- 29 Maggio 2002
Che cos’è l’adulazione? "Un gioco di società che entro certi limiti confina con la cortesia". E oltre certi limiti? "Sconfina nella stupidità e genera imbarazzo". Aldo Cazzullo è un giornalista della Stampa, autore di una manciata di libri di successo, dall’intervista a Edgardo Sogno sul suo tentativo di colpo di Stato, all’ultimo, I torinesi, sui personaggi della Torino che conta, da Cavour ai giorni d’oggi. Sulla piaggeria, sui leccapiedi, Cazzullo cerca di evitare la caccia alle streghe. "Bisogna distinguere quando il fine dell’adulazione è semplicemente strappare un sorriso, ottenere una benevolenza e quando sotto c’è qualcosa di più, il ragazzo che vuole cercare di entrare in un giornale, l’uomo che vuole andare a letto con una donna. Spesso l’adulazione è un lubrificante del vivere civile".
Aldo, a te capita di essere adulato? Qualcuno che ti dice: "Che bell’articolo, che libro stupendo!".
"Capita un po’ a tutti. Generalmente nelle forme della cortesia. Ma io sono uno che non conta nulla".
Non fare il modesto. Sei uno dei giornalisti più letti d’Italia. La categoria dei giornalisti sembrerebbe particolarmente dedita all’adulazione, almeno leggendo la rubrica "Affettuosità giornalistiche" di Denise Pardo sull’Espresso.
"Noi giornalisti dobbiamo in qualche modo risponderne".
Cioè?
"Ci possono beccare. Però una cosa è certa: noi giornalisti adoriamo parlare di noi stessi".
Tu usi l’adulazione?
"Talvolta, come forma di cortesia. Ma se faccio un complimento è perché lo penso".
Se un collega ha scritto un brutto articolo?
"Non gli dico che l’articolo è bello. Piuttosto non gli dico niente".
E nel lavoro?
"Può accadere che, intervistando una persona, si simuli adesione alla sua visione del mondo".
Ti è capitato quando hai intervistato Edgardo Sogno?
"Quella è stata l’intervista più importante per me. Ma quando Sogno ha raccontato che voleva fare davvero il colpo di Stato, lui sapeva benissimo che io la pensavo in modo diverso dal suo".
Ti è mai capitato di scrivere sui tuoi editori?
"Sul giornale no. Nei libri, talvolta. Nei Ragazzi di via Po, parlando della Torino degli anni Cinquanta, non potevo prescindere dalla Fiat. Nel libro appena uscito, I torinesi, c’è la figura di Giovanni Agnelli".
Imbarazzo?
"No. L’ho affrontata sul piano storico, non su quello della cronaca".
Gli editori stimolano l’adulazione?
"I grandi editori non lo fanno mai. Sono molto buffi gli editori che sui loro giornali sollecitano interviste, fotografie, notizie che li riguardano. Credo che la piaggeria da parte dei suoi giornalisti infastidirebbe molto il mio editore".
Tu intervisteresti Giovanni Agnelli?
"È difficile astrarsi dal caso specifico. Un’intervista ad Agnelli sulla Stampa la fa il direttore".
Come sei arrivato alla Stampa?
"Sono nato ad Alba, un posto dove è bello essere nati per motivi eno-gastronomici. Poi però, una volta che hai mangiato bene nel week end, il lunedì, che cosa fai?".
Che cosa fai?
"Te ne vai via".
Tu dove sei andato?
"Alla scuola di giornalismo di Milano".
Così d’improvviso?
"No, avevo iniziato a 17 anni a lavorare in un giornale della sinistra albese, il Tanaro. Ma la sinistra ad Alba non esisteva. Anche gli operai votavano democristiano nelle Langhe. Il Tanaro affogò prestissimo. Io passai al settimanale diocesano, la Gazzetta d’Alba".
Poi la scuola a Milano.
"C’erano Francesco Manacorda, che adesso è il capo della redazione milanese della Stampa, Andrea Macchi che è andato al Tg4 con Fede, Andrea Doneda che è diventato direttore di Altro Consumo".
Che clima c’era?
"C’erano tre categorie: quelli del kibbutz, le facce da Fininvest e i ragazzi di provincia. Quelli del kibbutz mimavano gli anni Settanta, tutti vestiti di nero, tutti lettori del Manifesto, peraltro giudicato un po’ troppo moderato. Una volta venne a parlarci Edilio Rusconi. Nella prima parte dell’incontro fu duramente contestato dal kibbutz. Nell’intervallo arrivò il direttore della scuola a farci il cazziatone: "Ma siete impazziti? Questo è uno che può assumere!". Nella seconda parte dell’incontro quelli del kibbutz erano irriconoscibili: "Bella quell’inchiesta di Gente? stupenda la copertina di Gioia"".
Splendido esempio di piaggeria. Ai giornalisti si insegna ad essere leccapiedi fin dagli inizi della carriera?
"Nel giornalismo il cortigiano è una figura secondaria. L’italiano è di sua natura malpensante e dietrologo per cui l’adulazione non serve. È molto più utile semmai il ruolo di chi distrugge l’avversario. Questo spiega perché nella destra si distinguano i polemisti: Ferrara, Guzzanti, Sgarbi, Buttafuoco, Farina, i due Feltri, Baget Bozzo. Molto più efficaci e utili degli adulatori".
E le "facce da Fininvest"?
"Erano bellocci, sbarbati, vestiti da manager, tipici rappresentanti della Milano da bere".
E tu?
"Né con gli uni né con gli altri. Tra i ragazzi di provincia. Ogni tanto mi univo al kibbutz, per andare nella finta Milano popolare di Porta Ticinese a sentire i poetastri che leggevano le loro poesie al Portnoy".
Che origini hai?
"Sono figlio di un bancario. Ma la figura centrale della mia famiglia era mio nonno macellaio, Aldo. Da bambino lo accompagnavo sulle colline delle Langhe a scegliere i vitelli e lui aveva tutte le gambe piene di lividi perché tastava la consistenza delle carni e prendeva dei grandi calci dai vitelli".
La zona ha prodotto altri giornalisti?
"Ezio Mauro, Giampaolo Pansa, Giorgio Bocca. Come vedi non sono possibili paragoni".
Chi ti piace di più?
"Ezio è stato mio direttore, dal ’92 al ’96, anni importanti per me. Io stavo agli esteri, non avevo trent’anni, dovevo imparare tutto. Pansa è il più umano tra i grandi vecchi. In un momento doloroso della mia vita l’ho trovato inaspettatamente vicino. Giorgio Bocca è il massimo come scrittura. Insieme con Enzo Bettiza. Sono i due che tengo sul comodino".
I miti della tua gioventù?
"Appartengo a una generazione senza miti. Sono entrato al liceo nel 1980. Erano gli anni in cui finiva la politica di strada, quella che aveva coinvolto un’intera generazione nel male ma anche nel bene. Alla nostra generazione è mancata questa politica che formava e selezionava, insegnava a parlare in pubblico, a guidare un’assemblea, a condizionare la volontà altrui. Una scuola di spregiudicatezza intellettuale. Approdo naturale di un pezzo di quella generazione è stato il Foglio".
Pia Luisa Bianco, con il suo Elogio del Voltagabbana, ne ha scritto il manifesto.
"Più che la Bianco, il manifesto lo ha scritto l’avvocato Grazia Volo quando, nell’intervista che le hai fatto, ha detto che il massimo per un avvocato è fare assolvere un reo confesso. Questo è secondo me il manifesto della spregiudicatezza, del libertinaggio intellettuale, del relativismo etico".
Ti mancava il Che? Non avevi altre icone?
"Un’immagine che mi porto dietro è Emanuelle Béart, pallidissima nei suoi capelli neri, trascinata via da due poliziotti dalla chiesa di Saint-Bernard, rifugio del sans papier, infagottata nel suo maglione e nei suoi jeans sdruciti".
Quando sei arrivato alla Stampa?
"Nel 1988, a 22 anni. Direttore Gaetano Scardocchia. Non ho mai cambiato giornale".
Ma direttori tanti.
"Ho avuto la fortuna di avere grandi direttori e condirettori. Dopo Scardocchia, Mieli, Mauro, Lerner, Sorgi, Riotta".
Hai dimenticato Carlo Rossella.
"Rossella è un grande personaggio. Mi prometteva sempre una sede estera, di solito Parigi, ma anche Bruxelles. Bonn. Poi, quando portarono la capitale a Berlino, Berlino".
Risultato?
"Non mi ha mai mandato da nessuna parte".
Dove è la maggior concentrazione di adulatori?
"Alla corte di Berlusconi. Ma gli adulatori sono figure marginali, poco importanti, fungibili, intercambiabili: ieri La Loggia, oggi Schifani e Vito. I personaggi centrali sono altri. Sono i Dell’Utri, i Confalonieri, i Ferrara, i Letta".
E la corte dei Ds?
"È diversa. Filippo Ceccarelli ha scritto un bell’articolo in cui spiega il rapporto tra D’Alema e i Ds in termini sadomaso. Anche i giornalisti, tra loro, dicevano cose tremende di D’Alema, ma poi non le scrivevano".
D’Alema è suscitatore di adulazione?
"No. Ma ho la sensazione che non sia insensibile al giudizio degli altri".
Bertinotti?
"Bertinotti è più vanitoso di Wanda Osiris. Mi è simpatico e secondo me ha un ruolo fondamentale in questa fase politica, un ruolo di calmieratore".
Se lo dici un’altra volta ti querela.
"È vero. Lui negherebbe".
L’adulazione alligna più a destra o a sinistra?
"È bipartisan. Fini viene molto adulato dai suoi. Quello che lo adula di meno, o che a volte non lo adula per niente, è Storace".
Quelli che lo adulano di più?
"Tutti gli altri a pari merito. Gasparri, Urso, Matteoli, La Russa".
E i craxiani? Erano una tribù di adulatori? Sono una tribù di voltagabbana?
"Io Craxi l’ho conosciuto morente ad Hammamet".
Sei stato l’unico a scrivere, in controtendenza, che lui voleva stare lì, essere operato lì, morire lì, essere sepolto lì.
"L’abbiamo scritto in due; con me, Gianni Pennacchi del Giornale".
Che cosa ti rimane di quelle visite?
"La consapevolezza di avere assistito a una tragedia che non riguardava solo lui. Il nostro è un popolo che si libera dei suoi leader in modo violento. Umberto I a pistolettate, Mussolini a testa in giù, Aldo Moro nel cofano della Renault, Craxi sepolto nel cimitero di Hammamet".
Un popolo dalle passioni improvvise e dagli improvvisi tradimenti?
"Anche".
Pensa a Di Pietro. Era idolatrato. Oggi non prende nemmeno il quorum.
"L’emotività si è stemperata, la gente ha riflettuto, i media si sono ammutoliti. Noi non siamo come i tedeschi. Siamo pronti a tradire i nostri compagni, i nostri amici, la nostra fede".
Ad Hammamet hai conosciuto anche la corte in esilio dei craxiani?
"Era una corte molto diversa da quella che c’era ai tempi del Craxi potente. Era composta da alcuni elementi rimasti fedeli, alla base della piramide: l’autista Nicola Manzi, il fotografo Umberto Cicconi. Poi altre persone si sono avvicinate al Craxi morente".
Per esempio?
"Il sindaco di Aulla, Lucio Barani, uno che stava tutto il giorno al suo capezzale".
Chi ti ha colpito di più della corte dei craxiani?
"In positivo Stefania, donna di grande personalità e dignità. In negativo, Giuliano Amato e Claudio Martelli. Mi ha sorpreso che Amato non sia mai andato ad Hammamet. Mi ha colpito anche una certa repentinità di spostamenti di Martelli, uomo di notevole fascino intellettuale al quale manca un po’ di costanza e di sostanza".
Nell’elenco degli adulatori vengono spesso inseriti i protagonisti del giornalismo televisivo, Anna La Rosa, Fede, Vespa?
"L’informazione in tv, con alcune eccezioni, è essenzialmente intrattenimento. Il tono morbido, avvolgente, consolatorio fa parte della formula. L’attacco e la critica disturbano. Però io credo che lo spettatore ne sia consapevole".
C’è chi dice che per Vespa è un problema di stile. Forma soft, contenuto hard. Le domande le fa, e se non rispondono le rifà.
"Ci sono due Vespa. Il saggista è molto diverso dal conduttore. I libri di Vespa assomigliano alla trasmissione di Santoro: hanno una tesi. Il Vespa televisivo non è così. Non è un caso che anche i leader dell’Ulivo si siano sempre trovati bene".
La Rai stimola l’adulazione?
"Mi ha colpito che l’ultimo atto di Cappon, direttore generale nominato dall’Ulivo, sia stato quello di negare la diretta tv alla manifestazione dell’Ulivo, nella speranza di guadagnare qualche giorno".
Non c’è niente di peggio della cortigianeria che non funziona.
"È una cosa che sollecita più un giudizio estetico che etico. Imbarazzante".
Tu, politicamente?
"Un giornalista che segue la politica non dichiara per chi vota".
Paolo Guzzanti ti ha definito sul Giornale "un leale uomo di sinistra con una curiosità intellettuale per la destra".
"Mi riconosco".
Tu come definiresti Guzzanti?
"Un polemista tecnicamente bravissimo".
Quali giornali leggi?
"La mia giornata deve cominciare con un’articolessa. Se comincio con gli articolini e con le notizie mi viene l’ansia. Allora comincio con un bel pezzo del Foglio. Possibilmente il più lungo. E di esteri".
Nella polemica sull’Unità fra Caldarola e Colombo, per chi fai il tifo?
"Caldarola è una persona simpatica che stimo. Furio Colombo lo conosco da molto più tempo ed è una persona che ha contato nella mia formazione".
Non farmi il bipartisan.
"Se il criterio deve essere il mercato, l’Unità di Caldarola è morta e l’Unità di Furio Colombo è viva. Colombo ha ridato orgoglio e grinta alla redazione".
Furio Colombo, nelle mie interviste, viene spesso fuori. La sua disinvoltura nel passare dalla Fiat a Gramsci?
"Furio Colombo non è un voltagabbana. Negli anni ’60 in America frequentava ambienti radicali. E non dimenticare che non c’è più il Pci, non c’è più l’Urss. È normale che ci siano vicinanze di interessi tra persone che 15 anni fa stavano agli opposti".
Qual è il tuo tg preferito?
"Quelli che bisogna guardare, Tg1 o Tg5".
Di nuovo bipartisan?
"Tra Longhi e Mentana, preferivo Mentana. Almeno teneva svegli".
Tra Mentana e Lerner?
"C’era più battaglia. Ho molta stima per Lerner e credo che sia il più completo. Uno che sa fare tutto. Dal libro al talk show. Ma qui siamo veramente a livello di adulazione. Lasciamo perdere".
Quali sono oggi i tuoi amici?
"Tra i colleghi, Gianni Pennacchi, Marianna Bartoccelli, Maria Corbi. Nel mio giornale sono in grande sintonia con Filippo Ceccarelli e Pigi Battista per i quali ho l’affetto e il rispetto che posso avere per un fratello maggiore. E poi Massimo Gramellini, Mario Calabresi, Federico Geremicca. La redazione della Stampa è un posto molto stimolante".
Sei mai stato ruffiano?
"Ruffiano non è la parola giusta. Diciamo che qualche complimento di troppo a qualche donna che non lo meritava l’ho fatto anche io".
[…] conta, da Cavour ai giorni d’oggi. Sulla piaggeria, sui leccapiedi, Cazzullo cerca di evitare la caccia alle streghe. “Bisogna distinguere quando il fine dell’adulazione è semplicemente […]