- 28 Novembre 2002
Vittorio Emanuele di Savoia torna in Italia e puntuale nelle librerie arriva il libro. ”Lampi di vita”, si chiama. ”Storia di un principe in esilio”. Però non l’ha scritto lui. Lui ha solo parlato. Alessandro Feroldi ha preso appunti, ha registrato e ha trascritto. Giornalista della Rai, proveniente da una famiglia bene della Milano colta, imparentato, da parte di moglie, con i Bulgari, Feroldi si è immerso nella vita del principe e ne è uscito con 238 pagine di ricordi, e una cinquantina di fotografie inedite.
Alessandro, sei monarchico?
“No”.
Sei almeno aristocratico?
“Sono di famiglia aristocratica, una delle più vecchie esistenti, 1500 anni di storia. Ma a casa mia c’erano più libri che altro. Quindi cultura e tolleranza. A Torino i miei amici erano tutti di Lotta Continua”.
Hai fatto il ’68?
“Con un certo distacco”.
Così, guardando?
“Quando ci fu l’assalto dei fascisti, all’università di Parma, avevamo una paura folle. Quelli erano pieni di manganelli. Noi buttavamo olio dalle finestre per farli scivolare. Sembravamo nel Medio Evo”.
Come hai conosciuto il principe?
“Ai Caraibi, Turks and Caicos, a casa di Fancesco Caltagirone e Rita Rovelli. Una vacanza. Io sono curioso e facevo domande. Vittorio Emanuele ha una grande memoria e raccontava. “Sì, mi ricordo che con il triciclo sono andato a sbattere contro Mussolini”…”Mia madre tutti i giorni faceva a piedi il S.Bernardo e portava le armi ai partigiani”.”
I rapporti con lui com’erano?
“Diceva che sono molto educato, all’antica. In effetti sono stato educato come il mio bisnonno, fraulein tedesche, baciamano, salutare con i tacchi stretti, alzarsi quando entra una signora. Ho avuto un nonno piemontese, avvocato, due guerre, campo di concentramento, grande musicista, uomo buonissimo. Quando è morto ha avuto gli onori militari. Un altro mio prozio giudice è tornato con una zattera dalla Grecia salvando i suoi soldati: per passare il tempo recitava l’Iliade in greco”.
Vittorio ha pessima fama. Attaccabrighe, arrogante, maleducato….
“E’ un leone in gabbia. Una persona che da 50 anni non può tornare in Italia. Ma è molto simpatico”.
Ci sono scoop nel libro?
“C’è il racconto degli israeliani che volevano rapire l’ayatollah Khomeini, per risolvere la crisi dei 66 americani sequestrati nell’ambasciata di Teheran. Carter non volle perché –disse- “Khomeini è un uomo santo”.”
Vittorio ha qualche risentimento?
“Non ha mai perdonato alla corte del re in esilio di averlo tenuto lontano dal padre, di avergli riferito cose false”.
Anche Vittorio aveva una sua corte.
“Aveva come precettore Jacques Piccard, nipote di quel Piccard che andò a 15 mila metri su un pallone e figlio di quell’altro Piccard che andò su un batiscafo 10 mila metri sotto il mare. Un altro precettore era il famoso Renato Cordero Lanza di Montezemolo. Poi la sua gioventù fu circondata da donne, sorelle, tate. Scuola al Rosey, il collegio di Ginevra dove è andato mezzo mondo, dall’Aga Khan ai Camerana, gli Incisa della Rocchetta, i Gazzoni Frascara”.
E gli amici?
“L’amico storico è Sergio Pellecchi, simpatico, l’ho conosciuto, uomo di mondo. Attivo, di buon senso, suo compagno di bob. Si vedono molto spesso”.
Vittorio Emanuele, rileggendo il testo, ha tolto qualcosa?
“Ha attenuato i toni contro il mondo monarchico e la corte del padre. Nella prima stesura era stato più duro”.
E’ la prima volta che parla male dei monarchici.
“Dice che i monarchici sono mille sigle, molte inventate. Che sono riusciti a sfasciare l’idea monarchica, preoccupati dei loro gruppetti. Racconta della guerra fatta dai “cortigiani” contro il suo matrimonio con Marina Doria. Gli mandarono l’onorevole Lauro per convincerlo a non sposarla. Riuscirono anche a fargli tagliare l’appannaggio”.
L’appannaggio?
“Non era una gran cifra, però gli consentiva di fare qualche viaggio. Come quando con Pellecchi e Niki Sistovaris, ex marito di una delle figlie di Chaplin, a bordo di un Riva Superamerica andò in Spagna a trovare il padre in vacanza”.
Non si è mai privato di nulla…
“Non ha fatto una vita grandiosa…”
E la Ferrari 250 California della foto pubblicata sul libro?
“Sì, non è una macchinina da due lire. Nella foto c’è anche Maria Gabriella con una Ferrari 250 GT Berlinetta. Ma è stato dopo, lavorando per Corrado Agusta e vendendo gli elicotteri in tutto il mondo, che è iniziata la sua vita agiata”.
Voleva più bene al papà o alla mamma?
“Con la mamma ha vissuto di più. Suo padre lo ha visto poche volte”.
Hai scoperto se è mai venuto in Italia, come si dice?
“E’ venuto quando aveva 18 anni. Cordero di Montezemolo lo portò in macchina a Torino”.
E al confine?
“Mostrò il passaporto con su scritto “Vittorio Emanuele di Sarre”. A Torino andarono al circolo del Whist, tempio dell’aristocrazia sabauda. Incontrarono il duca di Genova e il duca di Ancona che lo guardarono allibiti”.
E adesso che possono tornare, dopo più di 50 anni, temporeggiano. E annunciano che porteranno la residenza dal Portogallo in Svizzera dove pagheranno le tasse. Perché i Savoia sono sempre maldestri?
“Per educazione non dovrei dire cose che non mi competono, ma il problema è che ci sono troppe persone che esprimono pareri intorno a questo signore. Troppe intromissioni, troppi consigli, troppe critiche. Non ha mai avuto nella vita un momento in cui poter pensare da solo. C’è sempre stato qualche grillo parlante”.
Tu sei un aristocratico. Con lo stemma?
“Non l’ho mai detto a nessuno, ma ho un leone rampante”.
E palle?
“Cinque palle. In teoria sono un conte”.
L’aria del conte ce l’hai.
“Molti titoli nobiliari sono recenti. Volpi, Marzotto, tutti conti del fascismo, conti dell’altro ieri. La famiglia Feroldi, invece, c’è sempre stata. A Milano, via Broletto era tutta dei Feroldi”.
Anche adesso tu frequenti bene. Tuo padrino era Enrico Falck. Tua moglie, Francesca Calissoni, è una Bulgari…
“E il padrino di mia figlia è Leonardo Mondadori”.
Chiara Beria d’Argentine, Stella Pende, Nicola Dubini, Carlo Rivetti, Giorgio e Ilaria Forattini, i Camerana. Serate di alto livello. Hai fatto leggere il libro ai tuoi amici?
“Impossibile. Vittorio me lo ha vietato. Pensa che ho dovuto sbobinare le registrazioni da solo”.
Ricordi di gioventù?
“Ricordo che prendevamo il 23 in viale Piave e andavamo a Lambrate, poi in treno da mia nonna, in campagna. Sono cresciuto così. Io andavo a giocare a casa Falck, in via Tamburini. Vicino c’era quella dei Borletti. Mio padre e mia madre, aristocratici quanto vuoi, mangiavano sulla macchina da cucire Singer aperta. Il coté aristocratico lo capisci trent’anni dopo. Esempio: io sono nato in casa. A rischio di morire i signori nascevano in casa. Da bambino io mi vergognavo perché i miei compagni di scuola avevano i vestiti. Io avevo i vestiti dei nonni rivoltati. Era quell’aristocrazia che non spendeva i soldi per niente. La nonna ci comprava un gelato all’anno”.
Scuola?
“Mio fratello Piero, il primogenito, alla maturità classica prese tutti dieci”.
E tu?
“Quattro otto e quattro sette”.
La vergogna della famiglia.
“Mio padre sapeva l’inglese ma aveva studiato di notte da solo francese e tedesco. Si era diplomato a 16 anni e laureato a 21. Mia madre si era laureata in tedesco scrivendo in gotico.”.
Miti?
“Musicali. Suonavamo tutti in famiglia, violino, chitarra, pianoforte. Mi piaceva Domenico Modugno ma sul nostro piano ha suonato Benedetti Michelangeli. Mi invaghii dei cantautori, Tenco, De André, Paoli. In Corsica incontrai un gruppo di torinesi straordinari per cultura musicale. E tutte le sere, da Milano, andavo a Torino per suonare con loro”.
Che cosa leggevi?
“Calvino. Gli scrissi anche una volta e mi rispose”.
Il primo amore lo ricordi?
“Non avevo successo e dubitavo di essere persona piacevole per il sesso femminile”.
Il primo amore te lo ricordi?
“Le grandi cotte sono quelle del ginnasio, ma non avevo successo e dubitavo di essere persona piacevole per il sesso femminile”.
La prima fidanzata?
“A 19 anni. Era stracomunista. Non rientrava molto nei canoni della nostra famiglia. Ma nessuno in casa nostra ha mai detto ai figli: devi sposare una nobile. Anzi mio padre considerava i nobili degli scansafatiche che non avevano voglia di lavorare”.
La politica?
“Papà insegnava politica economica e aveva a che fare con tutti. Con Andreotti, con Fanfani. Fu lui a convincere Ciampi a entrare in Banca d’Italia. Avevano fatto il militare insieme”.
Come mai sei diventato giornalista?
“Conoscevo la fidanzata di Salvatore Accardo che un giorno mi disse: “Vieni a Roma, c’è anche Salvatore”. Andai e rimasi folgorato da Roma”.
Che cosa ti folgorò?
“Le ragazze. A Milano facevano a gara a chi si vestiva con cose più ricche. A Roma invece la gara era sulla bellezza fisica. Per me Roma fu una rinascita. Pensa che non dicevo nemmeno le parolacce e tutti mi prendevano in giro. Insomma, non sono più tornato a Milano. Per venti anni”.
Come vivevi?
“Davo lezioni ai figli ignorantelli delle famiglie nobili, gli Orsini, i Colonna. Latino, greco, musica. Li facevo promuovere tutti. Poi la sera ti invitavano a suonare la chitarra. Cominciai a scrivere di musica su Stereoplay. Feci le prime interviste. Fabrizio De André non lo aveva intervistato nessuno. Lo chiamai e gli dissi: “Perché nel “Testamento di Tito” in quel “si bemolle” non ci mette anche la settima aumentata?”. Mi rispose: “Vieni e porta la chitarra”. L’intervista durò un giorno”.
Il grande salto?
“Collaborazioni con l’ufficio stampa della Rai, con la Fondazione Agnelli. Quando conobbi Cingoli, direttore di Paese Sera, gli dissi che volevo fare il giornalista e alla fine mi assunse a Firenze. Poi litigai in maniera furibonda con Coppola per via di una signorina di cui si era innamorato. Rimasi disoccupato. Ufficio stampa Fiat, Sole 24 ore, una noia mortale, Globo, che però chiuse. Di nuovo disoccupato”.
Alla Rai come ci sei arrivato?
“Scrissi al direttore del Tg1, Albino Longhi: “Può sembrare ingenuo ma non ho uso di politica, mi può dare una mano a capire come si fa ad essere assunti in Rai?”.
Che cosa fece Longhi?
“Mi chiamò: “Ti voglio vedere in faccia”. “
E alla fine?
“Alla fine, quando arrivò Nuccio Fava, mi assunsero”.
La tua carriera è straordinaria.
“E’ storia vera”.
Da allora la Rai è cambiata?
“Totalmente. Al Tg1 erano quattro gatti, ma si chiamavano Vespa, Frajese, Fava, Citterich, Bersani, Luisi. Mentana è stato il mio compagno di banco per dieci anni. Poi Badaloni, Angela Buttiglione”.
Recentemente hai avuto problemi.
“Ero andato al Tg3, a Milano, mi occupavo di una trasmissione sull’Europa. C’è stato un contrasto duro su come venivano utilizzati dei finanziamenti. E il programma mi è stato tolto in malo modo”.
Contrasto con chi?
“Col direttore di testata, Rizzo Nervo. Grazie a un bravo avvocato, sono riuscito a non perdere il posto. Mi accusava di aver denigrato l’azienda. Brutalità totale. Arrivò alle minacce. In assemblea a Milano disse: c’è qui presente uno che vuole dire chissà che cosa. Ma finirà per sbattere la faccia contro il muro. Io lo denunciai. E il segretario del mio sindacato, l’Usigrai, Roberto Natale, testimoniò contro di me. Roba che non faceva nemmeno il sindacato giallo di Valletta”.
Adesso ti occupi delle relazioni esterne per il Nord.
“Un compromesso che ha proposto l’azienda”.
La Rai come sta a voltagabbana?
“Prima si era lottizzati, si trovava la propria casella e non era facile cambiare. Oggi vedo gente che cambia anche tre o quattro casacche”.
Chi è il principe dei voltagabbana?
“La Rai è la fotocopia della politica italiana. Io ricordo che quando Bossi entrò nel governo, vennero assunte in una notte quattro persone in quota Lega”.
Sono ancora leghisti?
“Il trucco è sempre lo stesso. Ti infili nel partito piccolo, ai tempi miei nel Pli, nel Psdi, nel Pri. Il posto era sicuro, con tutti i vicedirettori che bisognava fare”.
Spiegati meglio.
“Vidi io con i miei occhi Frajese che abbracciava Mentana e gli diceva: “Grazie Enrico”. Mentana era stato nominato caporedattore”.
E Frajese lo ringraziava?
“Certo. Per ogni caporedattore socialista bisognava farne uno democristiano. La promozione di Mentana significava la promozione per Frajese. Ma bisogna scegliere la strategia giusta. Il partito piccolo garantisce di più. Conosco un collega che, in quota Pri, è diventato vicedirettore a 30 anni”.
Nel partito piccolo conti poco.
“Poi cambia il governo e tu ti metti col partito maggiore”.
Ma vere e proprie banderuole?
“La Porta. Socialista, Lega, Rifondazione. C’è gente anche famosa nel giro del Tg1 che era stracomunista una volta”.
Celli mi diceva che capiva che stava realmente cadendo un governo dal ribollire dei funzionari e dei capi.
“In un consesso di finanzieri milanesi illustri, mi dissero: “Celli? Era un cattivo capo del personale e tale è rimasto”. “
Sei un po’ reticente sui voltagabbana.
“Sai chi è il voltagabbana che la insegna a tutti?”
Dimmi.
“Pietro Badoglio”.
Lavora alla Rai?
“Al limite dell’impudenza c’è Cesare Previti”.
Almeno è vivo.
“Io sono allibito. E’ avvocato, parlamentare, è stato ministro. Per difendersi dalla corruzione, dice che era solo una grande evasione fiscale. E il suo Ordine professionale non lo radia?”
Ma in Rai?
“Tutto il mondo della prima Repubblica si è ampiamente riciclato. Molti craxiani sono finiti tra le braccia di quegli ex comunisti che li avevano sempre beffeggiati”.
L’adulazione funziona ancora?
“Funziona di più. Una volta c’erano molti posti da distribuire. Adesso ce ne sono pochi e l’adulazione è indispensabile. Poi c’è il fascino femminile. Il potere è molto sensibile all’adulazione quando viene dalla venustà muliebre”.
Chi è il principe degli adulatori?
“Dicono Marzullo, per quel suo stile soffice. Dicono Mollica, perché per lui sono tutti bravissimi. Dicono Giurato”.
E allora?
“Oggi secondo me non c’è più solo l’adulazione. C’è l’apparire invece dell’essere. L’adulazione non è “quanto sei bello e bravo!”, ma è “siamo apparsi tutti e due sulla foto dell’Espresso e di Sette, faccio parte anch’io di questo circo mediatico”.
Proviamo a fare il gioco della torre.
“Proviamo”.
Fede o Rossella
“Salvo Rossella”.
E’ amico tuo.
“Sono amico anche di Fede. Ma Rossella è uno che è partito da Cossutta ed è arrivato dove è arrivato. Un grande specialista. Fede è troppo adulatore”.
Vespa o Santoro?
“Un miliardo e mezzo all’anno per piangere? Butto Santoro. E diamo la parola ai disoccupati di Termini Imprese”
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