- 12 Maggio 2005
Ricordate la fine del processo Andreotti a Palermo? Il suo avvocato, una giovane donna, alzò lo sguardo al cielo e urlò: «E vai!». E anche in appello, sempre assoluzione, sempre lei, Giulia Bongiorno, scaricò la tensione urlando: «Assolto, assolto, assolto!». In poco tempo le si aprirono le porte di molti altri processi importanti, Pacini Battaglia, Cragnotti, Piero Angela, Totti, Bettarini, Forleo fino al caso Impregiro. Ma tutto era cominciato quando, giovanissima, era stata associata dall’avvocato Sbacchi e dal professor Coppi alla difesa del senatore a vita, il divino Giulio, impelagato in due processi da brivido. «La mia vita si divide in due parti», dice Giulia Bongiorno. «Prima e dopo Andreotti».
Un processo costato miliardi.
«I costi degli avvocati non erano elevatissimi. Andreotti non si sarebbe potuto permettere il processo se avessimo chiesto onorari normali. Ma era un processo complicatissimo. Io viaggiavo tutte le settimane tra Perugia, Palermo e Roma. Le spese di trasferta per l’esame dei 50 i collaboratori di giustizia, alcuni dei quali sparsi nei bunker di tutta Italia, erano enormi. Sono state prodotte un milione e duecento mila carte da fotocopiare. Diciotto euro ogni 50 pagine se richieste con urgenza.».
Un miliardo solo per fotocopie.
«Il calcolo lo ha fatto lei».
Immagini di rimanere coinvolta in un processo del genere…
«Non me lo potrei permettere. La prima cosa che dico ai miei nuovi clienti è: “Le è capitata, è una disgrazia. Faccia conto che le sia venuto un tumore”. Io non mi chiedevo solo se Andreotti sarebbe stato assolto. Mi chiedevo se avrebbe fatto in tempo a leggere tutte le carte, se sarebbe arrivato vivo in Cassazione».
Quando un signore entra nel suo studio quanti soldi ha già perso?
«Dipende dalle spese che si devono affrontare. In linea di massima da 3 mila a 100 mila euro che nessuno gli ridarà in nessun caso. Il consiglio che io do è: “Non chiedetevi perché è arrivata questa disgrazia proprio a voi, altrimenti impazzirete. Mettetevi in testa che è una perdita secca”. Da un processo penale si esce come minimo con un tic nervoso».
Tutta dedita al lavoro. Innamorata mai?
«Ho avuto degli spasimanti».
Dove li ha trovati? In tribunale? Cancellieri? Giudici? Avvocati?
«O personale degli aeroporti».
Non potrebbe prendere tutto un po’ più alla leggera? Poco poco.
«Sono la donna degli eccessi. Ho adottato la regola del cinque. Vede quelle carte? Bisogna leggerle cinque volte. La prima volta rapidamente, la seconda con attenzione, la terza sottolineando con evidenziatori di colori diversi, la quarta attaccando i post-it, la quinta volta si può dire di conoscerle se un attimo prima di leggere il rigo già lo si sa a memoria».
Indispensabile?
«Consente di fare bene i controesami. In aula spesso si improvvisa. Più sei preparato e più sei bravo ad improvvisare».
La regola del cinque applicato al milione e 200 mila carte del processo Andreotti…
«Limita gli spazi della vita personale. Pochi viaggi, pochi libri».
Pochi fidanzati.
«Ho elevatissime possibilità di sposarmi con lei, visto il tempo che stiamo passando insieme per questa intervista».
Lusingato, ma già sposato.
«Con gli uomini dopo un po’ mi annoio. Ormai ho 39 anni, sono abituata a vivere da sola, non riuscirei a rinunciare alle mie libertà. Non voglio rendere conto a nessuno se salto il pranzo, se studio di notte».
Il partner impiccia?
«Ostacola, limita, pretende».
Non c’è stato l’amore folle.
«Ho avuto delle storie che si sono sgretolate appena qualcuno ha detto: “Che cosa si fa domenica?” Io rispondevo: “si lavora”».
Quanto è durato al massimo un fidanzamento?
«Prima di Andreotti o dopo Andreotti?».
Lo spartiacque della sua vita.
«Prima, normalissimi fidanzati, durati due o tre anni».
Dopo Andreotti?
«Mai più di due settimane. Alla prima si entra in crisi, alla seconda ci si lascia».
Magari trova uno che lavora di domenica.
«Mi piacerebbe uno che mi facesse divertire».
Ma quando?
«Il divertimento può venire anche da un sms. Uno mi manda un messaggino con una frase che mi fa sorridere mentre sto leggendo delle carte, senza distrarmi: strepitoso».
Le è arrivato mai questo sms?
«Sono in attesa di sms. Ma non telefonate. Una telefonata invade, obbliga, c’è lo squillo, devi rispondere».
Nessun rimpianto?
«Vorrei avere un figlio».
È più impegnativo di un marito.
«Il figlio lo desidero veramente, il marito no».
Bettarini e Totti. Che impressione le hanno fatto?
«Tutti mi dicevano: guarda che Totti è completamente idiota, avrai difficoltà a parlare con lui. Invece ho scoperto una persona che vale molto».
E Bettarini?
«Vale il discorso che si fa sulle donne. Se è bella, è stupida. E siccome lui è bello… Mi dicevano: attenta, è un vanesio».
Invece?
«Invece ho trovato una persona che soffriva. E che dimostrava serietà e intelligenza».
Ricordi di gioventù?
«Da ragazza, a Palermo, non ho fatto altro che basket, calcetto, barca a vela, viaggi, nuoto, tennis. Giocavo, arbitravo, allenavo».
Regola del cinque anche nello sport?
«Sicuramente. Tutto per vincere. Vincere è importante. Se adesso giochiamo a carte io non voglio divertirmi, voglio vincere».
Parliamo di politica?
«Parliamo della terza Repubblica?».
Parliamo della terza Repubblica.
«La repubblica delle donne, una cosa seria».
Non la vedo così vicina.
«Le donne sono mature per governare il Paese».
Amministrano meglio degli uomini?
«Ci sono donne che per crescere hanno sofferto molto. E hanno maturato un tipo di mentalità e di organizzazione, un abitudine al sacrificio, che sarebbe molto utile alla politica».
Se una sua collaboratrice le chiede un pomeriggio per andare dal parrucchiere?
«Se vuoi fare certi lavori devi rinunciare a certi privilegi. Le mie collaboratrici conoscono le regole. Sanno che il tempo qui è cronometrato».
E lei quando va dal parrucchiere?
«All’ora di pranzo e cronometrando. A me piacerebbe avere i capelli lunghi. Ma non me li posso permettere e ho scelto un taglio pratico. Quaranta minuti e via, ogni due mesi e mezzo».
E i vestiti?
«Me li manda mia madre da Palermo. Non voglio vestiti eleganti. Li voglio comodi».
Quando si vestiva da sola il risultato era disastroso.
«Non ho buon gusto e mi annoio a provare i vestiti».
Facciamo il governo della terza Repubblica.
«Emma Bonino Primo Ministro. Barbara Contini agli Esteri. La Moratti all’Economia. La Lorenzetti, quella che ha vinto in Umbria, agli Interni. Stefania Prestigiacomo alla Cultura. La Giustizia…».
A Giulia Bongiorno.
«Sarebbe un’ottima idea. Ma c’è Anna Finocchiaro. Agli uomini le Pari Opportunità e tutti i ministeri minori, come fanno loro con le donne. E Tremonti sottosegretario della Moratti».
Le piacerebbe entrare in politica?
«È necessaria un’attitudine al compromesso che forse non ho».
Ma all’Eco di San Gabriele dei padri passionisti disse che le sarebbe piaciuto.
«Lei è molto preparato».
So tutto di lei.
«Nella terza Repubblica mi impegnerei».
Per chi vota?
«Non voto: voglio capire, ho mille dubbi».
Le rifaccio la domanda, come nei telefilm di avvocati. Ha idee politiche?
«Una premessa: credo in Dio e sono una cattolica praticante».
Qualcuno dice bigotta.
«Che cosa intende per bigotta?».
Io niente. Gli altri intendono esagerata.
«Se fossi esagerata adesso starei in chiesa».
Va a messa tutte le domeniche?
«Certo».
Molti cattolici non lo fanno.
«Le dirò di più: entro in chiesa tutti i giorni. Qui sotto c’è una chiesa alla quale ho imposto le ostie senza glutine, perché sono allergica…».
Mi scusi l’impertinenza, lei è proprio una rompicoglioni.
«Sono nota per questo: quando quel povero sacerdote ha finito di comunicare tutta la fila di fedeli, deve tornare dietro l’altare, riaprire il tabernacolo, prendere l’ostia senza glutine mentre tutti si chiedono: che sarà mai, un’ostia magica?».
Che cos’è questa allergia?
«Una malattia genetica, la celiachia. I sintomi sono esplosi il giorno della condanna di Andreotti a 24 anni in appello. Sono svenuta per strada mentre mi stavano intervistando per la Rai».
Torniamo alla politica.
«Non sono in grado di distinguere in maniera netta tra destra e sinistra. Non è in grado nemmeno lei».
Perdoni la presunzione: sono in grado.
«Tra Prodi e Berlusconi non vedo grandi differenze».
Ricorda il suo primo processo?
«Si giudicava un chirurgo il cui paziente era morto. Riuscii a dimostrare che fra la sua negligenza e la morte del paziente non c’era nesso causale. Assoluzione piena».
Vi frequentate voi palermitani a Roma?
«Solo eccezionalmente, Grazia Volo, Pietro Calabresi, Marcello Sorgi… Questo Natale dovevo partire coni Sorgi per una vacanza in Marocco. Io prenoto sempre, pago e non parto mai. All’ultimo momento succede sempre qualcosa».
È salottiera?
«Un po’ di relazioni sociali: due volte alla settimana, non di più. Vado sempre dall’Angiolillo».
Come è stato seguito il processo Andreotti dalla stampa?
«Male. Come le donne quando seguono le partite di calcio. Al momento del goal corrono vicino alla tv, vedono il replay e dicono: “Ah che bella partita”. Il processo Andreotti è stato seguito solo il giorno delle sentenze. Ricordo la prima udienza. C’erano giornalisti di tutto il mondo, anche giapponesi. Sono scomparsi tutti. In aula spesso eravamo in cinque: accusa, difesa e tre giudici. Nemmeno un giornalista».
Lei gioca a calcetto.
«Solo in primavera, in un torneo di avvocati. Io gioco con lo studio legale Gambino».
Segna?
«Certo che segno. E il goal di una donna vale doppio. Dovrebbe essere così anche nella vita».
Chi le piace fra le donne avvocato?
«Paola Severino è stata l’apripista insieme a Tina Lagostena. È molto brava. Grazia Volo anche».
Grazia Volo mi disse: «L’innocente è una tragedia, una seccatura tremenda. La massima soddisfazione sta nell’ottenere l’assoluzione di un reo confesso».
«Non sono d’accordo. Ma forse sono anomala. Se mi capita di scoprire che una persona che ho fatto assolvere in realtà era colpevole mi viene tristezza perché non ho capito nulla e sono stata presa in giro».
Quale parte del processo le piace di più?
«Il controesame. Fare una raffica di domande che tramortiscono il teste ostile dà una gioia superiore perfino all’assoluzione».
Quando lei festeggia l’assoluzione di Andreotti, Marco Travaglio parla di una mezza colpevolezza e puntualizza: «Assolto dal 1980 in poi, prescritto fino al 1980».
«Evidentemente Travaglio non ha letto il milione e duecento mila pagine del processo».
Le sta antipatico?
«No. Anzi, vorrei invitarlo a cena.
La prendo in parola e trasmetto l’invito. Ma perché?
«Per spiegargli bene quello che c’è in sentenza. In cambio gli chiedo solo di scrivere cortesemente articoli più oggettivi».
Scrive cose false?
«Quando sono stata male mi ha descritta come una che esibisce malattie inventate».
La sua vita con Giulio Andreotti?
«È un rapporto particolare. Nasce come professionale, ma si trasforma nel tempo. Oggi è anche amicizia, condivisione di un dolore profondo, quello della condanna. La notte successiva alla sentenza a 24 anni non riuscivo a dormire aspettando che venisse giorno per andare da lui. Quando mi ha vista, alle sei, si è reso conto che stavo malissimo. Mi ha detto: “Giulia, io non posso prendere la condanna da sola e isolarla. Ho avuto tantissimo nella vita. Sono stato il grande potente. Il bilancio totale della mia vita va alla grande”. La cosa più bella che potesse dirmi. Ma poi ho pensato: “Ed io? Io ho solo 24 anni e una grande sconfitta”. Lui mi ha letto nel pensiero: “Sono sicuro che in futuro sarai ricompensata”».
Lei conosce bene Andreotti?
«Sono in grado di dire, su quasi tutti i temi, quello che potrebbe dire o fare Andreotti. Dopo la condanna di Perugia ci siamo visti quasi ogni giorno. Io passavo ogni mattina da lui, anche il sabato e la domenica. Stavamo talmente male che avevamo necessità di stare insieme e parlare. Ma non del processo. Di politica, religione, attualità, cronaca, giustizia».
Anche la sera?
«A volte io, lui e sua moglie Livia. Invitavano a cena loro. E loro portavano anche me. Io andavo con piacere perché si parlava di altre cose e dimenticavamo la condanna. Poi qualche cretino parlava del processo e tornava di nuovo il dolore».
Gioco della torre. Uno solo: Caselli o Andreotti?
«Ovviamente butto Caselli».
Ha da rimproverargli qualcosa?
«No, ha fatto il suo dovere. Io non faccio parte di quelli che lo criticano. Non ho sospetti né lancio accuse. Non ho odi nei confronti dei pm. Con Scarpinato, il più presente al processo, ho un rapporto quasi da compagno di scuola. Quando c’è stata la sentenza di assoluzione è venuto a stringermi la mano mentre io rimbalzavo dalla felicità.».
Quando lei festeggia l’assoluzione di Andreotti, Marco Travaglio parla di una mezza colpevolezza e puntualizza: «Assolto dal 1980 in poi, prescritto fino al 1980».
«Evidentemente Travaglio non ha letto il milione e duecento mila pagine del processo».
Non c’è bisogno di leggere il milione di pagine: basta leggere la sentenza:
reato commesso fino al 1980, non credo che ci sarebbe stato nessun motivo per festeggiare.
La Corte, visti gli artt. 416, 416bis, 157 e ss., c.p.; 531 e 605 c.p.p.; in parziale riforma della sentenza resa il 23 ottobre 1999 dal Tribunale di Palermo nei confronti di Andreotti Giulio ed appellata dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale, dichiara non doversi procedere nei confronti dello stesso Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A) della rubrica, commesso fino alla primavera deI 1980, per essere Io stesso reato estinto per prescrizione; conferma, nel resto, la appellata sentenza. (Corte di Appello di Palermo, 2 maggio 2003)*