- 30 Ottobre 2003
Sembravano tornati i tempi del ribaltone. Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato e coordinatore delle segreterie della Lega, la settimana scorsa aveva detto che se Fini avesse insistito con il voto agli immigrati, Bossi avrebbe dato le dimissioni. Sei ore di fibrillazione e poi lo stesso Bossi aveva tranquillizzato i suoi alleati. Ma il chirurgo odontoiatrico di Bergamo aveva spaventato un po’ tutti. La capacità di mollare tutto, la Lega l’aveva già dimostrata nel 1994.
Calderoni, siete un partito voltagabbana?
«Assolutamente no. Magari siamo un partito ruvido, qualche volta rompiballe. Ma coerente. Quando non si rispettano i patti andiamo fuori. In genere non lo fa nessuno. Noi lo facciamo, anche pagando: non fu facile rinunciare a cinque ministeri e dieci sottosegretari».
Siete ruvidi.
«Diciamo le cose come stanno, non usiamo il politichese».
A volte rozzi, volgari.
«Quando dici cose ponderate, tranquille, non trovi mezzo giornalista al mondo che riferisca quello che hai detto. L’altro giorno Bossi ha parlato di quelli che hanno creato il debito pubblico. Se avesse detto che debbono pagare responsabilità politiche nessuno lo avrebbe preso in considerazione. Ha detto: “Bisogna fucilarli in piazza”. Prima pagina di tutti i giornali».
Rozzezza da marketing allora.
«Pensiero e linguaggio della gente comune».
Storace va dicendo che la Lega non è indispensabile alla coalizione.
«Fa il suo mestiere. È romano romano. La contrapposizione gli rende molto. Usa la stessa ruvidezza nostra. Ma come si può pensare di fare un governo di minoranza di questi tempi? Ogni volta mancherebbe il numero legale».
Storace una volta disse: «I leghisti sono dei barbari».
«Il bue che dà del cornuto all’asino».
Come mai Berlusconi si è di nuovo fidato di voi?
«Perché è cresciuto politicamente. Quel governo là era proprio una compagnia di filo di ferro. Forse è stato un bene che quel governo sia caduto. Eravamo tutti improvvisati, Gnutti, Comino…».
Gnutti, Comino e poi?
«Non mi conviene litigare. Non fanno più i ministri, ma ci sono ancora».
Erano tempi di sperimentazione.
«Pensi che c’era Dotti capogruppo alla Camera, Pivetti alla Camera, Scognamiglio al Senato. Noi la chiamiamo “sindrome di Scognamiglio”».
Una malattia?
«Prende tutti i presidenti della Camera e del Senato. Vengono eletti e poi si dimenticano chi li ha eletti. Pensano di brillare di luce propria, convinti di essere divini».
Calderoli, giù la maschera, sta parlando di Casini.
«Anche Pera ha avuto un attacchino per un periodo. Poi è guarito».
Perché Berlusconi si fida ancora di voi?
«Per il rapporto personale di amicizia che si è creato con Bossi. Le famose cene di Arcore: tanti le criticano, soprattutto quelli che non ci partecipano».
E queste cene?
«Di solito il lunedì. Ci sono Berlusconi, Tremonti, Urbani, Brancher, io, Maroni, Castelli. E Bossi. Si parla di politica ma a volte sono solo serate di piacere, di compagnia».
Si canta, si balla.
«Ogni tanto Berlusconi canta e suona. Io mi diverto da matti».
Racconta barzellette?
«Usti. Anch’io gliene racconto. Più sono cattive su di lui, più si sganascia come un matto».
Una volta voi eravate «forcaioli»: il cappio di Leoni Orsenigo in Parlamento, l’appoggio incondizionato a Di Pietro.
«Noi con Di Pietro non siamo mai andati d’accordo. Ricordo che uno dei nostri, sostenitore di Di Pietro, prendeva su del cretino da tutti. Mani Pulite è stato un bel trabocchetto per danneggiare l’immagine di Milano Capitale. Ma era una necessità perché bisognava far finire la corruzione. Il cappio voleva dire proprio quello: il cittadino vuole che qualcuno paghi».
Vi siete lasciati andare a dichiarazioni gravi. Dell’Utri, Mangano, la mafia, il pesante coinvolgimento di Fininvest. Ne avete dette di tutti i colori.
«Quando facciamo battaglia politica la facciamo fino in fondo».
Si ricorda quando nel 1995 lei disse: «Berlusconi si deve presentare dai giudici»? Oggi non lo dice più?
«Ma lei si ricorda cosa diceva Berlusconi di noi?».
Che cosa diceva?
«Più che Berlusconi era Fini che ci insultava. Non avrebbe mai più preso un caffè con Bossi, ricorda? Quel senso di schifo, quel suo considerarci nemmeno qualificabili, mi dava un enorme fastidio».
Lei ne disse di cotte e di crude su Dell’Utri. Poi siete tornati nella stessa coalizione e le chiesero come si sarebbe comportato con la candidatura di Dell’Utri.
«Io risposi: “Che mi frega? Io voto a Bergamo”».
Ma lo avrebbe votato Dell’Utri?
«Io sono soldato, ho il senso del dovere».
Ha detto anche: «Se Bossi mi chiede di espellermi dal partito io mi espello».
«Era il periodo della transumanza dei nostri dalla Lega a Forza Italia. Se ne andarono cento parlamentari. Bisognava agire con decisione».
Moltissimi della Lega oggi sono in altri partiti.
«Abbiamo fornito personale politico a tutti, all’Udc, ad An, alla Margherita, a Forza Italia».
Ma pochi vengono alla Lega.
«Noi vogliamo gente genuina, che scopra la politica con noi. Partiamo dal principio che chi ha tradito una volta tradisce anche la seconda e quindi non c’è da fidarsi».
Lei cacciò dalla Lega perfino il fratello di sua moglie.
«Era il segretario della Lega lombarda, Pierluigi Negri, uno dei nomi storici della Lega».
Quando eravate cattivi con Forza Italia lei parlò dell’«uso strumentale e corretto della comunicazione televisiva» che faceva Berlusconi. Lo pensa ancora?
«Berlusconi faceva molto di più un tempo di adesso. Anzi adesso rischia che le sue televisioni parlino male di lui. Se uno ha Fede come alleato ci fa su una risata. Ma se lo ha come avversario gli viene la voglia di tirare giù il televisore a scarpate ogni volta che fa un Tg».
Lei disse che ai giudici bisognava dare i lavori forzati. Lo pensa ancora?
«Io ho una stima infinita per certi giudici. Qualcuno ha pagato anche pesantemente. Però ho un odio totale per certi lazzaroni che vorrei che cambiassero professione».
Sono mentalmente disturbati?
«No. Sono politicamente disturbati».
Sono antropologicamente diversi?
«Per fare il Pm bisogna avere il gusto di spiare dal buco della serratura».
Gli inquirenti devono farlo.
«L’obbligatorietà dell’azione penale mi fa ridere. Ogni magistrato sceglie il buco della serratura che vuole».
Lei disse: «Craxi inquina la politica».
«Il fatto che rubassero tutti non era un’attenuante. Intanto vai in galera tu, poi ne parliamo».
Nel Polo molti pensano che sia stato una vittima.
«Vittima di se stesso».
Lo avrebbe fatto tornare in Italia?
«Certo, ma in prigione».
Ma allora lei è ancora forcaiolo.
«Sembro un po’ rancoroso. Ma questa gente ha rovinato l’Italia. Se le casse sono vuote, di qualcuno è la responsabilità».
Lei è nella commissione Telekom Serbia. Che idea si è fatta?
«Che per organizzare una “Grande Trappola” avrebbero potuto coinvolgere gente un po’ più credibile. E allora mi viene il sospetto che gli organizzatori della Grande Trappola siano gli altri. Una volta dimostrato che Marini è un mitomane, tutti conquistano la patente di santo e si dimentica il vero problema, la responsabilità politica di aver finanziato Milosevic».
Milosevic a voi della Lega piaceva. Lo chiamavate «fratello Milosevic».
«Eravamo contro l’aggressione, non a favore di Milosevic».
Ripeto: «Fratello Milosevic».
«Io non ho mai detto fratello Milosevic. Per me è sempre stato una specie di delinquente. Ma se uno viene aggredito per motivi economici, bisogna difenderlo».
E perché non ha difeso Saddam?
«Eh no. Parliamo di un terrorista, promotore di terrorismo internazionale. C’erano dei campi di addestramento in Irak».
Se vuole aggredire chiunque abbia dei campi di addestramento?
«I Paesi canaglia, prima o poi, bisogna andare a sistemarli tutti».
Voltagabbana. Se non la Lega, chi?
«Chi tradisce, soprattutto se lo fa dietro la schiena. Formentini ha tradito la Lega pochissimi giorni dopo essere stato eletto al Parlamento europeo. Una cosa che mi ha fatto molto male. Era un padre per me. Ha perfino officiato il mio matrimonio celtico».
Quello con la moneta nel braciere e lo scambio dei braccialetti?
«Dopo però un cappellano militare ci ha sposato con il rito cattolico nel giardino di casa. In chiesa non ci sono mai andato».
Non ha buoni rapporti con le gerarchie.
«Una volta un vescovo chiese di “incontrare tutti gli esponenti locali della Lega tranne Calderoli”».
L’ex leghista Tabladini, nel suo libro, dice che nella Lega sono rimasti solo i «leccaculo stenterelli». Lei è un leccaculo stenterello?
«Diventano coraggiosi e trovano una gran voglia di parlare solo dopo essersene andati. Ma non potevano parlare ai congressi?».
Lei è mai andato ad un congresso a dire che Bossi stava sbagliando?
«Guardi, io mi sono preso di quei cazziatoni da Bossi nella mia vita che lei non ne ha idea».
Leggevo di una media di tre-quattro cazziatoni al giorno.
«Adesso la media è scesa».
Com’è un cazziatone di Bossi?
«Forte. Ma gli passa immediatamente. Non porta rancore».
L’insulto peggiore?
«L’altro giorno sull’aereo pieno di parlamentari mi ha visto e ha urlato: “Calderoli, da quanto ti ho fatto ‘saggio’ ti sei rincoglionito”. Ha riso tutto l’aereo».
Questo non è un insulto.
«Il peggiore è stato “democristiano di merda”».
C’è rimasto male?
«Ci rimango male solo quando si incazza con me per cose in cui non c’entro. L’altro giorno mi ha fatto un cazziatone per una votazione sbagliata alla Camera. Ma io che c’entro? Sto al Senato!».
Lei è stato uno dei «saggi della baita», con D’Onofrio, Pastore, Nania. Quanto siete stati nella baita?
«Cinque giorni».
È stato bello?
«Era uno chalet di proprietà di amici di Tremonti. Piccolo, due stanze, un vecchio fienile, lampada a gas, bagno all’esterno».
Tutti a dormire in due stanze?
«Dormivamo in un albergo».
E mangiavate al ristorante?
«No, Brancher faceva la polenta».
Come i ragazzi al campeggio.
«Mi sono divertito tantissimo quando Bossi ha regalato i pantaloni corti di pelle alla tirolese a D’Onofrio. Ho anche le fotografie».
Vorrei averle.
«Non gliele posso dare».
Sono disposto a pagare.
«No, lo rovinerei».
Gnutti, Comencini, Comino, Pivetti, Negri, Formentini, sono tanti quelli che vi hanno lasciato. Tutti voltagabbana?
«Tutte le volte che vedo la Pivetti su La 7 mi dico: “Esiste Dio e dà ad ognuno quello che si merita”».
Appena qualcuno dice qualcosa di diverso, Bossi lo caccia.
«Non mi viene in mente nessuno cacciato da Bossi. Le espulsioni, alla fine, le ho fatte tutte io».
La chiamavano il Beria di Bergamo.
«Era indispensabile quella durezza. Non ne saremmo usciti vivi. Non mi sono mai pentito di avere sospeso o espulso qualcuno».
Quelli che vanno via dalla Lega entrano tutti in un cono d’ombra.
«Magari fondano una leghina che apre e chiude nel giro di sei mesi».
A un certo punto perfino Maroni sembrava fuori della Lega. Quando stavate uscendo dal governo.
«Col senno di poi oggi penso che Maroni agisse su incarico di Bossi, che non fosse così spontaneo questo suo ruolo di rottura».
Machiavelli puro.
«Oggi penso che la sua funzione fosse riportare dentro i parlamentari che se ne andavano».
Una vecchia notizia Ansa diceva che anche lei se ne stava andando dalla Lega.
«Non esiste proprio. La mia estrazione familiare non lo consentirebbe. Mio nonno aveva fatto negli anni Cinquanta il Partito autonomista bergamasco. Bergamo nazione. Tutto il resto meridione».
In famiglia siete tutti dentisti.
«Nonno, padre, quattro zii, tre fratelli e una quantità infinita di cugini. Una tradizione».
La sua vita?
«Nato nel 1956, fortemente Ariete. Liceo classico. Otto fratelli».
Come ha scoperto la Lega?
«Sulla scia di mio zio che era andato a trovare Bossi a Varese».
La Lega è ruvida, diceva. Ma poi ci sono personaggi come Borghezio o Boso che ci mettono del loro. Strategia o comportamento naturale?
«Un po’ ci marciano».
Non vi mettono in imbarazzo?
«Certe volte esagerano. Quando per esempio si confondono con esponenti della destra estrema, naziskin o roba del genere. Come ha fatto Borghezio».
Anche lei non ci va leggero. Una volta ho detto che simbolo della Margherita dovrebbe essere il finocchio.
«Non è colpa mia se sotto quel fiore viaggiano persone che hanno scelto la sponda opposta».
Chi sono gli adulatori?
«Quelli che dicono sempre sì».
Casi di adulazione in questo momento? I soliti Schifani, Bondi, Vito?
«Schifani è proprio innamorato di Berlusconi. Quando lo guarda si illumina, rimane estasiato, come se vedesse la Madonna».
Chi non le piace nella sua coalizione?
«Mah».
Sarebbe facile dire Storace.
«Capisco il suo modo di fare politica e le sue necessità. Quando spara contro di noi, lo mando a quel paese e nemmeno gli rispondo. Nessuno risponde mai a Storace. Sa chi non mi piace? Gli incapaci».
Presto, un nome di incapace.
«Se dico che un nostro ministro è un incapace sa che pieno viene fuori?».
Quindi ce ne sono di incapaci fra i ministri vostri.
«Ce ne sono, ce ne sono».
E a sinistra?
«Il peggiore di tutti è Rutelli. È uno che guarda sempre a come deve presentarsi».
Facciamo il gioco della torre. Alessandra Mussolini, Gabriella Carlucci o Daniela Santanché?
«Salvo la Mussolini, è la più bella di tutte. Una bellezza di carne e ossa. Le altre sono di plastica».
Si è mai innamorato di una parlamentare?
«Non mi è venuta mai neanche la tentazione».
Agli altri sì?
«Eeeeeeh».
La senatrice più corteggiata?
«Maria Grazia Pagano, Ds. Proprio una bella signora».
La Pivetti era corteggiata?
«Credo che a nessuno sia venuta in mente un’idea simile. Era scostante. Io la conoscevo da tantissimi anni. Un giorno la incontrai: “Ciao Irene”. E lei: “Al presidente della Camera si dà del lei”».
Santoro o Floris.
«Non mi piace nessuno dei due. Quello non è giornalismo intelligente. Non fanno informazione».
Lei legge La Padania?
«È il primo giornale che leggo la mattina».
Anche quando pubblica una pagina intera con le foto delle vacanze del figlio di Bossi?
«Lei legge questa cosa come adulazione. Ma la maggior parte del mondo leghista ne è contentissimo. È amore per Bossi, per qualunque particolare della sua vita».
Appunto, leccapiedi.
«Alla fine di un comizio lui deve stare un’ora a firmare autografi sul foulard, a fare foto, a baciare i figli. Non è adulazione. È adorazione».
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