- 15 Febbraio 2002
È stato per un paio di anni l’uomo più popolare d’Italia. Se ci fossero state elezioni presidenziali a suffragio diretto, avrebbe vinto alla grande. Sui muri di tutta Italia comparivano le scritte: «Forza Di Pietro» e il popolo dei fax inondava le redazioni con messaggi di sostegno. I giornali facevano il tifo per lui. I salotti se lo contendevano. Le televisioni mandavano in diretta i suoi processi e lui diciamolo gigioneggiava. Per la stragrande maggioranza degli italiani era diventato il simbolo di onestà e di moralizzazione. Gli perdonavano anche un italiano imperfetto, una difficoltà ad andare d’accordo con i congiuntivi e modi di dire poco raffinati come «Che ci azzecca» che diventavano in breve un tormentone simpatico e alla moda. Sono bastati pochi anni, meno di dieci, per far scendere Antonio Di Pietro dal piedistallo. Gli adulatori sono scomparsi, le scritte sui muri anche. E alle ultime elezioni non ha nemmeno ottenuto il quorum. È una storia emblematica per capire come funzionano i meccanismi volubili dell’adulazione?
Di Pietro, che cos’è la piaggeria?
«La piaggeria è scondizolare? scondinzolare? come si dice?».
Scodinzolare.
«Scodinzolare. Diciamolo bene, altrimenti arrivano quelli di Striscia la notizia
No per carità. Scodinzolare intorno a un personaggio. Cercare notorietà riflessa».
Erano molti a scodinzolare attorno a te?
«Molti mi hanno osannato e molti mi hanno affossato. A volte le stesse persone. Scodinzolare fa comodo, fa audience, procura consensi».
Chi scodinzolava?
«Bisogna distinguere tra piaggeria di carattere e piaggeria politica. Quelli di An e della Lega, Fini e Bossi in testa, dicevano che Di Pietro tirava fuori tutto il marcio che c’era. Oggi mi attaccano. Erano furbate. Opportunismo. La piaggeria da opportunismo è peggio della piaggeria di carattere. La piaggeria di carattere attiene alla debolezza, alla fragilità di una persona. Quella di opportunismo a un utile di ritorno».
Per esempio?
«Silvio Berlusconi prima maniera! Quello che mi voleva come ministro dell’Interno. Mica era piaggeria, era una furbata. Gli serviva l’icona».
Avevi un consenso incredibile, quasi pericoloso. E te lo sei giocato.
«È documentalmente provato da sentenze che Berlusconi è stato parte attiva nel tentare di ridurre drasticamente questo consenso. Le sue false accuse mi hanno massacrato. Io sono risultato del tutto innocente. Ma intanto i suoi mezzi di informazioni hanno fatto di tutto per delegittimarmi».
Eri un eroe nazionale. E adesso, a pochi anni di distanza, non hai ottenuto nemmeno il quorum. La gente non ti ha capito?
«L’opinione pubblica non mi ha abbandonato, è rimasta esterrefatta, zittita, depressa, angosciata. È già un miracolo se ne sono uscito con una certa credibilità. Mentre io prendevo le martellate, altri facevano carriera e dicevano cose false, che sono rimaste impresse».
Per esempio.
«Per esempio che abbiamo protetto i comunisti. Ci sono decine di sentenze che dimostrano che non è vero. Oppure che abbiamo fatto cadere il governo. E c’è una sentenza che dice testualmente: "Non corrisponde al vero"».
Perché hai perso le elezioni?
«La trovata di Berlusconi è stata l’anticomunismo. Contro il comunismo si vota Berlusconi. Gli altri hanno reagito nella logica del bipolarismo. Contro Berlusconi si vota Rutelli. Ma se al posto di Rutelli ci stava Di Pietro prendeva solo il 4%?».
Non lo so. Dillo tu.
«Sicuramente prendevo un milione e mezzo di voti in più di Rutelli. Io ho corso da solo e ho ottenuto più dei Comunisti italiani, più del Girasole, più del Ccd-Cdu, più della Lega e praticamente come Rifondazione. Se avessero messo me nelle condizioni di battermi contro Berlusconi l’Ulivo non avrebbe perso».
Filippo Facci, in un articolo sul Giornale, ha elencato tutti quelli che ti hanno abbandonato dopo aver seguito il tuo piffero magico.
« Facci ha scritto un articolaccio. Un’offesa becera e gratuita ».
Ha fatto l’elenco di chi non subisce più il fascino del tuo carisma: da Pietro Mennea a Federico Orlando, da Elio Veltri a Claudio Demattè, a Corrado Passera, Giovanni Bazoli, Milly Moratti, Paolo Flores d?Arcais?
«Con Paolo Flores e con Veltri sto organizzando un convegno sulla legalità per il 23 febbraio a Milano. Il fatto che Mennea sia passato a Forza Italia dopo essere stato eletto con i voti di Italia dei Valori, non gli fa onore. Passera, Demattè e Bazoli che conosco appena, che vuol dire che sono stati con me? Si oppongono a Berlusconi. Se per questo motivo stanno con me sono onorato».
Federico Orlando?
«Mi ha lasciato due anni fa, quando eravamo ancora nei Democratici. Non ha lasciato solo me. È proprio sparito».
Il caso un po’ clamoroso è questo Fabio Carrara. Ti ha lasciato il giorno dopo essere stato eletto.
«Sapete cosa significa raccogliere le firme, trovare i candidati, mettere in piedi una campagna elettorale e presentarsi alle elezioni in pochi giorni? Ci vogliono 900 candidati alle politiche, 7.200 candidati alle amministrative. Come questo Carrara che avevamo conosciuto negli ultimi giorni, padre di uno dei nostri iscritti. Ho fatto io personalmente la campagna per questo signore nella Val Brembana. Ho preso io i suoi voti. E alla fine, arrivederci e grazie».
Ma perché?
«Perché s’è venduto l’anima. Molti erano venuti con me per prendere, non per combattere. Di Pietro dava spazio e visibilità. La piaggeria è professare grande vicinanza quando c’è un utile e abbandonarti nel momento in cui c’è da zappa’ la terra. Come Luisa Girardelli a Milano. Adesso fa l’indipendente ma io ricordo quando è venuta a pietire un posto perché nessuno la candidava. Il caso più eclatante è quello di Mario Occhipinti. Era uno sconosciuto per tutti. Era stato eletto per caso. A noi spettava un sottosegretario alla Sanità e scelsi lui, che era medico. Mi chiamò. "Antonio, Antonio, sei stato tu a farmi sottosegretario? Ti sarò riconoscente per tutta la vita". Pochi mesi e se ne era già andato».
C’è un luogo della piaggeria?
«Il sottobosco politico. Guarda la platea di persone che gira attorno a Berlusconi. Ma anche i giornali. Quando ero Pm ho incontrato molti giornalisti che risultavano prendere soldi da sistemi imprenditoriali. Un meretricio drammatico».
Ce ne erano anche molti che ti adulavano.
«E che adesso mi attaccano».
Tipo?
«Vittorio Feltri sull’Indipendente, adulatore. E poi Feltri sul Giornale! Un altro uomo».
Chi è il grande ruffiano d’Italia? Il campione italiano di piaggeria? Il lecchino d’oro?
«In mente ne ho tanti ma non voglio assolutamente fare nomi. Ci sono ruffiani fra i giudici, fra i giornalisti, fra gli avvocati, fra i parlamentari».
E tu? Hai mai adulato?
«Se avessi usato un po’ di piaggeria invece che stare da solo? E anche adesso, se andassi a slinguazzare il leader di turno ben sapendo che fra un po’ la Margherita esploderà?».
Sei mai stato tentato?
«L’unica cosa che m’hanno proposto è di fare il ministro dell’Interno con Berlusconi e ho detto di no».
Ne avevi voglia?
«Di fare il ministro dell’Interno sì, di farlo con Berlusconi no».
Però ci sei andato a parlare.
«Quando il presidente del consiglio incaricato ti chiama dall’ufficio del Presidente della Repubblica, dovere istituzionale vuole che tu vada a dirgli che non accetti. È durato 7 minuti il nostro incontro».
Nell’ufficio di Previti.
«Al telefono mi aveva detto: "Vediamoci in via Cicerone 40"».
Un trabocchetto.
«Una "berlusconata". A quel punto ho detto ai giornalisti: "Sono venuto qua a dire che non accetto"».
L’hai detto prima ai giornalisti che a Berlusconi?
«Prima di tutti l’avevo detto a Davigo e a Borrelli».
E loro che cosa avevano detto?
«La pensavano come me. Anche Davigo aveva avuto un’offerta simile da parte di An e l’aveva rifiutata».
Se tu avessi accettato che cosa sarebbe successo?
«Forse sarebbe cambiata la storia d’Italia».
Addirittura?
«I problemi di Berlusconi sono cominciati con l’inchiesta sulla Finanza. Un processo che ho attivato io, intercettando casualmente un fascicolo che non c’azzeccava niente con l’inchiesta Mani Pulite. Se avessi accettato di fare il ministro quel giorno sarei stato da tutt’altra parte, non avrei intercettato il fascicolo e le inchieste sulla Finanza che portavano a Berlusconi non sarebbero nemmen cominciate».
I tuoi critici non te ne perdonano una. A scuola eri mediocre.
«Ma chi l’ha detto? Sono sempre stato promosso e mi sono laureato a pieni voti. Lavoravo e studiavo. Facevo il garagista di notte e arrivavo la mattina a scuola con due occhini così».
Parli un italiano scorretto?
«Il solito ritornello. Io penso che sia più importanti farsi capire che saper parlare. Non mi sento inferiore a nessuno».
Hai fatto tantissimi lavori?
«Sono andato nel 1970 in Germania. Emigrante. Lavoravo in una fabbrica di posate».
Hai imparato il tedesco?
«Quel tanto per andare a mangiare e a "sciare".
Sciare?
«Insomma dai. Cerca di capire. Poi mi sono messo a fare i concorsi. Ne vinsi uno al ministero della Difesa. Si lavorava poco, avevo tempo per l’università. Mi sono iscritto a giurisprudenza a 25 anni. Mi ero anche sposato».
Hai preso la laurea in tre anni?
«Sono stato messo sotto inchiesta per questo. Solo un agente dei servizi poteva laurearsi in tre anni lavorando, insinuavano».
Ma chi l’aveva detto che eri dei servizi?
«Quelli della Lega, Boso, e anche alcuni giornalisti».
Eri dei servizi?
«Assolutamente no. Ma Boso era vice presidente della commissione per i servizi segreti o dell’antimafia, non ricordo. Per cui era credibile. Al processo gli ho chiesto: "Scusi ma lei perché ha detto una cosa simile?"».
E lui?
«Lui ha risposto: "Stavo a Piazza di Spagna. Un signore grande così, con gli occhiali neri mi ha sussurrato: Di Pietro è dei Servizi"».
Hanno detto anche che hai lavorato per Dalla Chiesa.
«Ho fatto il commissario di polizia nel quarto distretto di polizia di Milano e mi sono occupato di criminalità organizzata e di riscontri su attività terroristiche. Non con Dalla Chiesa».
Quali altre accuse ti hanno ferito?
«Quella di aver riconsegnato i soldi che mi aveva prestato Rocca avvolti in un foglio di giornale. Erano sei assegni circolari. Ma ormai, nell’immaginario collettivo…».
Nell’immaginario collettivo hai fatto un sacco di errori?
«E chi non ne fa, ma ho anche sempre fatto il mio dovere e non ho fatto sconti a nessuno, amici e avversari che fossero. Certo poi sono andato anche a sciare?».
Ancora con questa storia dello sciare?
«Mi sono laureato in tre anni perché dopo i 30 anni non avrei potuto più fare i concorsi. Studiavo di nascosto perfino da mia moglie. Mi vergognavo. "E se poi non ce la faccio?". Mia moglie lo scoprì una notte. Mi sorprese sul water che studiavo».
E dopo la laurea?
«Concorsi, concorsi, concorsi. Per giudice, segretario comunale, commissario di polizia, avvocato, notaio. Feci il segretario comunale e poi il commissario di polizia. Vinsi anche il concorso da avvocato e da giudice e andai a fare il magistrato a Bergamo. Poi a Milano. Come vivevo io normalmente? Non in un monastero, non ero un Torquemada con la tonaca che faceva il Savonarola. Ero un guascone che si trovava con gli amici per andare a caccia o per andare a sciare».
Ma quante sciate!
«Avevamo fatto una bella compagnia di caccia. E qui avevo trovato questo Rocca che quando ho avuto bisogno mi prestò i soldiper costruirmi una casa. Incontrai Rea, capo della Mobile, che mi fece conoscere Pillitteri, D’Adamo? normali rapporti di amicizia».
Eri sempre a cena da D’Adamo.
«Quattro volte. Quattro cene da D’Adamo in tre anni. A un certo punto scatta Mani Pulite e nell’inchiesta ci capitano pure queste persone che conosco. Ha detto bene Piercamillo Davigo: "Di Pietro ha avuto la forza di farla lo stesso l’indagine, anche se erano persone che conosceva"».
E il telefonino che ti aveva prestato D’Adamo?
«Qual è il problema? Grave sarebbe se io prendessi un telefono dell’ufficio e ci facessi i cavoli miei. Ma se prendo un telefono di qualcuno e lo uso per motivi d’ufficio dovrebbero complimentarsi con me. No?».
Ma D’Adamo era un indagato?
«Ma quando! Ma dove! Non ce l’avevo più il suo telefono quando l’ho indagato!
I miei fatti riguardano l’89. D’Adamo entra nell’indagine nel ’92. Due momenti distinti. La verità è che D’Adamo è andato a Brescia a raccontare queste cose perché glielo aveva chiesto Berlusconi. Ciò risulta nella sentenza».
La piaggeria è più della destra o della sinistra?
«Direi che sta al centro. Nel senso che dal centro ammicca a destra e a sinistra. Come il più vecchio mestiere del mondo».
Come si è finanziata l’Italia dei Valori?
«Con una fideiussione di un miliardo da parte di molti dei suoi sostenitori».
E come avete restituito i soldi?
«Con quello che ho ricavato dalle querele e con i fondi ricevuti dal contributo elettorale pubblico».
Quanto ti ha reso il recupero della tua onorabilità?
«Il Giornale mi ha dato 420 milioni, e con quelli ho finanziato il mio partito».
Quante cause hai vinto?
«Circa 150».
Siamo sui due-tre miliardi.
«E l’Italia dei valori può andare avanti. Però ancora non li ho presi.».
Se fossi sceso in campo subito, senza aspettare le assoluzioni, che cosa sarebbe successo?
«Se avessi gridato: "Cittadini reagite perché qui mi stanno fermando" scoppiava una guerra civile. In quel momento avrei potuto aizzare la piazza contro chi mi attaccava».
Forse la guerra civile è uno scenario esagerato.
«Per fare politica dovevo affidarmi a un partito? Dovevo permettere che una parte politica mi usasse come specchietto per le allodole, come madonnina da portare in giro? Me lo hanno chiesto tutti, centro, destra, sinistra. Io mi chiedevo: con chi vado? A fare che cosa?».
Il fatto che ti volessero tutti non ti ha fatto meditare?
«Per questo ho preferito non cedere a nessuno. Oggi a me pare che ci sia un partito delle regole e un partito delle non regole».
Vogliamo identificare il partito delle non regole?
«È trasversale, non è solo il centro destra».
E il partito delle regole?
«È trasversale pure lui. Ma non me la sento di fare nomi».
Se tu fondi il partito delle regole chi chiami con te?
«Sartori, Barbera, Tremaglia, Diliberto, Elia, Dalla Chiesa e tanti altri. Anche Borrelli se non fosse magistrato».
Tu sei di destra o di sinistra?
«Non voglio essere etichettato».
Non sei nulla?
«Tutt’altro. Sono geneticamente alternativo a Berlusconi».
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