- 18 Agosto 2005
È tutta la vita che vive all’ombra di Vittorio Feltri, il direttore di Libero. Eppure Renato Farina è un bravo giornalista, è un prezzemolino in televisione, è famosissimo in ambienti cattolici, amico di persone importanti come Giulio Andreotti dopo esserlo stato di Craxi e di don Giussani. Aveva una certa consuetudine perfino con papa Wojtyla e usa passare la sera di Natale con Silvio Berlusconi. Ma non ha mai fatto il grande salto.
Renato, che cosa è che ti frena? Forse la tua carriera sarebbe stata più brillante se fossi stato più coraggioso.
«Più coraggioso che cosa vuol dire?».
Vuol dire liberarsi una buona volta di Feltri.
«Le scelte importanti della mia vita sono sempre state affettive. D’altra parte non mi vuole nessuno. Fingono tutti di volermi. Verresti? Faresti? Ma non si concretizza mai nulla».
Ma tu lasceresti Feltri di fronte ad una proposta allettante?
«Chiederei consiglio a Feltri».
Lasceresti Feltri se ti offrissero di andare a dirigere il Giornale?
«Se Feltri mi dicesse di sì…».
Edipo puro. Litighi mai con Feltri?
«Qualche volta, ma il giorno dopo siamo più amici di prima. Generalmente litighiamo su Dio. Lui sostiene che Dio non c’è. E se c’è, è cattivo».
Insomma, è ateo.
«Una volta per offendermi mi disse delle cose così atroci che io non ce la feci più: “Guarda Vittorio: ti assicuro che Dio c’è. E tu gli stai pure sui coglioni. Lo so per certo”. Abbiamo litigato ferocemente anche sull’immortalità dell’anima. Lui sostiene che la Bibbia non ne parli. Adesso litighiamo sugli embrioni. Ma ho imparato a sopportarlo. E anche lui sopporta me».
Litigate anche su Berlusconi?
«Su Berlusconi ci dividiamo i compiti. Feltri a volte va giù pesante».
Tu invece?
«Il giorno dopo corro a ricucire quello che Feltri ha strappato. Feltri dice che soffro di “inchinite” nei confronti di Berlusconi».
Hai scritto due pezzi storici su Berlusconi, quello della notte di Natale e quello della visita nella villa in Sardegna.
«Quando Berlusconi lesse quello di Natale quasi si suicidava».
E smentì l’intervista.
«Smentì il virgolettato».
Mica poco.
«Disse: non è farina del mio sacco. È farina del sacco di Farina. Fu una formula concordata con Feltri. Perché lui sa bene che mi aveva detto tutte quelle cose».
Smentito come un comunista qualsiasi.
«Gianni Letta mi ha detto che Berlusconi era contento. Ma fu costretto a smentire da Letta stesso e da Bonaiuti che erano veramente furibondi».
Racconta quella notte di Natale, tu e Silvio da soli, ad Arcore.
«Premetto una cosa: io voglio bene a Berlusconi. C’è un rapporto di amicizia. C’è una certa confidenza. Quel Natale di due anni fa lui era appena tornato da Roma e mi aveva chiamato verso le otto di sera per dirmi se volevo passare a trovarlo».
La notte di Natale il primo ministro telefona a te…
«Tutti i Natali ci vediamo per farci gli auguri. E io gli porto un microregalo. Quella volta gli portai un salame della Brianza lungo un metro. E lui mi regalò un Cartier».
Ci hai guadagnato.
«Lui mi disse: “Domani i giornali non escono, vero? Allora posso raccontarle”. E mi raccontò di un’emergenza terrorismo in Vaticano».
E tu l’hai scritto.
«Due giorni dopo. Pensavo veramente che lui lo volesse».
Risultato?
«Un pandemonio. Berlusconi telefonò a Feltri piangendo. “Renato mi ha tradito!”».
Fine dell’amicizia.
«No. Solo sospensione dei rapporti personali per sei mesi».
E la visita in Sardegna?
«Berlusconi mi aveva telefonato per farmi gli auguri a Ferragosto».
Non fate altro che scambiarvi auguri.
«Lui mi disse: “Andiamo qualche giorno in Sardegna”».
Ti sgridò perché non avevi portato calze da jogging.
«E anche perché mi ero profumato. Probabilmente era anche un profumo da donna. Berlusconi è veramente eccezionale. La sua forza è che ti fa sentire pari a lui. Non è né arrogante né finto umile».
Alla fine hai raccontato il tuo week end con il Cavaliere e Travaglio ha scritto due pezzi accusandoti di piaggeria.
«Quando l’ho letto ho provato gioia. Mi tranquillizzava per i miei rapporti con Berlusconi che diceva che non l’avevo trattato bene».
Ti hanno definito giornalista embedded.
«Gian Antonio Stella e Gad Lerner mi hanno detto che quei due pezzi erano perfetti, non c’era nessuna “inchinite”. E Berlusconi è più favorevole alla versione di Stella e di Gad Lerner, se la cosa ti può consolare».
Mi consola. Ma sei embedded o non sei embedded?
«Io non sparo dove vuole Berlusconi».
Racconta la tua vita.
«Sono nato a Desio».
Il paese di Gianni Locatelli, ex presidente della Rai.
«Sulle cui ginocchia sono cresciuto. Gianni era ritenuto il genio assoluto di Desio. C’è anche una leggenda: lui come genio del paese era stato scelto per partecipare a Campanile Sera una trasmissione in cui si scontravano vari paesi d’Italia. Ci portò alla sconfitta. Quando gli chiesero chi aveva detto “Non di solo pane vive l’uomo” lui rispose Dante invece che Gesù. Dopodiché non si fece vedere a Desio per giorni».
La tua formazione?
«Andavo all’oratorio dove si era anticomunisti anche senza bisogno di dirselo. Ricordo che cantavamo le versioni strampalate di Bandiera Rossa. Tipo “Bandiera rossa la trionferà nei cessi pubblici della città”».
La tua giornata?
«Mi alzavo alle cinque per studiare. Il pomeriggio salto in lungo e basket. Poi scrivevo canzoni d’amore».
Sempre anticomunista?
«Avevo un grandissimo amico, Gianfranco, molto colto, grandi ideali, di sinistra, Avanguardia Operaia. Io, per simpatia, aprii gli occhi sul Vietnam, sulle lotte operaie, sui comunisti. Un trauma. Anni di lacerazione. Di qua la certezza cristiana che non si deve usare mai la violenza, di là l’insegnamento di leader meravigliosi, Che Guevara, Camilo Torres, Fidel Castro. Imparai le poesie di Ho Chi Minh. Credo di essere l’unico in Italia a saperle a memoria».
Farina di sinistra. Chi l’avrebbe mai detto.
«Un giorno uno dei nostri tirò fuori delle spranghe di gomma. Disse: “Sono le migliori perché non lasciano segni”. Capii che tutto si reggeva sulla menzogna. Il mio amico di sinistra, Gianfranco, era entrato in Comunione e Liberazione. Andai con lui. Poi lui diventò il capo del Pci di Desio. Io rimasi in Cl, era diventata la mia vita».
Per chi votavi?
«Sempre Dc. Adesso Fi. Anche se…».
Anche se?
«Hanno un atteggiamento detestabile. Sono così incapaci di cogliere la realtà che viene voglia di votare a sinistra».
Da destra è un fuggi fuggi. Guarda Pomicino.
«Pomicino ha un suo disegno politico. Ricostruire la Democrazia Cristiana. Voltagabbana è Oliviero Diliberto, uno che non riesco a credere che creda in quello in cui dice di credere».
È uno scioglilingua?
«C’è un abisso tra le sue affermazioni, di sinistra, e la comunicazione del corpo, non di sinistra. Non come Bertinotti».
Anche la comunicazione del corpo di Bertinotti?
«Bertinotti mi ricorda piuttosto quei grandi rivoluzionari russi che sapevano bene di dover accettare un modus vivendi borghese, pur di portare il proletariato alla vittoria».
A destra chi non ti piace?
«Non voglio farmi dei nemici».
Opportunista.
«Ti dico chi mi piace: Sandro Bondi».
Facile.
«È uno che crede profondamente in quello che fa».
Fa adulazione.
«Bondi vuole affermare ciò in cui crede. E le prende, sai? Anche nel partito subisce attacchi sotterranei violentissimi. Non si deve criticare Bondi per i suoi atteggiamenti. Bondi è Bondi. Certo, ha questi modi a volte femminili, tipici del suo carattere, e che sono profondamente sinceri».
Stesso discorso anche per Baget Bozzo?
«Baget Bozzo vuole molto bene a Berlusconi. È convinto che senza Berlusconi il cristianesimo sarebbe ridotto male. Però sembra sostenere che non ci sia bisogno di convertirsi per essere cristiani, basta aderire a Forza Italia. Per Baget Bozzo ho un affetto e una devozione straordinaria. Ma questo tipo di comunicazione è deleterio».
Il congresso di Forza Italia era una festa non un momento di confronto politico.
«In Forza Italia non c’è né crescita né dialettica. Forza Italia non è un partito. È inesistente sul territorio e i ras locali sbattono fuori chi non è della loro idea».
Tu hai cominciato al Sabato…
«Ho cominciato in un giornaletto, Solidarietà, che dava voce alla gente di Seveso ai tempi della diossina. Da lì nacque il Sabato».
Chi lo finanziava?
«Berlusconi nei primi anni. Me lo ha ricordato anche in Sardegna. In origine voleva fare un grande settimanale con titolo Il Paese. Ma Montanelli ed altri del Giornale dissero che era un’impresa fasulla. Allora Berlusconi consentì che partissimo noi, anche se con pochissime risorse. Fu un’esperienza straordinaria che durò 15 anni».
Qual è la critica che ti dispiace di più?
«Detesto Belpietro e Gigi Moncalvo quando dicono che ho le mani sudate e unte. Che ne sanno loro? Gli ho mai dato la manina? Si confondono con i loro capi».
Non ti è simpatico Moncalvo.
«Ha scritto che sembro un abate sudaticcio. Ma poi mi spiegò che glielo impose Bossi perché avevo preso in giro il nome dei suoi figli. Quindi lo perdono».
Belpietro ti fece lo scherzo della finta foto della Pivetti nuda. Tu eri disposto a pagare purché non la pubblicassero?
«Avevo capito benissimo che si trattava di un fotomontaggio. Ma mi sarebbe dispiaciuto lo stesso se l’avessero pubblicato».
Tu sei stato anche il portavoce della Pivetti. Non erano ruoli incompatibili?
«Anche Feltri lo pensava. Ma poi mi diede il permesso, su insistenze della Pivetti».
Io voglio la tua opinione.
«Io non ho mai fatto finta di essere un giornalista asettico. Io mi identificavo con la Pivetti. Ma è durata solo tre mesi. Ci furono colleghi che cercarono di abbattermi».
E ci riuscirono. Scrissero che avevi detto che il tuo ruolo era quello di evitare la carolinizzazione della Pivetti. Nel senso di Carolina di Monaco.
«L’avevo detto in privato a Bechis. Lui la disse a Minzolini e Minzolini la pubblicò fra virgolette. Prima o poi mi vendico. Chissà che paura avranno».
Quando ha visto la Pivetti borchiata in tv che effetto ti ha fatto? Altro che carolinizzazione.
«Quando l’ho vista con le borchie non l’ho capita ma ne ho riconosciuta l’irrequietezza. Comunque non considerarmi un pivettologo».
Non sei un pivettologo però ti occupi di nuovo della Pivetti.
«Le darò una mano per il suo programma politico in prima serata su Rete4. Mi dicono tutti che sono matto. È il mio destino. Ruoto sempre fra tre datori di lavoro: Feltri, Gad Lerner e la Pivetti».
E la storia che saresti il nuovo Gadda.
«Lo ha detto Testori. Sosteneva che avevo potenzialità di scrittore per essere il nuovo Gadda. Sbagliava».
Io ricordo il De bello ballico, un libretto di satira.
«Poi un libro con don Giussani, Un caffé in compagnia (ci tengo tanto, su quello non toccarmi), e uno con Andreotti, Non mi hanno fatto male. Io scrivo moltissimo. Feltri dice che sono bulimico. Sono un cottimista brianzolo. L’unica mia pregiudiziale ideologia è la disoccupazione».
Giorgio Bocca ti ha definito il maiale ciellino.
«Non ricordo».
Il Secolo d’Italia ti ha definito paffuto e grassottello.
«Non ricordo proprio».
Quanto pesi?
«Centodieci chili».
Uno dei più grossi giornalisti italiani. Scusa la battuta.
«Ingrasso subito in modo visibile. Comunque Ferrara…».
In compenso Papa Wojtyla ti ha apostrofato con un «malinconico amico mio»…
«Non ricordo nemmeno questo. Una volta mi disse, stringendomi il polso: “Amico mio, abbiamo lo stesso compito”».
Accidenti.
«Voleva dire: portare Cristo nel mondo».
Ripeto: accidenti…
«Sono stato trenta volte sul suo aereo con lui. Qualche volta mi ha anche chiamato nella sua cabina».
Che cosa ti diceva?
«Ricordo lo sguardo di intesa profonda. Mi guardava dritto negli occhi. Anche con commozione».
Eri veramente suo amico?
«C’è stata una profonda commistione. Il resto sarebbe superbia. So che lui apprezzava i miei articoli. A me hanno detto addirittura che una volta si è commosso per i miei resoconti di viaggio».
Gioco della torre. Travaglio o Facci?
«Butto Facci».
Butti Facci?
«Assolutamente. Travaglio è cattivo, falsario, ma intelligente. Facci? Facci…».
Facci? Dai che ce la fai…
«Facci odia il popolo bue. Lo butto, così finalmente saprò perché parla male di me».
Sei invidioso perché lui è alto e bello e tu sei ciccione?
«Può essere, non lo escludo, lo dico sinceramente. Però non è così alto Facci. È più basso di me».
Ha scritto che sei il giornalista più zuccheroso del mondo.
«Ma se non faccio altro che beccare querele! Sai che cosa non sopporto in questi nuovi maestri del pensiero? Che non muovono mai il culo dalla sedia».
Tremaglia o Fisichella?
«Butto Fisichella. Ha sempre quell’aria da professore. Qualsiasi cosa dica sembra che l’abbia detta Zeus».
Costanzo o Vespa?
«Se salvi uno… l’altro…».
Non ti invita più?
«Non è questo, mi dispiace…».
Sei proprio un opportunista. Baget Bozzo una volta mi disse: «Porta a porta è la cosa più utile che ci sia per Forza Italia».
«Non ha torto perché Vespa riesce a rendere razionali e commerciabili le idee altrimenti impolitiche di Forza Italia. Le infiocchetta in modo tale che si possono mettere in vetrina».
Vespa è il vetrinista di Berlusconi…
«E Berlusconi la sua pin-up».
Basta, ti vedo distrutto.
«Mi sono rovinato la carriera».
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