- 23 Ottobre 2003
C’è un nuovo soggetto politico in Italia che si sta dando da fare. Si chiama Società Aperta ed è un’associazione creata da un giornalista economico, Enrico Cisnetto. È composta soprattutto da ex repubblicani. Del vecchio Ugo La Malfa ripercorre la strada del rigore e del pessimismo. «È un brutto momento per l’Italia», dicono, «corriamo il rischio di diventare un Paese di serie B. Bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi». Le stesse cose, le stesse parole, le sta dicendo Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia, del quale Cisnetto è amico e sostenitore. Ecco perché, nei circoli politico-economici che contano, si pensa che Fazio si prepara all’impegno politico creando un movimento che gli faccia da battistrada. Cisnetto che ne dice? È l’uomo di Fazio?
«Che ci sia un rapporto di forte sintonia tra me e Fazio lo testimoniano le cose che scrivo. Fazio è una delle poche persone che dice al Paese come stanno le cose. Signori, guardate che qui c’è il declino e rischiamo di andare tutti a ramengo».
Allora esiste il partito di Fazio.
«Non esiste nessun partito di Fazio. Fazio però è una personalità che potrebbe essere chiamata a gestire un passaggio politico delicato se la crisi di questo governo, e conseguentemente, di questo sistema, dovesse arrivare allo show down. Di persone che abbiano le idee chiare e prestigio come Fazio non ce ne sono tante».
Fine del governo, fine del sistema?
«Berlusconi è contemporaneamente il padrone del centro-destra e il collante del centro-sinistra. Un suo passo indietro creerebbe problemi ovunque».
Ti dispiace che si parli di «partito di Fazio»?
«Anche se è una balla, fa pubblicità alla mia iniziativa. Ma non vorrei che lo danneggiasse. C’è già molta tensione su di lui».
Dicono che la Banca d’Italia si allarga troppo. Che vuole decidere per tutti. Che è stata troppo invadente nella vicenda Mediobanca.
«E le voci maliziose di un partito di Fazio introducono un elemento di accusa indiretta: attenzione, Fazio sta facendo tutto questo perché si sta mettendo in politica e si sta creando il partito».
Magari è vero.
«Come te lo devo dire? Non è vero. Ti posso assicurare che Fazio in tutto questo non c’entra».
Non ti ha detto: vai?
«No. Né io gli ho chiesto: vieni?».
Perché bisognerebbe crederti?
«Perché non esiste un partito fazista. Chi parla di questa cosa non conosce Fazio. Non costituirebbe mai, nemmeno tramite terzi, un suo partito. Se un giorno calcherà la scena politica sarà solo perché chiamato istituzionalmente. Solo se qualcuno gli chiederà di dare una mano al Paese».
Perché hai fondato Società Aperta?
«Non si tratta dell’ennesimo partito, ma di un movimento di opinione che ho creato nel 1992 quando pensavo che bisognasse evitare a questo Paese quella che è stata definita Seconda Repubblica».
Che cosa avevi contro la Seconda Repubblica?
«Paventavo l’ubriacatura maggioritario-bipolarista. Ma quando Berlusconi è entrato in politica mi sono detto: vediamo cosa succede. Dopo dieci anni abbiamo visto».
Sembri deluso.
«Le illusioni si sono via via consumate. Quelle del centro-sinistra nel quale un 20 per cento è contro la modernizzazione di questo Paese. E quelle del centro-destra, dove ci sono la Lega e Forza Italia che zavorrano quel po’ di riformismo che c’è da quelle parti, la vecchia area democristiana dell’Udc e anche parte di An».
L’esperienza Berlusconi è stata molto negativa?
«Questi dieci anni sono stati i peggiori della nostra storia. Il nostro modello di sviluppo si è bloccato. Oggi l’Italia rischia di diventare l’Argentina. La gente se ne sta accorgendo. Pensa all’evoluzione di Adornato».
Adornato evolve?
«Era uno dei grandi propugnatori della svolta maggioritaria. Fino ad abiurare la sua provenienza e finire in Forza Italia. Ora c’è la caduta delle illusioni».
Adornato ci ha ripensato?
«Il suo manifesto per i neoliberali mi pare parli ben al di là dei confini della casa delle Libertà».
Chi c’è con te in Società Aperta?
«Giornalisti, imprenditori, avvocati, medici… ».
In sostanza che cosa volete?
«La Terza Repubblica. Sparigliare le carte e passare a una fase politica successiva. Con un cambiamento grosso. Il momento catartico migliore sarebbe un’assemblea costituente per porre mano a una riforma istituzionale che fermi il federalismo sciagurato e cambi la legge elettorale».
Ritorno al proporzionale?
«Anche. Un sistema alla tedesca. Oggi c’è più omogeneità tra le componenti centrali, moderne e riformiste, che stanno in poli opposti, che all’interno delle rispettive coalizioni. Bisogna consentire a queste componenti di mettersi insieme».
Programma velleitario.
«Esagero, mi piacerebbe un governo Bersani-Alemanno».
Giochiamo al piccolo premier: chi metteresti in questo governo?
«Fini, Casini, Urso, Follini, Buttiglione, Pisanu, Enrico Letta, D’Alema, Fassino, Pezzotta, Rutelli, Zanone, Enzo Bianco, Maccanico, Amato. E Alemanno e Bersani naturalmente».
E Fazio?
«Primo ministro».
Chi c’è ancora vicino a voi?
«Pezzotta è quello più in sintonia. E mi piacerebbe che venissero alle nostre riunioni i Profumo, i Tronchetti, i Mincato, i Bombassei, i Fresco a dirci che cosa pensano delle nostre riflessioni. Nelle loro attività dicono cose assonanti».
Somigliate un po’ al «terzismo».
«Il “terzismo” non è la risposta giusta. Detta regole da bon ton politico, legittimazione reciproca e queste cose qua».
Se non sei terzista, che cosa sei?
«Sono un “giuntista”. È una definizione di De Rita: “Uno che vuole rimettere insieme i cocci”. In questo Paese nessuno ha più potere. È tutto sbriciolato».
E chi sono oggi i poteri forti?
«Non esistono più. Quando accusano Berlusconi io mi incazzo. Il problema di Berlusconi non è l’eccesso di potere. È il suo contrario. Non ha potere».
Beh, questa poi.
«Non è stato nemmeno capace di difendere i suoi interessi pur avendo cento parlamentari di vantaggio sull’opposizione».
Ci ha provato in tutte le maniere. Le leggi le ha fatte.
«E le ha sbagliate. Tutti hanno potere di interdizione. Berlusconi non vince coi magistrati e i magistrati non vincono con lui. Finisce sempre zero a zero».
Neanche Mediobanca è un potere forte?
«Il suo potere finanziario non esiste più».
Confindustria?
«Non è più in grado di imporsi alla politica».
I sindacati?
«Mobilitano milioni di persone ma senza sbocco».
L’opposizione?
«Non ottiene più nulla né con la forza né con la mediazione. Pensa a Cofferati. Sembrava il nuovo grande leader. E si ritrova a fare il candidato per il municipio di Bologna. Caspita! Bisogna che la sinistra si spacchi da destra».
È vero che non sopporti Tremonti?
«Ce lo diciamo anche. Giochiamo pulito. Tremonti ha scelto la comunicazione dell’ottimismo, assolutamente perniciosa. Bisognerebbe scegliere la via opposta, la drammatizzazione».
E Tabacci?
«Sulla storia di Mediobanca e della Banca d’Italia ce ne siamo dette di tutti i colori. Con lui ma anche con Giorgio La Malfa e con Cossiga».
Dove hai cominciato a fare il giornalista?
«A Genova, al Secolo XIX. Poi ho girato molto e sono finito a Panorama, vicedirettore di Andrea Monti. Dove poi arrivò Ferrara».
E quando la redazione vi votò, ti sei preso un casino di voti negativi: 39 no, un record.
«Reazione di rigetto a Ferrara da parte di quello che veniva considerato un covo di comunisti. In realtà ci fu una grande corsa all’arruffianamento. Ho visto grandi leccate nei confronti di Ferrara».
Chi fu il campione dell’adulazione?
«Non ricordo bene i nomi, ricordo il clima generale».
Una botta di opportunismo?
«Io ci lavoro con Panorama, non ho voglia di rompere le scatole a chi nel frattempo ha fatto carriera».
Tu studiavi da direttore.
«Durante la gestione Monti si era creata una situazione di grande tensione. Berlusconi era diventato premier. L’amministratore delegato Franco Tatò non era molto allineato. Su Panorama uscì addirittura una copertina di Forattini, che allora non era berlusconiano come oggi, con un Berlusconi tutto incerottato che strillava: “Io speriamo che me la cavo”. Berlusconi non gradì e mi volle conoscere. Mi disse: “Lei sarà il direttore di Panorama”. Io gli risposi che non credevo che Tatò avrebbe licenziato Monti né che avrebbe assunto me. Berlusconi si incazzò: “Il padrone sono io. Questo non è un problema”».
E invece era un problema.
«Berlusconi disse che aveva trovato il nuovo direttore di Panorama, la notizia finì sui giornali e io rimasi in mutande. Non immagini le difficoltà con Tatò e con Monti. Rimasi vittima di Berlusconi che promette cose che poi non mantiene».
E quando arrivò Briglia addirittura ti cacciò.
«Non mi cacciò. Mi mise ai rapporti con gli abbonati. Forse voleva che consegnassi i giornali porta a porta».
Berlusconi ti aveva dimenticato.
«Anch’io ho dimenticato lui».
E poi?
«Decisi di farmi dare un po’ di soldi da Panorama e di fare il freelance. Al Foglio, al Messaggero, a Zapping, al Gazzettino, alla Sicilia. Adesso ho anche Panorama, il Mondo, il Tg2 e poi tutta l’attività di conferenziere e di organizzatore di dibattiti».
Dicono che sei uno stakanovista, che scrivi più di Bruno Vespa.
«Insegno anche alla scuola di giornalismo della Luiss e alla scuola di polizia tributaria della Guardia di Finanza. Stare fuori dai giornali è molto soddisfacente e redditizio, come immagine, come peso politico, come soldi, come qualità della vita».
Parlami della tua vita.
«Sono nato a Sampierdarena, blucerchiato dalla nascita. I miei genitori avevano un’attività commerciale. Ho conosciuto mia moglie a scuola, era la mia compagna di banco. Fidanzati a quindici anni, sposati a ventidue. Ho cominciato subito a fare politica, nel Pri. Nel Pri c’era anche Antonio Duva, che lavorava al Sole-24 Ore. Gli chiesi di aiutarmi e lui mi fece chiamare da Mario Margiocco, capo dell’economia del Secolo XIX».
Chi erano i repubblicani a Genova?
«Uno dei leader era Ambrogio Puri, presidente di Italsider. Fu Puri che, consigliere comunale, con la sua bella fascia tricolore, mi sposò in municipio. Il deputato locale era Giorgio Bogi, di La Spezia».
E tu, nel partito?
«Ero nella federazione giovanile repubblicana. Minoranza. Un’esperienza straordinaria che mi consentì di avvicinare Ugo La Malfa».
E di Giorgio L.a Malfa che cosa pensi? È un voltagabbana?
«Ha distrutto il Pri. Portandolo a destra lo ha fatto scomparire. Ma in realtà lo aveva già distrutto prima».
Quando?
«Quando cominciò ad andare contro il pentapartitoe uscì dalla maggioranza per dimostrare che il Pri era il partito degli onesti».
E poi i giudici l’hanno beccato.
«Il Pri di che cosa viveva?».
Parliamo di adulazione.
«Interessi di bottega e formula per coprire il vuoto che hai nel cervello. La Seconda Repubblica è fortemente caratterizzata dall’adulazione a causa di una concezione molto personalistica della politica».
Chi per esempio?
«Il massimo è sicuramente Berlusconi. Gli adulatori sono i soliti Schifani, Bondi, Vito. A sinistra penso soprattutto agli intellettuali che ruotano intorno a Repubblica. Tra i politici direi uno come Pecoraro Scanio, o come Folena».
E poi?
«Prototipo di cortigiano è Alan Friedman. Ha industrializzato la cortigianeria sfruttando la nostra stupida tendenza esterofila. E si è sempre rivelato pronto a muoversi a seconda di come girano le cose».
Anche tu eri vicino a Forza Italia.
«Mai. Non mi sono mai sognato di metterci il naso».
Eri vicedirettore a Panorama, sul punto di diventare direttore.
«Ho smesso con la politica attivaquando ho cominciato a fare il giornalista».
Chi votavi?
«Mi sono astenuto molte volte. Qualche volta mi sono rifugiato nel voto radicale. Alle ultime elezioni ho dato il voto a Berlusconi sperando che vincesse con largo margine, così toccava a lui dimostrare se i cinque anni di opposizione lo avevano reso capace di governare oppure no».
Machiavellico. E adesso c’è scontentezza secondo te in Forza Italia?
«C’è gente come Brunetta, come Sacconi, e in generale gli ex socialisti, che percepiscono tutto il disagio di una visione della politica come continua sollecitazione del consenso. Poi c’è il gruppetto degli ex liberali, Biondi, Costa, o l’ex democristiano Pisanu e tutti quelli che non a caso hanno dato vita a iniziative, si sono riuniti in gruppetti e correntine, hanno stampato giornalini».
Tu sei massone?
«No, non lo sono».
Il Pri era un partito ad alto tasso di presenza massonica.
«Io non ero contro i massoni in quanto tali. Ma devo registrare che quelli con i quali avevo diverbi, erano massoni. A Genova ce n’era una bella squadra».
Chi ti piace di più a destra?
«Oltre a Fini, Alemanno. Mi piace la distanza che corre tra la sua provenienza e quello che è oggi. Ne ha fatta di strada».
Era un fascista di quelli tosti.
«Adesso è uno dei pochi che sta a sentire e cerca di capire».
Chi non ti piace a destra?
«Soprattutto quelli della Lega».
E in Forza Italia?
«Ammiro giusto Gianni Letta, ma proprio perché non è per niente “berlusconiano”».
E a sinistra chi non ti piace?
«Non sopporto i cattocomunisti alla Rosy Bindi».
Come avverrà la dissoluzione di Forza Italia?
«Magari mandando Berlusconi al Quirinale. Significherebbe la sua uscita dal mercato della politica. Forza Italia non reggerebbe».
Facciamo il gioco della torre. Tra Cofferati o Bertinotti chi butti giù?
«Tengo Bertinotti: ogni mattina legge l’Osservatore Romano, e si pente. Cofferati mai».
Mastella o Casini?
«Mastella ha la data di scadenza, butto lui. Casini è la chiave dellaTerza Repubblica».
Alessandra Mussolini o Daniela Santanché?
«Tra due belle donne, tengo chi ha anche il cervello: Daniela».
Travaglio o Maltese?
«Travaglio ogni tanto mi fa ridere. Maltese nemmeno».
Quali altri giornalisti salti a pié pari?
«Flores d’Arcais, Veneziani, Socci».
Geronzi o Romiti?
«Butto Cesare, naturalmente».
Bravo furbo, si chiamano tutti e due Cesare.
«Accontentati della risposta».
Berlusconi o Fini?
«Il Cavaliere ha il potere ma non sa esercitarlo, Gianfranco, che è un politico di razza, mostra di saperlo usare anche se non ce l’ha. Butto Berlusconi».
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