- 27 Novembre 2003
Gianfranco Fini sta con gli extracomunitari? I leghisti gongolano. «Stiamo entrando nell’elettorato di An come nel burro», dice Mario Borghezio, l’eurodeputato. «Mohammed Fini ha dato una coltellata all’anima profonda di An. Molto più grave della presa di distanza dal fascismo espressa a Fiuggi». Ma perché invece di pensare ai problemi degli altri Borghezio non pensa a quelli suoi? Lei e Boso, siete la vergogna della Lega. «È vero, siamo politicamente impresentabili», ammette ridendo.
Non la prenda troppo sul ridere. Anche molti leghisti si vergognano di voi.
«Questo atteggiamento c’è stato in passato, oggi non c’è più».
Sono diventati meno severi i compagni di partito o siete cambiati voi?
«Sia Boso che io abbiamo fatto tesoro di qualche errore del passato. Di madornali non ne commettiamo più».
L’errore più madornale?
«Forse la spruzzatina di flit sulle ragazze nigeriane».
Difficile dimenticare.
«Avevano avuto sollecitazioni da parte di pendolari e del personale dei treni sulla linea Milano-Torino. Queste signore si tagliavano le unghie dei piedi, si cambiavano le mutande durante il viaggio. Nessuno interveniva e loro erano anche protette da alcuni marcantoni, carichi di catene d’oro».
E voi?
«Salimmo sul treno e cominciammo a spruzzare i vetri di detersivo e a lavarli. Quando le nostre leghiste spruzzarono un po’ anche loro, la reazione di una delle ragazze nigeriane fu molto focosa».
Non stento a crederlo.
«Non escludo che durante questa simpatica bagarre…».
Simpatica?
«Noi morivamo dal ridere. Loro erano arrabbiatissime e ce ne dissero di tutti i colori. Le nostre intenzioni non erano state capite».
Erano state capite benissimo. C’è un filmato.
«L’abbiamo girato noi. Avevamo dato la cassetta a Telepadania e ingenuamente qualcuno l’ha fatta uscire. È finita a Blob. E alla fine ha dato un’impressione sbagliata della nostra iniziativa».
Sbagliata per nulla. Una cosa ignobile.
«Del politicamente scorretto ce ne strafottiamo. Ma è stato obbiettivamente un errore. Ha dato di noi un’immagine ineducata».
Solo ineducata?
«Poco rispettosa dei diritti umani».
Mentre chiedere di sparare pallottole di gomma sugli extracomunitari è roba da galateo.
«Lo rivendico. I poliziotti non possono sparare piombo quando vengono circondati e aggrediti da folle di tumultuanti».
Borghezio, come è buono lei.
«Una bella pallottola di gomma sul sedere direi che ci sta e come».
Bossi l’ha mai sgridata?
«Bossi non sgrida. Espelle. Io sono del Sagittario ma l’ascendente Bilancia frena la mia naturale vocazione ad esagerare».
Ringraziamo la Bilancia.
«La Lega è un partito di governo, ma serve anche l’ala movimentista».
Un’ala che mette in imbarazzo perfino molti leghisti.
«Leghisti solo a metà. Il vero leghista non ha peli sulla lingua, non è politicamente corretto, se ne frega della carriera».
E incendia i giacigli degli extracomunitari.
«Altro episodio controverso. Era una ronda antidroga sollecitata dalla gente del quartiere torinese di Porta Palazzo. Il nostro intento era di fare un repulisti con tanto di cani che noi utilizzavamo per olfattare i nascondigli della droga. Scoprimmo un’intercapedine sulle sponde della Dora vicina a un ponte metallico. Entrammo facendoci luce con una fiaccola. Un rumeno che dormiva su un giaciglio di paglia, spaventato, si alzò all’improvviso. Il ragazzo che aveva in mano la torcia, spaventato anche lui, cadde all’indietro e la fiaccola finì sulla paglia».
Gli inquirenti danno una versione diversa.
«C’era la polizia. L’incendio venne spento molto facilmente. Nessuno dei rumeni ebbe alcun fastidio. Nel rapporto della polizia si parlò di dieci poliziotti intossicati. Voci giornalistiche mi avvisarono che un alto esponente nella civica amministrazione si era rivolto al Viminale, a Roma, per drammatizzare il fatto».
Resta il fatto che siete entrati in casa d’altri e avete provocato un incendio.
«Mai più farò una ronda in cui non conosca personalmente tutti i partecipanti. Quel giovane con la fiaccola si è rivelato troppo emotivo. Le ronde in luoghi pericolosi sono sul filo del rasoio della legalità. Ci vuole gente con la testa sul collo».
Non ha una parola di pena per quel rumeno, lontano da casa, che dormiva in una intercapedine su un giaciglio di paglia?
«No. Grazie al nostro intervento quel dormitorio incredibile è stato abbandonato e forse abbiamo salvato la vita a quei rumeni perché la successiva alluvione della Dora ha riempito di acqua e di fango quei buchi».
Ogni volta che può, lei insulta i musulmani.
«La scena più sfruttata e diffusa è stata quella del discorso della palandrana. Dissi: queste brutte barbe, questi pupazzi con la palandrana, un giorno o l’altro li prendiamo per la barba e li cacciamo via a calci in culo».
Sembra non vergognarsi.
«Lo rivendico. Ho sollevato per primo la questione del pericolo islamico».
Con intelligenza e moderazione, come nel caso dell’urina dei maiali.
«Non ho alcuna responsabilità per quell’episodio sgradevole. Linea dura non vuol dire mancanza di rispetto verso le credenze religiose. Questa azione fu posta in essere non dalla Lega ufficiale».
Era una manifestazione della Lega, con manifestanti della Lega, contro la moschea di Lodi. E furono versati litri di urina di maiale.
«Io non c’ero, avevo la bronchite e rimasi a casa. Se fossi stato presente avrei cercato di impedirlo. Di musulmani ce ne sono dappertutto nel Nord e mai nessun leghista ha mancato di rispetto a uno che stava pregando o cercando di spostare quelli che invadono mezzo chilometro di marciapiede davanti alle moschee».
Boso voleva prendere le impronte dei piedi ai neri, voleva farli votare sul Monte Bianco, ha chiesto l’hapartheid ferroviaria.
«È ingiusto che Boso sia conosciuto solo per queste cose».
Ma è così.
«Boso è il tipo umano del padano, un po’ ex carabiniere un po’ boscaiolo, un po’ cacciatore, un po’ uomo libero. Pur non essendo stato rieletto senatore, non ha fatto piagnistei e continua a fare politica nella Lega. Piace per questa sua natura ruspante e genuina, spesso anche ruvida, grezza, espressione indubitabile di una realtà viva, vorrei dire boschiva».
Realtà boschiva?
«All’inizio ci confondevano. Lui è meno parole e più fatti. Io con le mie interrogazioni feci togliere la scorta a Sgarbi, lui lo prese a calci nel sedere. Marciamo divisi e colpiamo uniti».
Sia sincero: ci fate o ci siete?
«Ancora oggi i giornali parlano di me solo quando pianto dei bei casini. Perfino La Stampa, quotidiano della mia città, evita di citarmi nonostante il mio attivismo».
Ha fatto il viceministro, ha avuto l’auto blu.
«Mai. L’auto blu non l’ho mai usata».
E come andava in giro?
«Con l’auto con la scritta “Polizia penitenziaria”. Nessuno dei miei predecessori l’aveva usata. Si vergognavano. Una volta feci uno scherzo stupendo. Per una conferenza stampa mi presentai alla sede del consiglio regionale della Val d’Aosta con l’auto della polizia penitenziaria e le sirene. Ci fu un fuggi fuggi di assessori».
Aveva la scorta?
«L’ho sempre rifiutata. La scorta ce l’ha chi la vuole. Il ministero dell’Interno non la impone a nessuno se non in casi veramente gravi».
Castelli ha la scorta.
«Farebbe meglio a non averla, però ha avuto gravi minacce. In un Paese civile la scorta non dovrebbe averla neanche il Capo dello Stato. I poliziotti devono stare dietro al culo dei delinquenti non dietro al culo dei politici».
L’ingresso al governo vi imborghesì?
«Certamente. Fu un cambio repentino».
Parlavate di Roma magnona e poi occupavate le poltrone.
«Io ero contrarissimo all’entrata al governo. Temevo che la nostra gente non avrebbe capito».
Quando usciste la prima volta dal governo, festeggiò?
«Bossi mi disse: “Ti dispiace?”. E io: ”È come uscire di prigione”».
Fu una liberazione.
«Appena nominato ero andato a fare un giro degli uffici. Mi aveva impressionato il livello della polvere sulle macchine da scrivere. In quegli uffici non si lavorava da mesi. Addette alla mia segreteria erano non meno di 50 persone. Li chiamai uno per uno e chiesi loro che cosa facessero e quali suggerimenti avessero da darmi sull’organizzazione del lavoro. Alla fine la metà chiese il trasferimento. Seppi in seguito che il commento di tutti fu: “Questo Borghezio s’è messo in testa di farci lavorare”».
E ci riuscì?
«Assolutamente no. Mi sono arreso».
Rimpiange il periodo in cui eravate all’opposizione?
«Moltissimo. Era bello fare il deputato di palude. L’opposizione per un leghista è la condizione naturale. Le nostre origini sono quelle del periodo di Tangentopoli, la grande rivolta morale contro le porcherie».
Berlusconi lo chiamavate «il mafioso di Arcore». Leoni Orsenigo sventolava il cappio in Parlamento.
«Tempi eroici. L’episodio del cappio di Leoni Orsenigo lo ricordo con una nostalgia infinita. Fu un periodo irripetibile della nostra storia di parlamentari. Anche se i giornalisti ci intervistavano come fossimo degli zulù, parlavano con noi con i verbi all’infinito, “Tu volere essere intervistato da me”?».
E se domani le telefona Bossi: «Basta. Usciamo dal governo?».
«Sarebbe come il fischio di un treno in partenza. E io sarei nel vagone di testa, anzi nella locomotiva a mettere carbone».
La Lega è un partito intollerante. Nessuna corrente. O sei della linea di Bossi o sei fuori.
«Un partito di forte cambiamento come il nostro deve avere una guida sicura e degli anticorpi forti. Chi se ne va scompare dalla scena politica. Formentini, Pivetti, Comino, Gnutti. Che fine hanno fatto? Sono ripiombati nel cono d’ombra».
Li considerate voltagabbana?
«Formentini si è dimesso pochi giorni dopo l’elezione. Un esempio da manuale. Lasciò perfino dei conti da pagare ai giovani che gli avevano organizzato la campagna elettorale. Abbiamo dovuto fare del bello e del buono per evitare che al signor Formentini qualcuno gli sputasse in faccia».
Definizione di voltagabbana?
«Chi tradisce i valori profondi. Un caso tipico è Giorgio Bocca. Prima fascista poi partigiano. Ma non è il solo. Il Partito comunista ha lucidamente riciclato centinaia di quadri del vecchio regime. Voltagabbana ce ne sono anche nella Casa delle Libertà».
A chi sta pensando?
«A Cicchitto, a Bondi. È singolare che i più stretti collaboratori di Berlusconi siano un ex socialista lombardiano e un ex comunista. Ma anche in An hanno accolto intere sezioni socialiste torinesi».
E gli adulatori?
«Ce ne sono anche da noi. Il vizio è nazionale. E i padani sono anche loro un po’ italiani».
È bello saperlo.
«Adulatori ce ne sono di più in Forza Italia. Ovvio: Berlusconi può far diventare senatore o deputato un signor nessuno».
C’è qualcuno che esagera?
«Quando Bondi compare in televisione e dice che Berlusconi guida bene il governo gli occhi gli si riempiono di lacrime».
Lei non l’ha mai fatto per Bossi?
«Mai. E non credo che Bossi lo gradirebbe».
Riuscirebbe a dire una cosa cattiva di Bossi?
«Certo. Ci mette troppo tempo a conoscere le persone. Non ha il sesto senso e spesso si è preso delle belle fregature».
Da giovane lei era di estrema destra.
«Il mio Che Guevara era Julius Evola».
Militava in Ordine Nuovo.
«È una leggenda. Io stavo in un movimento rivale di Ordine Nuovo. Si chiamava Giovane Europa. Il leader era Jean Thiriart. In Italia i capi erano due milanesi, Bruschi e Cinquemani e ci erano transitati personaggi che poi sono diventati molto noti nella politica e nella società civile. Come il sindaco di Roma Pietro Giubilo con cui sono rimasto amico, lo storico Franco Cardini di Firenze, un deputato democristiano, Massimo Giraldi, il politologo Antonio Lombardo».
Un anno fa ha definito gli estremisti di Forza Nuova «ragazzi esuberanti».
«Fu un errore e l’ho pagato carissimo. Manzoni diceva: “Omnia munda mundis”. E come dice Susanna Tamaro: “Vai dove ti porta il cuore”. Ma non avrei dovuto andare alla loro manifestazione, non avrei dovuto parlare, i mass media mi identificarono con quel movimento e cambiarono totalmente atteggiamento nei miei confronti».
Una volta parlò di «quelle merdacce della Rai».
«Non userei più la parola merdacce. Parlerei di “vecchi tromboni democristiani”».
Compreso il direttore di Rai 2, Marano, che ha censurato il programma di Massimo Fini?
«Sono cose che lasciano perplesso anche me».
Marano è «vostro»?
«È stato messo lì dalla Lega. “Vostro” è un termine impegnativo. Massimo Fini qualche volta non mi piace, ma è uno spirito libero, l’ultima persona che bisognerebbe censurare».
Gioco della torre. Violante o Papalia?
«Butto Violante. Mi ha definito “un pericolo per la Repubblica”».
La Lega odia Papalia. È il giudice che non ve ne fa passare una.
«Anch’io lo odiavo. Poi, dopo un mio comizio a Verona, nel quale avevo detto cose irriferibili, violente, sgarbate e maleducate contro di lui, ha dimostrato di essere una persona che non si serve degli strumenti dello Stato per difendersi. Ed io ho cominciato a pensare che era una persona che dovevo rispettare».
Schifani o Bondi?
«Butto tutti e due. Mi stanno antipatici entrambi».
Non si può.
«Allora butto Bondi. In adulazione batte Schifani».
Mastella o Casini?
«Butto Casini. Non mi piace l’ipocrisia democristiana».
Anche Mastella è un ex Dc.
«Ma lui è un leader ideale per la Lega Sud».
Carlo Rossella o Emilio Fede?
«Butto Rossella. È un adulatore radical-chic. Fede è un adulatore ruspante».
Castelli o Maroni?
«Questa è una carognata».
Non la cacceranno dalla Lega per un gioco.
«Sono amico di entrambi e gira gira gira è un bel problema. Gira gira gira… insomma gira gira gira…».
Borghezio, gira gira gira?
«Buttiamone un altro. Buttiamo Berlusconi».
Facile così. Gira gira gira mi ha fatto l’opportunista. Mussolini o Santanchè?
«Butto la Santanchè. Io ho definito il nonno della Mussolini “grande statista padano”. E poi lei potrebbe essere una grande leghista. Sarebbe il capo ideale per la Lega Sud».
Ma come? Ha già dimenticato Mastella?
«La Mussolini è meglio di Mastella».
La trasmissione televisiva più adulatoria?
«Porta a porta. Un esempio di televisione da non fare, un programma veramente democristiano. E subito dopo ci metto Maurizio Costanzo».
Marzullo? Anna La Rosa?
«Un po’ inginocchiati, ma non così ruffianeschi».
Excalibur?
«Dignitosa, visibile».
Va mai a Porta a porta?
«Agli inizi. Poi feci alcune interrogazioni parlamentari sulle vicende giudiziarie nelle quali era protagonista anche la moglie di Bruno Vespa e lui ha deciso di farmela pagare. Non mi invita più».
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