- 10 Luglio 2002
È diventato una presenza costante di queste interviste. Renzo Foa, figlio del mitico Vittorio e della mitica Lisa, personaggi fondamentali della storia della sinistra italiana, lui stesso direttore di un’edizione dell’Unità molto apprezzata, culturalmente e politicamente coraggiosa. Lui, Renzo Foa, ha saltato lo steccato, sta con quelli di Forza Italia e scrive per il Giornale, quotidiano di Paolo Berlusconi. Voltagabbana doc, adulatore principe del nuovo potere. Ghirelli, Caldarola, Pellicani, Sansonetti, Simona Ercolani: il loro dito accusatore si è alzato spietato e a un certo punto Renzo Foa si è stufato. «Capisco che si sentano colpiti, ma non capisco perché loro non capiscano», dice. Ed eccolo qui, a spiegare perché non è un voltagabbana. E nemmeno un adulatore.
Che cosa devono capire?
«Negli ultimi 10 anni avrò scritto mille articoli. Ho spiegato a sufficienza il mio percorso. Loro non sono stupiti delle cose che dico. È dove le dico che li disorienta. Nessuno fra coloro che mi criticano perché scrivo sul Giornale legge quello che scrivo».
La tua è stata una conversione a 180 gradi…
«Ho trovato un fax di Indro Montanelli del dicembre 1991, quando lui dirigeva il Giornale e io l’Unità. C’è scritto: "Caro Foa, tra le tante cose su cui dobbiamo metterci d’accordo è, ogni tanto, di non essere d’accordo su qualcosa, altrimenti saremmo sbranati dai nostri". Voltagabbana è una parolaccia, non mi piace, presuppone l’idea del nemico».
Quando hai avuto la sensazione di aver fatto il salto?
«Alle regionali del 2000 ho capito che era giusto scommettere sull’altra parte. Mi fidavo più del Polo. Avevo già scritto qualcosa sul Giornale».
Perché un signore storicamente di sinistra scrive su un giornale di destra?
«Perché non dovrei? Non sono il solo. Ci scrivono tante persone che vengono da sinistra. Ida Magli, Paolo Guzzanti, Mario Talamona, Nando Adornato, Massimo Teodori. E la stampa di sinistra è diventata infrequentabile, chiusa, militarizzata».
Hai detto una volta a Guido Quaranta: «Io non sono un pentito. Continuerò a essere un uomo della sinistra».
«Ho partecipato in modo militante a una sinistra che non c’è più. Sono scomparsi anche i nomi. La differenza tra quello che penso io e quello che alla fine è diventata la sinistra è grande».
Ti consideri di destra?
«Io con questa sinistra non ho nulla a che fare».
Ma se non ti dò la possibilità di cincischiare, tu che cosa rispondi?
«Rispondo: "Scrivo su un giornale di centrodestra"».
Ho capito, cincischi.
«Sto scommettendo sul centrodestra».
Cincischiare è tuo diritto, ma cincischi.
«Oggi essere di destra o di sinistra non è un problema di contenuti ma di appartenenza in un contesto militarizzato».
Era impensabile per te rimanere a sinistra su posizioni critiche?
«Nella sinistra ci sono un sacco di persone che dicono cose giuste e sensate. Ma non hanno ascolto. Francamente è un po’ patetico fare il tricheco».
Il tricheco?
«Il tricheco espulso dal branco che insegue i suoi latrando: attenzione, non andate là che vi infrangete sugli scogli. È stato Cacciari a inventarsi la storia del tricheco: "Non resto nei Ds a fare il tricheco"».
Hai fatto spesso il tricheco?
«Spesso. Cuba, l’Algeria, il Kosovo. Non puoi essere sempre in una posizione solitaria e ignorata».
Quando tu dirigevi l’Unità, Roberto Villetti dirigeva l’Avanti. Adesso lui è andato con i Ds e tu con Berlusconi. Doppio voltagabbanismo incrociato…
«Lui, Boselli, Del Turco fecero una scelta per garantirsi la sopravvivenza. Villetti è sempre stato anticomunista. Era un socialista lombardiano ma molto moderato».
Furio Colombo si definisce «liberal». Tu ti definisci «liberal». Chi di voi due sbaglia?
«Colombo: fa un giornale aggressivo, gridato, eccessivamente polemico, intellettualmente intollerante, per niente liberal».
Quanto tempo sei stato iscritto al Pci?
«A 14 anni ero in Fgci. Poi sempre nel Pci. E nel Pds, fino al ’94».
Sei di Roma?
«Sono nato a Torino ma sono sempre stato a Roma, prima al Testaccio, poi alla Garbatella».
Scuole?
«Elementari alla Montessori e alla Cesare Battisti. Alla Montessori trattavi il maestro da pari a pari. Alla Battisti il maestro picchiava i bambini con la bacchetta».
Dopo la Garbatella?
«Andammo in quell’orrendo palazzo dei deputati, vicino a Piazza dei Navigatori, una cooperativa di parlamentari. Nella mia scala c’erano Nenni, Parri, Pertini, Walter Audisio, Lizzadri, Giovanni Leone, La Malfa. Nelle altre Pastore, Longo, Giolitti, Mannironi, Amendola, Lelio Basso, Di Vittorio».
Chissà che giro di auto blu…
«Era una classe dirigente che viveva molto spartanamente. Nenni aveva una 1100».
Che strana vita con mezzo Parlamento come vicino di casa.
«Ricordo che ero amico di Stefano Giolitti, che giocavo a pallone nel cortile con Giorgio La Malfa, che la bellona era Anna Giolitti, che andavamo a vedere la televisione da Armida Lizzadri, che alle cinque del pomeriggio mi piazzavo per strada per farmi dare un passaggio in città da Sandro Pertini, puntuale come un autobus».
Il liceo?
«Visconti. Ambiente moderato di destra. Con Stefano Giolitti facevamo una rivista ciclostilata che si chiamava Argomenti e pareri. Avevamo un’alta considerazione di noi stessi».
Tu hai avuto una famiglia «pesante».
«Normalmente uno ha i figli gruppettari. Io avevo il padre gruppettaro. Non era una famiglia pesante. Era piuttosto sciolta. Ognuno la pensava a modo suo. Padre sinistra socialista, madre iscritta al Pci, sorella maggiore, Anna, con simpatie trotzkiste, io Fgci, sorella minore, Bettina, destinata per generazione al ’68. Io sono sempre rimasto nel Pci. Mio padre è passato per il Psiup, il Manifesto, il Pdup, questa estrema sinistra sempre terremotata, prima di arrivare nel Pci come senatore indipendente. Mia madre si avvicinò a Lotta Continua dove era uno dei punti di riferimento».
Adesso?
«Io appoggio il governo, mio padre l’opposizione. E mia madre critica tutti».
Sofri le scrive spesso dal carcere nella sua rubrica «Piccola posta» sul Foglio.
«Sì, sono affettuosi messaggi perché sa che non sta bene».
Quando hai smesso di essere comunista?
«Non lo so. Ho un’immagine: 1979, poco prima della guerra aperta tra Cina e Vietnam, al confine. Ci fu una sparatoria…».
Fu quando avesti un’avventura con Jane Fonda?
«Leggende metropolitane. Jane Fonda la incontrai nel 1972, durante la guerra del Vietnam. Mi piaceva talmente l’idea che si dicesse in giro che avevo avuto una storia con lei che smentii sempre con poca convinzione. In realtà le ho parlato al bar per cinque minuti».
Stavi ricordando la sparatoria…
«Da una parte c’era la bandiera rossa della Cina, dall’altra la bandiera rossa del Vietnam. Mi dissi: "Meno male che c’era la grande solidarietà tra Paesi fratelli"».
Piero Sansonetti, quando ti ha incontrato, ti ha chiesto: «Sei diventato fascista?».
«Lui me lo diceva anche quando stavamo all’Unità. Quando fui nominato direttore dissero, contestandomi: "Un direttore non comunista va bene ma un direttore anticomunista no"».
Quando all’Unità faceste il processo a Jacoviello perché aveva criticato l’Urss ed esaltato la Cina, tu eri redattore capo. Fosti molto duro e chiedesti la sua espulsione.
«Jacoviello non c’entrava nulla. Noi redattori capo facemmo un’operazione politica. Dovevamo affermarci come gruppo di potere».
Che vergogna.
«Sì, in seguito mi sono un po’ vergognato. Non fu un bell’episodio».
Come è cambiata la tua vita da quando scrivi sul Giornale? Hai perso amici?
«La vera discontinuità fu all’epoca di Mani Pulite. Lì, sì, mi misero in discussione. Chi non era militante veniva guardato con odio».
Quando è comparsa la tua firma, Macaluso ha detto: «Sono strabiliato».
«Era strabiliato ma a me non ha detto nulla».
Caldarola mi ha detto che sei andato a destra perché non hai elaborato il lutto dell’uscita dall’Unità.
«È una frase affettuosa…».
Sansonetti mi ha detto che ha provato dolore vedendoti dall’altra parte.
«Anche questo è un atteggiamento affettuoso».
Sembri Santa Maria Goretti. Va bene essere tollerante…
«Sai perché ce l’hanno con me?».
Parla.
«Perché quando le funzionarie di Botteghe Oscure votarono il comunista più sexy li battei tutti. Arrivai primo, davanti a Sansonetti, D’Alema e Veltroni».
Seriamente, le critiche non ti infastidiscono mai?
«Solo se fatte con livore. A metà degli anni ’90 Giorgio Bocca mi criticò perché facevo una trasmissione con Diaconale. Mi aveva paragonato a quegli intellettuali francesi che collaboravano con le SS. Francamente era troppo».
Che cosa pensi di Berlusconi?
«È un uomo che vuole la modernizzazione della società italiana».
Ci riuscirà?
«In questo Paese chi eccelle rischia di essere messo fuori gioco».
Esempi?
«Il principale intellettuale, Adriano Sofri, sta in galera. Il più bravo calciatore, Roberto Baggio, non gioca in Nazionale. L’imprenditore più dinamico, Silvio Berlusconi, viene boicottato».
Chi non ti piace a sinistra?
«Cofferati perché spreca la sua cultura di sindacalista. E i girotondini: slogan, grida scomposte, demonizzazioni. Sono i veri adulatori di Berlusconi».
Puoi chiarire il concetto?
«Chi ha adulato di più Berlusconi se non coloro che, demonizzandolo, hanno contribuito a costruire la sua immagine di leader?».
Chi per esempio?
«Il vecchio Sylos Labini che continua a rivolgersi al Capo dello Stato, il direttore di Le Monde, il ministro degli Esteri belga, la Tasca, Eugenio Scalfari. Tutti demonizzatori, tutti adulatori».
Chi altri non ti piace?
«Paul Ginsborg. Mi dà fastidio la sua tesi sulla dittatura strisciante. Dice che il centrodestra sta facendo scomparire la democrazia ma è così bravo da non farcene accorgere».
Effettivamente, il conflitto d’interessi…
«La legge sul conflitto di interessi non doveva essere fatta dal centrosinistra?».
Debole come difesa.
«Hanno cambiato i direttori dei telegiornali e i telegiornali sono sempre gli stessi».
L’operazione Santoro-Biagi? Berlusconi che dà l’ordine in Bulgaria e gli altri che subito obbediscono.
«Sì, è stato un errore tattico dire quella cosa. Ci siamo sempre lamentati dei politici che parlavano criptico e adesso ce n’abbiamo uno che parla chiaro».
Il Presidente del Consiglio non può licenziare i giornalisti della Rai…
«Hai ragione. Bisogna dire però che ognuno pretende di restare sempre nel posto in cui sta».
Mancuso diventa critico solo dopo che lo hanno scontentato e attacca Previti. Sgarbi rivolge minacce mafiose a Tremonti solo dopo che gli hanno tolto la poltrona. Taormina si fa aggressivo quando esce dal governo. Fino al giorno prima tutto va bene. Il giorno dopo hanno tante cose cattive da dire.
«È la forma della politica di oggi. Tu sei in un’impresa. Dai un valore alla tua presenza nell’impresa. Quando la tua presenza cessa quell’impresa decade».
Più che un’impresa sembra una banda. Fine della banda, fine dell’omertà.
«Mi dà fastidio sia l’eccesso di partecipazione, prima, che l’eccesso di disprezzo, dopo. Mi stupisce una cosa: se uno partecipa al centrodestra, deve mettere in conto anche di convivere con persone che sono sotto processo».
Dov?è che alligna di più la piaggeria secondo te? A destra o a sinistra?
«La sinistra è molto rissosa. Poi sono politici di lungo corso, non hanno bisogno di piaggeria».
Francesco Barbagallo dice che lo staff di D’Alema era pieno di leccapiedi…
«Rondolino? Di lui si può dire tutto tranne che sia un leccapiedi. Durante tutta la stagione del centrosinistra c’è stata semmai una fortissima adulazione nei confronti di Scalfaro. Ricordo un bell’articolo di Vittorio Feltri, a proposito del primo messaggio di Capodanno. Se la prendeva con tutti gli adulatori di Scalfaro».
Chi erano?
«Tutti gli editorialisti che avevano scritto dei veri osanna».
Se la prendeva anche con te?
«Sì, pizzicava anche me. Mi mise nell’elenco degli adulatori».
Nell’intervista pubblicata su Sette tre settimana fa, Barbagallo criticava ‘gli intellettuali voltagabbana che hanno impartito prima lezioni di leninismo e poi di liberalismo’. Ma Pigi Battista, sulla Stampa, ha obiettato che voltagabbana, di conseguenza, è anche Barbagallo che è passato dai repubblicani ai comunisti.
«L’itinerario di Barbagallo è un itinerario lungo…».
Diceva di essere rimasto scandalizzato dal fatto che La Malfa aveva imposto il giovane figlio Giorgio nel seggio di Salerno.
«Motivazione debole. Però magari c’era un più profondo dissidio politico».
Tanto da lasciare un partito occidentale, mercato libero, capitalismo e diventare marxista?
«Non bisogna fare del moralismo. Cambiare idea è legittimo e utile».
I voltagabbana sono fastidiosi quando vanno a fare i maestrini dall’altra parte.
«Non riesco a capire quelli che hanno una fede cieca in qualcosa e poi la stessa fede cieca nella cosa opposta. Chi cambia idea dovrebbe essere lacerato da enormi dubbi».
Chi non ti piace a destra?
«Gli spreconi».
Cioè?
«Il ministro Castelli. La riforma della giustizia è da fare. Castelli rischia di sprecare questa occasione. Finora grande casino ma nulla di fatto».
Chi butteresti dalla torre fra Fazio e Ricci?
«Salverei Fazio, salverei Ricci».
Non è consentito.
«Fazio ha il dono dell’ironia. Ricci è un organizzatore da cui non si può prescindere. Dolorosamente buttiamo giù Fazio».
Santoro-Vespa?
«Salvo Vespa. Per l’utilità generale della sua trasmissione».
Quella di Santoro è inutile?
«Mai scoperto qualcosa? Ha rivelato verità nascoste? È ideologico».
Vespa no?
«Vespa è fattuale, fa domande concrete».
C’è chi sostiene che è un adulatore del potere, qualsiasi potere.
«È uno che tiene conto dei rapporti di forza».
Infatti disse che il suo editore di riferimento era la Dc.
«E fu coraggioso a dirlo».
Sgarbi-Urbani?
«Sgarbi. Fare casino, pensare alla propria immagine non è fare politica».
Fassino-Rutelli?
«Salviamo Rutelli».
Che t’ha fatto Fassino?
«È prigioniero di un pezzo del suo partito che gli impedirà di costruire una sinistra moderna».
Mentana-Mimun?
«Chiedo un’eccezione. Voglio salvare tutti e due. Mentana fa il tg più leggero e più godibile che si sia. Mimun che è riuscito a fare in Rai dei tg che si potevano vedere, non ingessati…».
Sfiori l’adulazione.
«Vorrei buttare dalla torre Maurizio Costanzo ma non posso».
Perché non puoi?
«È uno degli uomini più potenti d’Italia».
Perché lo vuoi buttare?
«La sua trasmissione all’inizio degli anni ’90 affrontava i problemi e li sviscerava. Adesso è una cosa di varietà, un salotto di niente…».
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