- 2 Ottobre 2003
È stato un potente. Ma veramente potente. Gianni De Michelis ha fatto parte di quell’arroganza politica e di quella supponenza partitica che è stata spazzata via dal ciclone Mani Pulite. Al contrario di molti altri non si è nascosto in una tana. Ma non ha nemmeno sgomitato per restare a galla. Ha scelto il basso profilo e adesso lo ritroviamo più magro, meno ballerino, e senza capelli lunghi alla testa di un nuovo velleitario Psi che ha contribuito a fondare.
Eppure avevi detto: giuro che non farò più politica.
«Non ricordo».
Te lo ricordo io, era il 15 novembre 1993.
«Non sono stato l’unico: Giuliano Amato si è presentato in Parlamento e ha detto: “Basta, adesso smetto”».
Perché avevi fatto quel giuramento che non hai mantenuto?
«Erano i momenti peggiori della vicenda Tangentopoli. Non avevo le idee chiare su quello che era successo. Era un periodo intenso di vera confusione mentale».
Qualche pentimento?
«Aver spinto perché i postcomunisti entrassero nell’Internazionale socialista. Fui io a convincere Craxi. E fu Craxi a pronunciare il discorso sulla cui base l’Internazionale decise di ammettere il Pds».
Perché sei pentito?
«Perché questo avvenne nell’ambito di considerazioni fatte in due incontri riservati con Fassino, Occhetto, Craxi, Minniti ed io in cui si disse che bisognava mettere fine alla follia della ventata giustizialista. Un mese dopo Craxi ebbe l’avviso di garanzia. Adesso aprendo i giornali e vedendo il caso Telekom Serbia mi verrebbe da dire: chi la fa l’aspetti».
E lo dici?
«No. Anche in questo caso dico: non possiamo permettere alla magistratura di occupare il posto della politica».
Basterebbe smetterla di prendere mazzette.
«In tutti questi anni sono stato molto reticente a parlare di Mani Pulite. Avrei potuto fare come Cirino Pomicino, riempire libri per raccontare fatti, carenze, omissioni, strumentalizzazioni che modificano un po’ il quadro che ne fanno Travaglio, Gomez e Barbacetto».
Travaglio, Gomez e Barbacetto spiegano le sentenze dei giudici.
«Non mi colpisce quello che mettono nei loro libri. Mi colpisce le cose che non mettono. Verrebbe voglia di dire: adesso le aggiungo io».
Aggiungine una.
«Per esempio dimenticano la vicenda giudiziaria che riguardava una semplicissima persona di nome Mario Giovannini, che fu coinvolto in un guaio per miliardi. Ma era un dirigente comunista della Cgil e nessuno ne ha mai parlato».
La corruzione c’era o non c’era?
«Era in linea con il resto d’Europa. C’era come c’è in ogni società».
Non resta che la teoria del complotto?
«La spiegazione che andava di moda tra gli sconfitti era che fosse un’operazione fatta a tavolino. Spiegazione insufficiente. Bisogna invece darne una più oggettiva».
E tu la dai?
«Certo. Ma bisogna rileggere la storia della democrazia repubblicana dal ’45 in poi. L’Italia, da Yalta, uscì con uno statuto particolare, la divisione di fatto, anche se non geografica, come quella della Germania».
Un’Italia dell’Ovest e un’Italia dell’Est?
«Due partiti più uguali degli altri, uno destinato al governo, l’altro all’opposizione, destinati a cogovernare sulla base di regole non scritte, alcune sopra il tavolo e altre sotto il tavolo. Dentro il Pci erano Secchia e D’Onofrio a governare questa funzione speciale».
E dentro la Dc?
«Ho solo percezioni indirette. Ma prenderei in considerazione il ruolo di una persona come Paolo Emilio Taviani».
Un esempio di regola sotto il tavolo?
«Il finanziamento della politica: per 50 anni è avvenuto fuori dalle leggi. Dalla Cia arrivavano soldi alla Dc e dall’Urss quelli per il Pci».
Che cosa è cambiato nella tua vita negli ultimi dieci anni?
«Sono passato dal pregiudizio negativo al pregiudizio positivo. Passava uno in motoretta e gridava: “Ladro! Ladro!”. Oggi la gente mi ferma per strada e mi dice: “Perché non tornate?”».
Tu avevi aiutato il pregiudizio. Discoteche, donne, capelli lunghi.
«Non me ne pento. Avevo messo nel conto che questo mi sarebbe costato. Ho fatto il ministro dodici anni. Ho ricevuto un migliaio di lettere anonime. L’ottanta per cento erano sui miei capelli».
L’illustre forforato, scriveva Enzo Biagi.
«Drive in mi faceva con i pesci tra i capelli unti. Gli amici mi dicevano: ma perché non te li tagli? Era una specie di sfida. Poi però c’è stata la “character assassination”, la distruzione dell’immagine. Quei due anni in cui i mass-media hanno lavorato di fino per massacrarmi».
I socialisti però avevano esagerato.
«Certi comportamenti la gente li accettava perché voleva evitare che i Cosacchi arrivassero a San Pietro. Ma quando fu chiaro che i Cosacchi non c’erano più, noi avremmo dovuto adeguarci. Io pensai che in un paio di anni avremmo potuto correggere tante cose. Invece non ci fu il tempo perché tutto precipitò molto più rapidamente. L’ombra di Yalta si proiettò oltre Yalta e i postcomunisti ne approfittarono. Visto che non erano capaci di mandarci via col dissenso che i nostri comportamenti avrebbero dovuto o potuto creare, ci fecero fuori un po’ prima e con altri sistemi».
La metafora del «sotto il tavolo» per quanto riguarda il Psi è un po’ azzardata. Voi facevate tutto «sopra il tavolo», la Milano da bere, l’arroganza, il lusso.
«Facciamo il mio esempio: io mi differenziavo dagli altri. Andavo a ballare. Giravo con belle donne. Perché no? Ero single. Avevo un comportamento trasparente. Ritenevo più disdicevole l’ipocrisia. Io vivevo a Roma e conoscevo i comportamenti di quasi tutti i miei colleghi di qualsiasi partito, maggioranza e opposizione. Tutti ipocriti».
Tu vivevi in albergo, avevi un appartamento al Plaza, spendevi cifre incredibili in extra.
«Ma cosa vuol dire? Il Plaza mi costava sei milioni al mese. Un appartamento mi sarebbe costato altrettanto. A meno che non mi chiamassi D’Alema».
Che c’entra D’Alema?
«Mentre io stavo al Plaza D’Alema aveva un appartamento a equo canone dell’Ente di Previdenza del ministero del Tesoro».
Quando scoppiò Affittopoli D’Alema mollò l’appartamento.
«Ho una memoria di ferro. Ricordo benissimo alcuni articoli che dicevano che mollò quell’appartamento e se ne comprò uno da 800 milioni. E io ero quello che viveva nel lusso?».
Stiamo parlando di spese folli, di ministri che prendevano gli aerei di Stato per andare a mangiare le ostriche a Parigi.
«C’era qualcuno più arrogante degli altri ma tutto poi è stato molto forzato. Si potrebbero fare degli studi sociologici sul modo in cui sono state montate e usate certe cose, non solo sui socialisti».
Tipo?
«Tipo il povero De Lorenzo. Ne hanno fatto un mostro. Lui ci aveva messo del suo, qualche intervista improvvida, qualche battuta. E poi, a Napoli, aveva un po’ più finanziamenti illeciti. Essendo il ministro della Sanità, si prestava a una storia che colpisse la gente».
Speculare sulla salute non rende simpatici.
«È dimostrato che tutti i partiti di maggioranza e di opposizione stavano in quel meccanismo. Però solo il povero De Lorenzo c’è andato di mezzo».
I giudici di Venezia hanno scritto che tu usavi le mazzette per alimentare il tuo «principesco stile di vita».
«Onestamente non me la ricordo questa frase qui».
Credimi.
«Se l’hanno scritto hanno sbagliato. Non avevo affatto un principesco tenore di vita. Ero ministro degli Esteri, facevo più di mille chilometri al giorno, non avevo tempo per un principesco tenore di vita».
Allora tutto normale, tutto giusto.
«Errori ne ho fatti, ma sono quelli che poi paghi politicamente. Ho perso voti e ne ho anche guadagnati. È l’elettore che conta».
Non è vero. Col sistema elettorale che c’è adesso i parlamentari non vengono eletti dai cittadini, vengono nominati dai dirigenti dei partiti.
«Io mi sono sempre battuto contro il maggioritario. Oggi i postcomunisti possono eleggere non solo Di Pietro nel Mugello, ma anche Giorgianni a Fano. E Berlusconi può fare eleggere tranquillamente nel Nord Est uno del Sud e in Sicilia uno nel Nord. Lino Jannuzzi preso e portato in Lombardia, Gabriella Carlucci presa e portata a Trani».
Parliamo di voltagabbana.
«L’Italia moderna nasce nel 1494 con l’arrivo di Carlo VIII. “Francia o Spagna purché se magna”. Voltare gabbana è sempre stata considerata una caratteristica italiana».
Dini? Mastella? Scognamiglio? Pivetti?
«E Giorgio La Malfa, e Sergio D’Antoni. Anomalia del sistema, non pochezza dei singoli. Fallimento del bipolarismo».
Anche due socialisti di primo piano, Giuliano Amato e Claudio Martelli.
«Noi siamo stati vittime di un naufragio. Quando caschi in acqua cerchi solo di salvare la vita, non guardi dove vai».
Tu che non eri craxiano non hai tradito Craxi. Martelli e Amato erano craxiani.
«Craxi pensava che avrebbe dominato meglio i suoi uomini se avessero avuto certe caratteristiche psicologiche. Mi spiego?».
No.
«Come no? Quando tra me, Martelli e Amato, Bettino scelse come presidente del Consiglio Amato, io gli dissi: “Se avessi scelto me, avrei fatto finire Mani Pulite in due mesi”. Invece lui disse: “Ho scelto Giuliano Amato perché farà esattamente quello che dico io”. E infatti si è visto. Una volta scelto, Amato ha fatto come gli pareva».
E Martelli?
«Che cosa debbo pensare di uno che ha detto che avrebbe ridato l’onore ai socialisti?».
Che cosa ne pensi?
«Ne penso molto male. Ma non è un voltagabbana. In politica mors tua vita mea. Qualcuno lo aveva preso per il sedere raccontandogli che sarebbe diventato il Clinton italiano. E poi gli è arrivato l’avviso di garanzia ed è saltato. E Giuliano Amato? Ha dimenticato che era il vero braccio destro di Craxi e se ne è andato con i postcomunisti dopo quello che avevano fatto al Psi».
Amato non è venuto ai funerali di Craxi.
«Io glielo dissi: vieni, vieni, ti costerà, ma ti costerà meno di quanto ti costerà il rimorso per non averlo fatto».
Filippo Facci ha pubblicato sul Giornale una lettera in cui Amato scriveva a Craxi: «Ti auguro solo di avere dagli altri la lealtà assoluta che hai avuto e continuerai ad avere da me».
«Paradosso della storia: Craxi alla fine ha avuto effettivamente quella lealtà che gli augurava Giuliano. Parziale per non dire falsa».
Craxi aveva detto di te: generoso, intelligente, pasticcione.
«Craxi diceva peggio. Diceva: tu non capisci un cazzo di politica!».
Aveva ragione?
«Gli uomini si dividono in due grandi categorie, i laser e i dispersivi. Alla prima apparteneva Bettino: sceglieva un obbiettivo e si concentrava su quello senza curare i dettagli. In politica è un sistema efficacissimo. Alla seconda appartengo io. Sono un curioso, vado in tutte le direzioni e mi disperdo. Ma nel momento della disgrazia è più facile reggere essendo fatti come me che come era fatto Bettino. Infatti Bettino si è spezzato. Io no».
Le tue origini?
«Padre ingegnere, madre chimica. Si conobbero in fabbrica, a Porto Marghera. Eravamo tutti protestanti, mio nonno era pastore metodista. Io a 12 anni mi sentivo monarchico, solo Dio sa perché. Per due anni fui anche della Giovane Italia. Poi diventai radicale. Nel 1960, a 19 anni, mi iscrissi al Psi. La politica attiva la scoprii nell’Ugi, l’Unione goliardica italiana. La mia prima esperienza fu il congresso di Palermo. Io stetti dalla parte che sconfisse Craxi, da sinistra, ed eleggemmo Militello. Ma temevamo l’intervento di Paolo Ungari, che era repubblicano e un bravissimo oratore. Lino Jannuzzi, quando seppe che Ungari stava scrivendo l’intervento in albergo, gli mandò una prostituta in stanza, per distrarlo. Dopo un’ora, visto che non uscivano, andammo a vedere e trovammo la prostituta nuda che batteva con due dita sulla macchina da scrivere il discorso che Ungari, nudo pure lui, le stava dettando».
La Seconda Repubblica è meglio della Prima?
«La Seconda Repubblica è l’aspetto deteriore della prima. Di nuovo c’è molto poco: Bossi, la Lega, Berlusconi».
E Forza Italia?
«Forza Italia nasce vecchia, è un coacervo di residui della Prima Repubblica».
Come fa un partito di socialisti, come il tuo, a stare a destra?
«È difficile pensare a un partito di socialisti senza prima sconfiggere chi li ha annientati. A questo punto è inevitabile allearsi con Berlusconi».
Questo governo ti piace?
«Non mantiene gli impegni e fa molti errori. E noi lo diciamo. Ma non passiamo dall’altra parte anche se ne avremmo motivo».
Mani Pulite ti ha cambiato anche fisicamente. Capelli tagliati, fisico quasi asciutto.
«Mi ha aiutato anche qualche malattia. Un po’ di diabete, un po’ di pressione alta, e anche una serie di colpetti che mi hanno fatto prendere un notevole spaghetto. Mi sono messo a dieta e ho rimesso a posto gli indici della glicemia. Aiutato dal fatto che nel frattempo mi ero innamorato e sposato».
Poi ti sei separato. Sei ritornato alla vita dissoluta?
«Gli anni passano per tutti».
Parliamo dell’adulazione. Craxi veniva accusato di avere una corte di adulatori.
«Ne aveva moltissimi. Gli adulatori si accompagnano sempre al potere».
Chi sono gli adulatori oggi?
«Mi viene in mente il solito Fede. Ma è un adulatore umanamente sincero e onesto. Come Bondi. Il più adulatore di tutti secondo me è Maurizio Costanzo. È un adulatore professionista».
Gioco della torre. Cofferati o Bertinotti?
«Io voglio molto bene a Sergio Cofferati. È il sindacalista italiano con cui mi sentivo più consonante, da ministro».
Adesso?
«È contraddittorio con se stesso, non è stato coerente con quello che pensava e che credo pensi ancora».
Flores o Moretti?
«Butto Flores, lo conosco troppo bene, lo ricordo trotzkista, socialista, martelliano, adulatore di Craxi, negatore di Craxi».
Mastella o Buttiglione?
«Butto Buttiglione: ha l’insopportabile pretesa di apparire filosofo quando è al massimo professore di filosofia. E la cosa vale anche per Cacciari».
Ricordo che Cacciari però tu lo volevi nel Psi e lui rispose: “No grazie, sono già ricco di famiglia”.
«È una leggenda metropolitana. Io non gli ho mai proposto di entrare nel Psi e lui non mi ha mai dato quella risposta. Però gli è sembrato divertente raccontare questo aneddoto al tempo della “character assasination”»
Giornale o Libero?
«Butto il Giornale, anche se spesso dissento da Vittorio Feltri che è una sorta di “hooligan giornalistico”. Ma lui si prende sempre le responsabilità delle tesi che sostiene. Non è stato mai a padrone. Il Giornale, ahimé, è un house organ».
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