- 29 Gennaio 2004
«Odio Berlusconi». Così, senza mezze misure. Franco Cordelli, 61 anni, dirigente Rai, critico teatrale e scrittore, ci ha scritto un libro sul suo odio per Berlusconi, Il Duca di Mantova. Un romanzo?
«Romanzo no. Piuttosto saggio, racconto, pamphlet, autobiografia, invettiva, un po’ tutto».
Direi diario.
«Sì, diario. Ma non c’è nulla di vero».
Nulla? C’è Berlusconi, c’è Previti.
«Ci sono e non ci sono. Non sono personaggi reali».
Sono così reali che il suo editore, Einaudi, di proprietà di Berlusconi, ha rifiutato di pubblicare il libro.
«Me lo avevano detto: “Non te lo pubblicheranno mai”. Ma Ernesto Franco, direttore editoriale dell’Einaudi, sdrammatizzava: “Pubblichiamo anche i libri di Paul Ginsborg!”. Poi sono ricomparsi solo quando avevo già firmato con la Rizzoli».
Eppure Mondadori, casa editrice di Berlusconi, pubblica D’Alema.
«D’Alema vende. E non scrive cose contro Berlusconi».
Non si parla troppo di Berlusconi?
«Berlusconi è nato e vissuto solo perché io potessi scrivere questo libro. Le piace questa risposta?»
Che mi dice del lifting?
«Riscrittura globale, revisione globale, falsificazione globale. Il lifting rientra in questa dinamica».
Lei nel libro si chiede: chi vota un cattivo è cattivo? Ma non risponde.
«Rispondo ora. Sì, è cattivo. Anzi è peggio. Il popolo italiano è peggio di Berlusconi. Molto peggio».
Cosa succederebbe se Berlusconi lasciasse la politica?
«Sarebbe rapidamente dimenticato. Lo troveremmo nei libri di storia, nei filmati, nei documentari. Tramanderanno le sue pose, i suoi lifting, le sue pacche sulle spalle. Non vedo cos’altro potrà rimanere».
Veramente odia Berlusconi?
«L’esagerazione è una retorica letteraria».
Se chi vota un cattivo è cattivo, l’amante dell’amante di un cattivo è cattivo?
«Perché me lo chiede?»
Perché lei racconta di essere stato fidanzato con un’amante di Previti.
«L’amante dell’amante di un cattivo è pessimissimo. Dovrebbe provare repulsione e dire: “Hai avuto rapporti con quel verme”. Invece no. Orrendo».
Un ricordo che vuole rimuovere?
«Una colpa che devo espiare. O meglio: la deve espiare il personaggio del libro».
Ma è lei!
«Io non sono io, Previti non è Previti, Berlusconi non è Berlusconi».
Sembra la tesi difensiva quando in tribunale le chiederanno miliardi.
«E chi li ha i miliardi?».
Nel libro dice: «la cosiddetta sinistra».
«Di formazione, di intenti e di speranze mi considero di sinistra. Sinistra critica. Nelle assemblee del ’68 alla Sapienza di Roma io e Dario Bellezza mentre gli altri scrivevano alla lavagna “Viva Lenin” noi scrivevamo “Viva Proust”».
Nel ’68 aveva 25 anni.
«Le manifestazioni me le sono fatte tutte, da Valle Giulia a piazza Cavour».
Insieme a Giuliano Ferrara.
«Non sapevo nemmeno che esistesse».
Insieme a Paolo Liguori.
«Paolo Liguori sì. Era andato a casa di Enzo Siciliano e con le forbici aveva tagliato i baffi del gatto».
Grande gesto rivoluzionario.
«Ho perso il filo, di che cosa stavamo parlando?».
Della cosiddetta sinistra.
«Nell’ultimo decennio non ha prodotto nulla di interessante».
Andiamo più indietro. Genitori, scuole, miti, canzoni.
«Sono nato a Roma. Porta Pia. Mia madre mi portava a giocare al monumento del bersagliere. Credo che questo mi abbia segnato».
Meno male che non la portava a giocare al Foro Italico.
«I miei sono sempre stati dei moderati. Però quando è nata Forza Italia sono diventati degli sfegatati anti-berlusconiani».
Compagni di scuola?
«Di università. Due su tutti: Alfonso Berardinelli e Giulio Ferroni. Con Berardinelli siamo stati molto amici, dal ’64 al ’77. Poi all’improvviso lo scoprii feroce con i comunisti. Allora lo attaccai. Mi faceva rabbia che avesse cambiato idea senza darne conto».
Parliamo subito di voltagabbana?
«Berardinelli non è un voltagabbana. Ha solo saltato qualche passaggio».
Politicamente lei a che punto sta?
«Quando Bertinotti fece cadere il governo, lo incontrai casualmente e gli dissi: “Volevo complimentarmi con lei. Da vecchio trotzkista patafisico”. E lui: “Di matti in Parlamento ce ne sono tanti, ma pure fuori”. Trotzkista patafisico. Mi diverte dirlo, ma non significa nulla. Mi piace rompere i coglioni alla sinistra».
Miti giovanili? L’attrice? Eravate dibattuti fra Marilyn Monroe e Brigitte Bardot, tra mammoni e trasgressivi.
«Marilyn Monroe senza dubbio».
Gli intellettuali sceglievano Brigitte Bardot.
«Perché sono malati. Marilyn ha profondità, Brigitte no. Marilyn è spirito, è anima sofferente».
Finita la fase adolescenziale, che cosa fece?
«Sono sempre stato fortunato. Avevo deciso di non lavorare e in effetti ci sono riuscito».
Non esageri.
«Un giorno mi telefonò Elio Pagliarani, critico teatrale di Paese Sera. Avevo pubblicato qualche articolo sull’Avanti che gli era piaciuto. Disse: “A me serve un vice”. Accettai, ovviamente».
Era comunque un lavoro.
«La critica teatrale non è un lavoro. Nel 1986 ho avuto il secondo colpo di fortuna. Lanfranco Vaccari, direttore dell’Europeo, mi chiamò al posto di Italo Moscati. Terzo colpo di fortuna: Raboni lasciò il posto di critico teatrale del Corriere …».
E la Rai? Lei è vicedirettore alle reti radiofoniche.
«È stato l’unico vero lavoro. Avevo 50 anni. Walter Pedullà divenne presidente. Io lo avevo conosciuto all’università. Mi fece collaborare al Tg2. Poi presidente divenne Enzo Siciliano. Eravamo amicissimi ma otto mesi prima avevamo litigato ferocemente. Io non gli avevo perdonato il fatto che mi aveva rubato degli amici».
Ma lei è veramente permaloso.
«Mi ero ingelosito.Ma perché uno ti deve rubare gli amici?».
Insomma, fanno Siciliano presidente.
«Mi telefona e dice: “Ti va bene vicedirettore della radio?”. Telefonai a qualche amico: “Che significa? Bisogna lavorare?”».
Bisognava lavorare?
«Un po’ sì. Senza esagerazione».
Una bella carriera.
«Durò un anno e mezzo. Poi cadde il governo Prodi».
E la cacciarono.
«Mi emarginarono. Divenni vicedirettore off-line. Nel frattempo ero diventato amico di un capostruttura molto gentile, Sergio Valzania. Tutte le mattine veniva da me e parlavamo. Poi diventò direttore di Rai Due e di Rai Tre e cominciò a farmi fare qualcosa. Gli sono grato».
Bella la vita dell’emarginato.
«Non mi lamento».
Va in ufficio e non fa niente.
«Potrei anche non andare in ufficio. Vado perché mi fa piacere».
Giancarlo Perna sostiene che lei scrive cose incomprensibili.
«È vero. Una volta, all’Europeo, il caporedattore Eugenio Tassini appese un mio articolo dietro la sua scrivania. Sopra ci scrisse: “Come non si scrivono gli articoli”».
Sono cose che rendono felici.
«Voglio dire troppe cose in poco spazio. Non mi arrendo alla semplicità. Però in fondo è uno stile».
Nell’ultimo Domus c’è una recensione che comincia così: “Sono stato a Locarno, la mostra è bella”».
«Che schifo!».
Lei è litigioso?
«Lo sono stato. Nel 1993 scrissi un articolo contro Angelo Guglielmi che dette il via alla demolizione della sua Rete Tre».
Perché lo fece?
«Perché da lui avrei voluto un riconoscimento come scrittore, riconoscimento che non è mai venuto. Non nego che fu un risentimento personale a spingermi».
La colpa di Guglielmi è di non aver parlato mai bene di lei?
«Più che altro ne parlò malissimo. Scrissi L’Italia di mattina, un libro sul Giro d’Italia e lui disse: “Chiacchiere da Bar Sport”. Mi fece incazzare. Era il mio libro più leggibile. Vede? È meglio se scrivo cose incomprensibili».
È un critico. Dovrebbe accettare.
«Ma io accetto. Però soffro. E poi mi vendico. Appena il mio avversario fa una cazzata, lo bastono».
Altri litigi?
«Non sopporto Pietro Citati. È illeggibile. Cesare Garboli è uomo di straordinaria intelligenza ucciso dalla vanità. Con Antonio Tabucchi ho avuto un litigio violentissimo nel ’97. Ci fu uno scambio di insulti aspri e violenti. Lui arrivò ad essere perfido, velenoso, triviale. Scrisse che ero un romano fancazzista».
Anche lei non ci va leggero coi colleghi. Di Baricco per esempio…
«Baricco non riesco a prenderlo sul serio. Non è uno scrittore».
Camilleri?
«Mi è simpatico, però non ha stile. Non sono mai riuscito a leggere più di tre pagine di un suo libro».
Arbasino? Sempre illeggibile?
«Ha scritto due libri bellissimi, L’anonimo lombardo e Fratelli d’Italia. Poi è diventato compiaciuto, narcisistico».
Ci sono scrittori che le piacciono?
«Vassalli, Montefoschi, Orengo. Tra i più giovani Eraldo Affinati, Paolo Di Stefano, Michele Mari, Antonio Franchini e Andrea Canobbio con l’ultimo libro Il naturale disordine delle cose».
Un fenomeno come la Tamaro come lo spiega?
«Bastava il titolo per non leggere il libro. Un titolo cinico».
Un titolo da marketing.
«E quindi cinico. Uno scrittore mica scrive per vendere».
Lei è considerato un farfallone.
«In che senso?”
Donne.
«Su questo non mi frega».
Le domande si fanno.
«Farfallone?».
Molte fidanzate.
«Tutte inventate».
Irene Ghergo, intervistata, mi raccontò di avere avuto una storia con lei. E che le faceva scenate di gelosia.
«Bugiarda, mitomane».
Ci dica almeno come sono i rapporti con le donne.
«Quasi tutti astratti, non sessuali, telefonici».
Mi dica solo che cosa pensa della bigamia.
«La odio. La bigamia è moralmente orrenda».
Avere due donne è immorale…
«…ma tre no. Io sono per la monogamia o la poligamia».
Ha praticato la poligamia?
«Attorno ai 20 anni».
Massimo?
«Cinque».
Lei è un voltagabbana?
«Nel 1978 ho scritto che Romolo Valli non mi piaceva. Ebbi con lui un litigio violento. Nel 1998 ho scritto che era un grande attore. Ho cambiato idea o sono maturato?».
E in politica?
«Il voto più a destra l’ho dato al Pci, il più a sinistra a Bertinotti».
Mi citi un voltagabbana.
«Adornato. Non riesco mai a finire un suo articolo. Non finisco nemmeno quelli di Paolo Guzzanti. Ma lui è bilanciato dai figli: lo perdono».
Che cosa non va in Adornato?
«È esagerato. Poi c’è Giuliano Ferrara».
Anche lui voltagabbana?
«Esistono due Ferrara. Quando lo incontri, in privato, scorgi nei suoi occhi tratti di umanità e bontà. Poi lo vedi in tv e ti fa paura».
Molti considerano voltagabbana anche Giuliano Amato.
«È un personaggio complesso. Gli riconosco una reale passione politica. Ma lo detesto perché ha abbattuto il welfare con la famosa finanziaria del 1992».
Passare da destra a sinistra vuol dire purificarsi. Passare da sinistra a destra vuol dire tradire. Pier Luigi Battista, quando l’ho intervistato, mi ha rimproverato questa contraddizione.
«Battista è preda di un abbaglio clamoroso. L’equidistanza è ipocrita. Un ladro che diventa poliziotto è meglio di un poliziotto che diventa ladro».
C’è tanta adulazione in giro?
«Quando nel ’96 la sinistra vinse, affacciati al balcone di Botteghe Oscure c’erano anche degli scrittori. Rimasi colpito. Ma che ci stavano a fare quelli lì sul balcone?».
Il carro del vincitore.
«Uno scrittore non sale sul carro».
Lei tre mesi dopo è stato assunto alla Rai.
«Capisco l’insinuazione. Ma non ho fatto nulla perché ciò avvenisse. Non mi sono affacciato al balcone».
Campione dell’adulazione è considerato Emilio Fede.
«L’ho rivisto l’altro giorno in un’intervista a Pasolini del 1971. Incredibile».
Perché?
«Era un uomo normale».
Lei è tifoso?
«Laziale. Dal ’70 al ’90 non ho perso una partita».
Il romanista è un nemico?
«No. Io odio il Milan e basta. A Roma-Milan tifo per la Roma. Tifare contro il Milan è un obbligo».
Visto che è un farfallone, quali conduttrici le piacciono di più?
«Quando le vedi di persona ti cascano le braccia».
La maggior delusione?
«La Gruber. In video appare prestigiosa. Di persona è insignificante».
Chi le piace a destra?
«Pigi Battista… .
Battista di destra?
«Di destra, di destra. Mastella…».
Mastella di destra?
«Di destra, di destra. Amato…».
Amato di destra?
«Di destra, di destra. E poi Perna, Follini, Fini. Ho qualche momento di simpatia per Fini, pazzesco no?».
Quando?
«Dopo il discorso di Gerusalemme».
Lei crede anche alla Befana?
«Si è messo lo zucchetto in testa e si è inginocchiato, i gesti contano».
Studia da premier.
«Non mi interessano le intenzioni, mi interessa che l’ha fatto».
Santoro, Luttazzi, Travaglio, Grillo, Fo, Massimo Fini, Sabina Guzzanti, Enzo Biagi. In Rai non li vogliono, fuori riempiono teatri e stadi.
«Guardi. Io non potrei parlare del presidente dell’azienda per cui lavoro. Però non me ne frega niente. Di Cattaneo non ho letto nulla quindi non posso esprimere giudizi giudicando lo stile, devo accontentarmi della fisiognomica, scendere a un livello lombrosiano».
Dica.
«Non mi sembra che abbia la faccia di uomo particolarmente illuminato».
Gioco della torre. Mimun o Mentana?
«Butto Mentana. Fa finta di essere democratico».
Vespa o Costanzo?
«Butto Costanzo. Mi sono stufato di sentirgli citare l’episodio della bomba».
Feltri o Belpietro?
«Salvo Feltri. Mi aumentò lo stipendio senza che glielo chiedessi».
Lerner o Floris?
«Lerner. È un furbacchione».
Ferrara o Polito?
«Polito. A che serve Polito?”
Mastella o Buttiglione?
«Butto Buttiglione. Si presenta sulla scena come filosofo e non è un filosofo. È comico».
Bossi o Fini?
«Bossi. Ricordo ancora quando disse: “Mai più i fascisti in Parlamento”. Mi ha ingannato. Non perdono quelli che mi ingannano».
Con Claudio Amendola abbiamo fatto un governo trasversale fascio-comunista. Chi imbarcherebbe della destra?
«Fini agli Esteri, Follini alle Comunicazioni. Tremaglia dove sta, Alemanno anche. La Russa al ministero delle Pari opportunità. Non fa altro che parlare di donne».
Primo ministro?
«Cofferati. Mi farebbe morire».
Un chiacchiericcio da letterato cicisbeo.
Franco Cordelli è buono e non ha figli, e questo lo rende un po’ solo un po’ cattivo, però ha tanti figlilibri a cui fa il bagnetto