando si vinceva».
L’ultimo voto che hai dato?
«Vorrei tenerlo nascosto. Sono sempre uno di sinistra, però è una cosa così vaga. Quelli di sinistra sono noiosi, religiosi. Ma sono noiosi anche quelli della sinistra che vanno a destra. Io in ogni caso ho anche amici a destra. Il mio più caro amico è un senatore di An, Giuseppe Consolo».
Quando vedi un vecchio comunista passato a destra che impressione ti fa?
«Non lo trovo un peccato grave. Perché uno deve essere monoteista? Come stare sempre con la stessa donna per 80 anni. È una stronzata».
A te hanno mai dato del voltagabbana per aver fatto avanti e indietro Rai-Mediaset?
«No, non me l’ha detto nessuno. Al primo che me lo dice gli faccio vedere il mio contratto e lo convinco. Sai chi mi dà fastidio? L’oncologo mondano che va alle feste. Il magistrato festaiolo che frequenta le terrazze. Quelli che danno gli ergastoli, quelli da cui dipende la vita di un uomo devono stare a casa, a studiare. Non andare al Billionaire».
Che cosa pensi dell’adulazione? Ci sono trasmissioni in televisione che vengono accusate di piaggeria.
«Ma è il loro mestiere. Il presentatore è un adulatore per definizione. Mica può dire all’invitato: lei è un grande stronzo. Chi va in televisione pecca di vanità. Costanzo è un gestore di vanità. Sfrutta la vanità dell’uomo. Se trattasse male la gente non ci andrebbe più nessuno. L’adulazione è spesso una forma esasperata di educazione».
Chi è che ti piace a destra?
«Mi avvalgo del quinto emendamento».
Ma dai.
«Dei politici me ne piace solo uno. Francesco Cossiga. Incondizionatamente. È originale, colto, brillante, racconta cose meravigliose. Un vero entertainer».
Berlusconi?
«Come politico? Preferisco non parlarne. È sempre stato gentile nei miei riguardi. Non ne voglio parlare male».
Come l’hai conosciuto?
«L’ho incontrato a via dell’Anima. Mi convinse subito. Era un venditore nato. Ma non mi ha dato la sòla. Anzi mi ha dato un sacco di soldi. Da allora l’ho incontrato due o tre volte. Un simpaticone. Mi racconta sempre delle barzellette. Roba da matti».
Una barzelletta che ti ha raccontato?
«Ma non scriverlo. Quella di Natalia Estrada alla quale la mamma ha detto: ‘Brava, vai in Italia, fatti una famiglia’».
Ti telefonava spesso?
«Sì. Oppure telefonava al capo di Roma, Vasile, che me lo passava. Ma io non capivo nulla perché sono un po’ sordo, lui parla sempre sottovoce e il cellulare di Vasile faceva schifo. Allora io dicevo: ‘Sì, sì, sì’. E quando capivo che mi raccontava una barzelletta, ridevo. E ogni tanto: ‘Ok, va bene’. Poi Vasile riprendeva il telefono e diceva: ‘Dottore, quante volte glielo debbo dire??. Boncompagni non ha capito un tubo’».
È vero che litigavi con Chiambretti durante Chiambretti c’è?
«Ma no. Era solo un modo diverso di fare la televisione. Lui è un professionista, io sono uno che non prende mai sul serio quello che fa. Lui passa tutto il tempo a parlare del programma. A me non me ne frega un cazzo del programma. Ma Chiambretti è un ottimo personaggio, non è arrogante, non è avido, non è marchettaro. È professionalissimo. Purtroppo ci crede troppo. Il mio slogan è: ‘presto e male’. Meglio che ‘Lentamente e male’».
Ma «Presto e bene»?
«Presto e bene non ci riesce nessuno».
Gioco della torre. Uno solo. Renzo Arbore o Raffaella Carrà?
«Salvo Renzo. Tra uomini ci capiamo di più».
Tra uomini si lavora meglio?
«Con Magalli si è riso molto. Anche lui è uno di quelli che arriva all’ultimo momento. Abbiamo un sacco di affinità elettive. Parla, straparla. Io gli dico: ‘Magà, smettila di fare battute. Non ti fanno più lavorà’. Ma lui non rinuncia a parlar male di qualcuno. È una specie di patologia. La malattia delle battute».
Tu non hai battute?
«Ce l’ho anch’io le battute».
Però non le dici.
«Se qualcuno mi dà 5 milioni di euro le dico anch’io».
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