- 16 Ottobre 2003
Bertucci, lei è voltagabbana fresco di giornata. Solo qualche mese or sono era con Berlusconi contro Mastella. Oggi è con Mastella contro Berlusconi. Prima governava, adesso si oppone.
«Il più recente, se vogliamo essere precisi, è Acquarone. Dalla Margherita all’Udeur».
Ma sempre all’opposizione.
«Io non ho mai cambiato casacca. Sono sempre stato un cattolico popolare. Nella Democrazia cristiana, in Forza Italia e adesso nella piccola isola moderata di Clemente Mastella. I voltagabbana invece sono i furbastri, gli spregiudicati, quelli che lasciano partiti in crisi per andare ad occupare posti di potere nei partiti di governo. Io ho lasciato il più grande partito italiano, dove ero vicepresidente del gruppo parlamentare, capogruppo in Commissione di vigilanza Rai, presidente della sottocommissione per le tribune d’accesso, e sono andato nel più piccolo partito della opposizione».
Una furbata.
«L’ho fatto per portare un contributo alla crescita del partito di Mastella».
Crescerà?
«Mastella e l’Udeur cominciano ad essere bersaglio di cecchini che si nascondono nel peggiore sottobosco politico. Ma abbiamo degli ottimi giubbotti antiproiettile».
Chi sono i cecchini?
«I cecchini di solito si nascondono, non si fanno vedere».
Mastella è un cacciatore di parlamentari. Il suo gruppo è composto per metà da parlamentari acquisiti.
«C’è anche molta gente che, eletta con Mastella, se ne è andata via. I ministri Salvatore Cardinale ed Agazio Loiero, per esempio».
Lei è stato acquistato come un calciatore.
«Nel senso?».
Nel senso che ha giocato come attaccante nella squadra dell’Udeur, a Telese.
«È vero. Contro i giornalisti».
Avete vinto imbrogliando. Giocavate 14 contro 9.
«Ci sono stati dei momenti in cui qualcuno dell’Udeur doveva uscire per i cambi ma l’età faceva brutti scherzi e non avevano la forza di raggiungere i bordi del campo».
Dicono che il suo arrivo all’Udeur è una sottile manovra politica studiata da Gianni Letta. Lei viene di qua per poi tornare di là con tutto l’Udeur che prenderebbe il posto della Lega.
«È la prima volta che sento una cosa del genere».
Come mai nessuno del Polo si è arrabbiato?
«Come no? Calderoli della Lega ha detto: “Nessuno se ne accorgerà”».
Un po’ poco. Quando uno se ne va da un partito c’è più vivacità.
«Io ho mantenuto rapporti ottimi quasi con tutti. In Forza Italia ho ancora tantissimi amici con i quali spero un giorno di rincontrarmi».
Lei è molto amico di Gianni Letta.
«Gianni Letta è stato il mio direttore quando lavoravo al Tempo. Tra noi c’è una enorme amicizia. È un uomo che si fa trovare sempre puntuale agli appuntamenti con gli uomini che vuole incontrare. È stato il numero due di tre numeri uno. Angiolillo, Pesenti e Berlusconi. Ricorda tutto di tutti. Conosce e incontra tutti. È presente ovunque, dice pochi sì, non dice quasi mai no. Voleva fare l’avvocato e ha fatto il giornalista. Voleva fare il giornalista-editore, invece è diventato uomo delle istituzioni. È un uomo molto corteggiato, sa rendersi indispensabile a uomini che considerano tutti sostituibili tranne se stessi. Letta è il Rivera della politica. Non vede solo la palla, ma tutto il campo, arbitro, giocatori avversari, giocatori amici o presunti tali».
Accidenti che pistolotto. Comunque, per come lo dipinge lei, potrebbe proprio averla pensata questa operazione.
«Assolutamente no».
È compatibile con il ritratto che ne ha fatto.
«Assolutamente no. Non è stato Gianni Letta a mandarmi di qua per tornare poi di là».
Peccato. Mi piaceva come idea. In fondo lei è uscito da Forza Italia dopo continui attacchi alla Lega. E che Mastella voglia prendere il posto della Lega nel Polo si dice da una vita».
«Clemente Mastella ha amici e alleati ma non si lascia mai sequestrare da nessuno. Non ha la vocazione dell’ostaggio. Il sogno dell’Udeur è riunire i fratelli separati che stanno negli opposti schieramenti e rifare un centro che poi va a finire nel Partito popolare europeo».
Moriremo democristiani?
«De Mita mi disse un giorno: “Ho fatto i conti e ho scoperto che alla Camera c’è la maggioranza di ex democristiani”».
Gli uni contro gli altri.
«Andrebbero scomposti e ricomposti i due schieramenti. Ma se vogliamo parlare di voltagabbana non bisognerebbe pensare forse a chi come il senatore Grillo fu eletto nel Partito popolare in Liguria nel 1994 e passò subito in Forza Italia diventando sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega alle grandi città? La politica è l’arte dell’impossibile. Oggi l’Udeur sta nel centro-sinistra ma lavora per la costruzione di un grande centro».
Il grande centro cozza contro il maggioritario.
«Lei crede che in questo Paese ci sia il maggioritario?».
Non c’è?
«Secondo me c’è molta confusione».
E nostalgia per il proporzionale.
«Oggi i parlamentari non li elegge il popolo. Li nominano i segretari dei partiti».
Non ha risposto alla domanda fondamentale. L’Udeur è lì pronto a dare una mano al governo nel caso Bossi faccia di nuovo le bizze?
«L’Udeur non farà la stampella del centro-destra».
Mastella non è una certezza da questo punto di vista. Ha già fatto il voltagabbana una volta. In senso inverso.
«Non sono d’accordo. Era un momento storico particolare. Intanto non era l’Udeur ma l’Udr. Ci fu una scissione nel Ccd e si formò un nuovo schieramento. Lo stesso allora vale per Cossiga. Fece l’operazione di appoggio al governo di centro-sinistra e poi appoggiò Forza Italia».
Sia Mastella che lei state a sinistra ma siete stati votati da elettori di destra.
«Elettori di centro-destra».
Lei è sempre stato democristiano?
«Cattolico e democristiano. A scuola sono andato al San Giuseppe De Merode. E avevo uno zio padre superiore dei domenicani a S. Maria Maggiore».
Di dov’è?
«Sono nato a Roma. I miei sono calabresi di Vibo Valenzia. Mio padre era un dirigente dello Stato. Una famiglia serena, una gioventù serena. Tanto sport».
E politicamente? La ribellione al padre?
«Nessuna ribellione. Ero legatissimo a mio padre. Quando è venuto a mancare, due anni fa, per me se ne è andato un pezzo di vita. Oggi mi sento un po’ solo».
Torniamo ai voltagabbana.
«Vuole qualche nome? Glieli faccio volentieri. Sandro Bondi?».
Si dice.
«Non so, lo dice lei».
No, io non lo dico. Lei lo dice?
«No. Io le chiedo: può dirsi voltagabbana Sandro Bondi?».
Ma che fa? Le domande? Lei deve dare le risposte.
«Bondi veniva dal Partito comunista. Come tanti altri che eletti nel Pci di allora oggi si ritrovano fra i banchi di Forza Italia».
Tanti?
«Sono 176 i parlamentari, quindi guardi un po’ lei…».
No, guardi lei.
«Gente che aveva magliette tutte rosse ora le ha tutte bianche».
Adornato? D’Alema gli ha detto: «Sei stato eletto nel collegio blindato di Perugia».
«Come dire: “Ti abbiamo nominato noi, non è che sei stato eletto a furor di popolo”. Io non voglio fare il moralista però una cosa è lasciare l’opposizione, altra cosa è lasciare la maggioranza…».
Non posso darle torto. Si chiamano voltagabbana a perdere. Lei si sente molto diverso da un leghista?
«Io sono per l’Europa, la Lega contro. Io voglio aiutare chi soffre, la Lega vuole sparare cannonate sugli extracomunitari».
Era della Lega la Pivetti. Una voltagabbana.
«Io la votai come presidente della Camera. E sono molto pentito. Votarla fu uno degli errori del centro-destra. E Scognamiglio? Voltò gabbana e divenne ministro della Difesa».
Secondo lei Berlusconi è consigliato bene?
«Malissimo. Sono tutti yesmen tranne Gianni Letta. Berlusconi non potrà mai fare a meno di Gianni Letta».
Altri casi di voltagabbana?
«Dini, certamente».
Giornalisti?
«Foa no, Guzzanti sì».
Due pesi e due misure?
«Il giornalista è portatore di idee che vuole comunicare. Se passa dall’Unità al Giornale senza modificare le sue idee non è un voltagabbana».
Anche Guzzanti è un giornalista portatore di idee.
«Guzzanti è un’altra cosa. È una questione di deontologia. È parlamentare, presidente della commissione Mitrokin, vicedirettore del Giornale».
Anche lei…
«Io sono in aspettativa, un minimo di correttezza».
Come è arrivato in Rai?
«Sono stato quattordici anni al Tempo. Quando era direttore Letta, io ero segretario di redazione e anche presidente del comitato di redazione. Ero l’uomo vicino al direttore ma anche il rappresentante dei giornalisti. Mai come in quel momento ottenemmo ottimi risultati per la redazione, proprio perché non c’era scontro».
Concertazione spinta.
«Dialogo. Quando Letta andò alla Fininvest, io gli chiesi aiuto per andare in Rai. E lui mi aiutò. Andai al Tg3. Direttore era Sandro Curzi. Lo ha ricordato in un’intervista: “Tra i raccomandati mi ricordo uno che veniva dalla Dc, uno che veniva dal Pci e Maurizio Bertucci che fu segnalato da Gianni Letta”».
Poi il Tg1.
«Prima con Fava, ottimo direttore, ma giornalista poco televisivo, troppo prolisso. Quindi Vespa, uno che sa che in Rai ciò che conta è indovinare prima degli altri chi sarà il prossimo editore di riferimento».
Poi Longhi.
«Vecchia tv didattica anni Cinquanta».
E infine Volcic.
«Era rimasto un corrispondente dall’estero. Dirigeva il Tg1 vedendo l’Italia da fuori».
E alla fine la politica. Gianluigi Scaltritti, suo compagno di partito in Forza Italia, dice che lei ha fatto un salto da palo in frasca. Avete mai più fatto pace?
«Io non ho mai litigato con Scaltritti».
Però gli ha dato un cazzotto.
«Non era un cazzotto, ma una gomitata. Mi aveva aggredito da dietro e mi sono difeso liberandomi dalla morsa. Basta guardare le foto».
Lei gli aveva detto: «Testa di cazzo e faccia di culo».
«Non è vero assolutamente».
Riportato dai giornali.
«Non è il mio linguaggio».
Motivo del litigio?
«Non lo abbiamo mai detto, ma ormai. Scaltritti non veniva mai in aula ma risultava sempre votante. Avevamo fatto uno scambio di posti per evitare che un “pianista” votasse per lui».
Lei ha mai usato un pianista?
«Sì, sinceramente l’ho fatto. Ma tenga conto che io sono uno che ha una delle più alte percentuali di presenza in aula. Sono uno dei cinque che ha ricevuto l’orologio dal presidente Berlusconi».
Un Piaget d’oro.
«Un Piaget d’acciaio. L’ha regalato anche a Bush, ad Aznar e a Putin. Lo conservo a casa. Costa dieci milioni».
Lei era uno stakanovista.
«Spesso sostituivo anche dei colleghi in commissione. Anche Bondi».
Bondi è uno che non ci andava?
«Era impegnato a fare dichiarazioni».
Dica la verità: Bondi è un adulatore.
«Bondi è l’esempio classico dell’adulatore».
Anche lei faceva dichiarazioni. Contro Santoro, per esempio. E adesso si trova dalla sua parte.
«Vogliamo definirlo un populista?».
Definiamolo.
«Un sobillatore di popolo? È innegabile che ha utilizzato le sue trasmissioni come delle clave».
Lei ha fatto molte altre dichiarazioni. «O di qua o di là, bisogna fare una scelta di campo tra l’Italia del potere e l’Italia della libertà, tra l’Italia che sa amare e quella che sa solo odiare».
«Ci credevo».
Bisognerebbe stare attenti quando si dichiara. Adesso lei sta con quelli che amano il potere e sanno solo odiare.
«È quello che mi ha detto il presidente Berlusconi: “Vai con i politici di professione”».
Ha parlato anche di toghe rosse. Adesso va con le toghe rosse.
«Beh, non vado con le toghe rosse».
Va con quelli che sostengono le toghe rosse.
«Sono le forzature del sistema maggioritario. Sei costretto a usare toni e frasi al di là della tua volontà. Sei in uno schieramento e pensi che starai sempre lì».
Torniamo agli orologi. Berlusconi a Bondi ha regalato quello del Milan.
«Quello del Milan l’ha regalato anche a me».
Lei è pieno di orologi.
«Me ne ha regalati tre. Anche il Locman in carbonio che regalò a tutti i parlamentari a Natale dello scorso anno».
Non vi dava fastidio tutto questo paternalismo? Il miliardario vi fa il regalino perché siete stati buoni. Vi trattava come bambini.
«Berlusconi è un papà per tutti».
Le piace?
«La Casa delle Libertà ha un proprietario abile, intelligente, un provocatore mediatico eccezionale. Però Berlusconi stenta a volte a capire che un partito non è un’azienda e i parlamentari non sono dipendenti. Il teatrino della politica, come lo chiamava una volta, lo ha sedotto».
Gioco della torre. Tra Costanzo e la De Filippi chi butta giù?
«Tutti e due. Non voglio lasciare uno dei due senza l’altro».
Non è un problema suo. Ne butti giù uno.
«Maria De Filippi».
Perché?
«Le trasmissioni della De Filippi lasciano veramente a desiderare».
Fede o Rossella?
«Butto Emilio Fede. Vince il concorso per titoli ed esami per la cattedra universitaria di insegnamento dell’adulazione».
Scalfaro o Scalfari?
«Butto Scalfaro. Quando è diventato presidente della Repubblica dimenticò del tutto quelli che lo avevano aiutato».
La Russa o Gasparri?
«Butto Gasparri. Ha rinnegato il suo passato. Ha dimenticato tutti quei ragazzi che per fare arrivare lui a fare il ministro ci hanno rimesso anche la vita».
Anche La Russa.
«La Russa ha ancora lo spirito del vecchio Msi».
Boso o Borghezio?
«Borghezio, uno xenofobo pericolosissimo».
Perché invece Boso…
«Due xenofobi pericolosissimi».
Cofferati o Bertinotti?
«Per me Bertinotti è il Mastella della sinistra. È l’uomo che non vuole farsi ingabbiare, ma che in certi momenti capisce che il gioco di squadra è importante».
Al Polo Bertinotti è sempre piaciuto.
«Se il Polo questa volta pensa che Bertinotti si sfili, si sbaglia proprio».
Riformista o Foglio?
«Non leggo nessuno dei due. Non mi piacciono questi tipi di giornale».
Non le piace nemmeno Ferrara?
«Non mi è mai piaciuto. È uno dei consiglieri che fanno sempre sbagliare Berlusconi. Ma non mi sorprenderebbe se domani cambiasse campo. Ferrara: oggi di qua, domani di là».
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