- 10 Maggio 2002
Si stanno stemperando le polemiche sulla Rai. Non si parla più delle dimissioni dei consiglieri in quota centrosinistra Zanda e Donzelli. Sono in calo i girotondi. Baldassarre e Saccà forse stanno litigando ma nessuno lo scrive più. I nuovi direttori si sono insediati. Attorno a loro si scatena la rituale ondata di piaggeria. Non si ha notizia delle annunciate epurazioni. Resta il fatto che la Casa della Libertà ha fatto il pieno e probabilmente ne approfitterà. Ma Maurizio Gasparri, An, ministro delle Comunicazioni, non è d’accordo. Dice: «Ai posti di comando ci sono più uomini del centrosinistra, oggi, di uomini del centrodestra, ieri».
Ministro Gasparri, ma che cosa sta dicendo? Il centrosinistra vi aveva lasciato Rete 1 e Tg2, con Saccà e Mimun?
«Saccà è stato nominato in una fase in cui centrodestra e centrosinistra neanche si parlavano».
E Mimun?
«Ha resistito per otto anni. Sfido chiunque a dimostrare che abbia fatto il tg del Polo».
Sfido chiunque a dimostrare che sia in quota al centrosinistra.
«Il centrosinistra ha Rete 3 e Tg3».
Importanti sono 1 e 2.
«Fabrizio Del Noce è una scelta di una professionalità totale».
Lo stesso Del Noce che era deputato di Forza Italia?
«Io non la posso costringere a dire cose diverse da quelle che pensa».
Io non la posso costringere ad ammettere che avete fatto man bassa di poltrone.
«Mi verrebbe voglia di fare una domanda a lei».
La faccia.
«Ci sono casi del centrosinistra che sollevano polemiche per alcune punte di faziosità e di appartenenza».
Santoro?
«Mimun ha mai cantato Bella ciao aprendo il tg?».
Fine del dibattito. Lei è contento delle nomine?
«Ma sì?».
Non sembra entusiasta.
«Ciò che non va bene oggi andrà bene domani. Io ragiono con i tempi della storia. Non sono affetto dal velardismo».
Velardismo?
«La malattia senile del comunismo. Una forma postmoderna della partitocrazia. I "velardi" credono di essere importanti e si atteggiano a grandi. Servono il loro leader, si identificano in lui, ne ottengono la fiducia in quantità eccessiva e, a sua insaputa, ne copiano gli atteggiamenti imperiali. Si accreditano, nominano, decidono, spartiscono. Vedo ogni tanto dei "velardi" anche fra noi. Ma allora arrivo e zac! Taglio. Dico sempre: uccidi il "velardi" che è in te».
Lei telefona ai direttori dei tg?
«Da quando sono ministro ho telefonato una volta a Longhi, a Mimun e a Di Bella».
Che cosa ha detto a Di Bella?
«Che il Tg3 avrebbe dovuto spiegare un po’ meglio la notizia sul caso Raiway».
Longhi è stato criticato perché il Tg1 non ha dato la notizia della telefonata
in diretta a Simona Ventura?
«Ho sbagliato a fare quella telefonata. Ma non era una notizia così eclatante».
L’hanno data tutti.
«Longhi ha una visione austera del giornalismo e della vita politica. Non gli è sembrato elegante che un ministro polemizzasse. Aveva ragione: io non avrei dovuto occuparmi della dimensione nani e ballerine. Mio interlocutore è il presidente della Rai, non Simona Ventura».
La Rai è il tempio della piaggeria. Lei lo sente?
«Poco. Da quando è successo il caso di Carmen Lasorella, la gente sta attenta».
Era vero o non era vero?
«Giorgio Torchia, un giornalista di destra, mi disse: "Carmen ti vuole parlare". Io dissi: "Che cosa mi deve dire?". Ero stato appena nominato ministro. Lei era dell’Ulivo. Che cosa voleva da me?».
Che cosa voleva?
«Torchia mi disse: "Ha rotto con l’Ulivo"».
Come finì?
«Torchia si immolò sull’altare. Disse: "Carmen non sapeva nulla. Ho preso un’iniziativa personale"».
Che cosa è secondo lei l’adulazione?
«Darti ragione anche quando hai torto».
Sono tanti gli adulatori?
«L’episodio di Carmen Lasorella è servito ad allontanarli. Perfino alcuni miei amici giornalisti smisero di telefonarmi».
Cerca di convincermi che nessuno, da quando lei è ministro?
«Ci provano. Ma non ci riescono».
Chi sono gli adulatori?
«Quelli che cambiano a seconda dei risultati elettorali. Ma io ho una memoria di elefante. Ricordo tutto. Ho amici dappertutto e vengo a sapere tutto quello che si dice».
Adulatori di basso livello?
«Anche di alto livello. Nobili, gestori di musei, direttori di giornali. Spesso sono adulatori a intermittenza. Ti scoprono quando hai successo. Ti dimenticano se torni all’opposizione. E poi si rifanno vivi. Quando mi chiamano dico: "Ah, sei tu? Dove sei stato tutti questi anni?" Può capitare a un editore di un quotidiano romano, per esempio».
Nomi?
«Neanche sotto tortura. Devo campare. Sono ministro da un anno. Sono diventato un moderato».
Altri adulatori?
«I neofascisti».
Dice sul serio? È scoop.
«Neofascisti nel senso di quelli che vengono a dirti di essere sempre stati fascisti, per farti contento».
E lei è contento?
«A me non me ne importa nulla del fascismo».
Se non era scoop quello, è scoop questo.
«Il fascismo non è la parentesi oscura della storia, come disse Croce sbagliando».
E allora?
«Allora non mi considero un nostalgico. Sono rigorosamente di destra, legge e ordine, ma del fascismo non me ne importa niente. Quando ero sottosegretario all’Interno un questore mi regalò un ritratto di Mussolini. Io gli dissi: "Che ci faccio?"».
Ha mai fatto il saluto romano?
«Una volta, al cimitero Verano, 15 anni fa, il 28 ottobre, per la commemorazione dei morti della Marcia su Roma».
Le piace?
«Dal punto di vista igienico è meglio della stretta di mano».
Questa è originale.
«Mi tocca stringere centinaia di mani, sudate, calde, sporche. E al Sud, addirittura il bacio. Il saluto romano è più pulito. Dovrebbero imporlo le Asl, per evitare contagi».
Anche il pugno chiuso?
«Non esageriamo».
Ha mai cantato Faccetta nera?
«Non tanto. Ci sono altre canzoni goliardiche simpaticissime. Rappresentano un filone cabarettistico. Le interpretava benissimo Carlo Campanini. Ce n’è una su una ragazza abissina che si vorrebbe portare a Roma: "Ti faremo mangiare le vongole, le cozze ed il panetton". Forse un po’ razzista».
Le piacciono le musiche di sinistra?
«L’Internazionale. E l’inno sovietico».
E Bella Ciao?
«Rappresenta un momento di contrapposizione, di guerra civile».
Avete riscoperto i valori dell’antifascismo.
«Ma non chiedetemi di iscrivermi all’Anpi».
L’inno italiano?
«È bello. Ma non quanto quello americano».
Anche Va pensiero è bella. Ma se l’è presa Bossi.
«Perché non l’ha ascoltata bene. Dice: "Oh mia patria, sì bella e perduta!"».
Ha nostalgia dell’opposizione?
«Ah, i bei tempi dell’invettiva!».
I tempi in cui eravate «discriminati»?
«Non ci scherzi. Pensi a tutti quei musicisti, quegli scrittori che non hanno trovato un editore, un capostruttura che li chiamasse. Centinaia di eroi sconosciuti».
Chi per esempio?
«Marcello Veneziani è un intellettuale che pubblica libri. Ma quanti Veneziani ci sono stati che non sono stati lasciati emergere?».
Nomi.
«Io non penso a un caso specifico. Erano tutti somari quelli di destra?».
Non è da escludere.
«E i finanziamenti dati ai film di sinistra? Magari c’erano ragazzi di destra che avevano più talento di Nanni Moretti».
Moretti si è finanziato da solo i primi film.
«Io ammiro Nanni Moretti. Però ha avuto tutto il sistema culturale a favore».
Mi fa il solito discorso dell’egemonia culturale della sinistra?
«Quelli di destra trovavano sempre le porte chiuse. Bussavano e gli dicevano: "Vattene via sporco fascista". Vogliamo parlare dei finanziamenti al film di Cipri e Maresco, di quanti milioni è costato ogni spettatore? Io non faccio liste di proscrizione».
Bravo.
«Ma non si può continuare a finanziare film per quattro gatti».
Per scrivere una canzone non c’è bisogno di finanziamenti.
«Le cito Bennato: "gli impresari di partito mi hanno fatto un altro invito, mi hanno detto che finisce male se non vado pure io al raduno generale della grande festa nazionale". Sono solo canzonette, 1982. Stia sicuro, non si riferiva agli impresari di An. Prendiamo Venditti, lo conosco bene, è un amico».
Lei è amico di Venditti?
«Spero di non creargli problemi dicendolo. Prendiamo De Gregori. Hanno avuto la vita più facile. Sergio Caputo era un militante di destra. Perché si è buttato a sinistra?».
Mi sfugge.
«Perché per avere successo bisogna avere spazio alla Rai. Da destra non lo ottieni».
Parliamo di voltagabbana allora. I «picchiatori fascisti» nelle stanze del potere. Un bel salto, no? Dove andava a scuola?
«Al Tasso».
Il mitico Tasso farcito di gente di sinistra?
«I fratelli Veltroni, Paolo Franchi, Paolo Mieli. Ma c’era anche Antonio Taiani, leader dei monarchici, che dovette abbandonare il liceo per via delle bastonate. Era un massacro. Un Gulag vietnamita. C’era un tale Richard Ambrosini, di Lotta Continua, che ci menava in continuazione. Per me è stata una scuola di formazione. Sono stato discriminato, picchiato, inseguito per le scale, impedito di andare a scuola, di dire la mia opinione, di partecipare alle assemblee. Ho subito processi politici di stampo maoista».
Come mai aveva scelto il Msi?
«La mia era una famiglia moderata, che votava Msi. Mio padre era ufficiale dei carabinieri. Io sono nato e cresciuto in caserma, sono andato fin da bambino alle parate militari. Mi piacevano De Gaulle, Salazar, i colonnelli greci».
Eravate emarginati anche dalle ragazze?
«Fidanzate solo di destra. Ricordo la mia prima passione. Avevo sei anni, si chiamava Daniela Grossi, figlia di un ufficiale dei carabinieri».
La prima fidanzata vera?
«Rossella, militante missina. Poi mia moglie Amina, militante missina».
Una ragazza di sinistra l’ha mai avuta?
«Come potevo? Anche le vacanze le facevamo fra noi. A me piaceva fare l’organizzatore. La mattina appendevo l’ordine di servizio: "Domani si va a Capo Vaticano. Dopodomani bagno in spiaggia. Stasera musica"».
Che musica ascoltavate?
«I gruppi nostri. Gli Amici del vento, gli Zpm. E molto Battisti».
E poi?
«Il matrimonio, il Secolo, il Parlamento. Sempre in giro per l’Italia, dormendo a casa degli amici. Io non sono un dirigente, sono un parente del partito».
I suoi casini avvengono sempre con le donne: Carmen Lasorella, Simona Ventura. Con la Mussolini non va d’accordo. Siete venuti quasi alle mani.
«Roba del passato. Oggi i rapporti sono quasi idilliaci. Lei parla benissimo di me, addirittura in maniera imbarazzante».
E la Santanché?
«Io ho una concezione della politica diversa dalla sua».
Ho capito: Daniela, l’ultima arrivata, tacchi a spillo, mondana, salottiera?
«In politica bisognerebbe fare un po’ più di gavetta».
Ignazio La Russa ha grande stima di Daniela.
«Se ho quasi smesso di criticare la Santanché è solo perché Ignazio è il mio migliore amico».
Daniela Santanché dice che ha aperto ad An il mondo dell’imprenditoria.
«Saremmo arrivati dove siamo anche senza di lei. Io sono amico di molti imprenditori. Come Gianmarco Moratti. Ci stimiamo da 10 anni».
Nei salotti nessuno invitava i fascisti. Non era chic.
«Adesso ci invitano. Ma io non ci vado quasi mai».
Che cosa fa stasera?
«Sono a cena dall’Angiolillo».
Lei è maschilista?
«Io no. La politica italiana un po’».
Nel suo partito soprattutto.
«Abbiamo fatto molti passi avanti».
E molti indietro, sull’omosessualità?
«Siamo per l’unione tra diversi. Ma non abbiamo fobie particolari».
Glielo ha spiegato a Fini?
«Fini si riferiva all’ostentazione dell’omosessualità da parte degli insegnanti. Su questo sono d’accordo anche io».
Se un giorno sua figlia le dicesse «Papà, sono omossessuale»?
«Cercherei di capirne le ragioni. La sua omossessualità potrebbe dipendere da qualche disagio».
Potrebbe essere naturale?
«Certamente. Ma non direi: "Bene! Ok! Che bello! Come sono felice"».
Dopo la polemica Ventura lei disse che avrebbe redatto un Libro Bianco sugli sprechi Rai.
«Ho dei camion di documenti sugli appalti. Ma un giornale, Libero, ha già pubblicato molto».
Allora è lei che ha dato il materiale a Feltri.
«Forse abbiamo gli stessi fornitori».
È vero che Fini gestisce il partito dividendo e imperando?
«Un po’ sì. Attinge a tutte le aree del partito».
Ha mai fatto a botte con qualcuno dei suoi?
«Una volta il capo di una sezione venne in via Sommacampagna e chiese di parlarmi. Senza dirmi una parola mi dette uno schiaffone. Si chiamava Gianfranco Rosci. Adesso fa il sindacalista».
Litigavate spesso?
«Talvolta il clima era da caserma. Ma non scontri fisici. Al massimo del nonnismo. Magari nonnismo pesante».
Chi non le piace dei suoi?
«Gustavo Selva, per i suoi giudizi spietati».
Poveretto. Fu mandato via dalla Rai.
«Anche per la storia della P2».
Dice che non c’entrava.
«Probabilmente aveva ragione. Dicono tutti che non c’entravano. Pensi che tristezza il povero Gelli. Con chi le faceva le riunioni della P2? Da solo?».
Selva, in una intervista, ha parlato di «colonnelli maneggioni» di An. Lei è un colonnello maneggione?
«Io sono un militante politico, un ministro che fa il suo lavoro in maniera decorosa».
E allora con chi ce l’aveva?
«Noi abbiamo preso per buone le sue dichiarazione sulla P2. Si accontenti di questo e non ci rompa le scatole».
Altri che non le piacciono?
«Ho grande rispetto per il professor Fisichella».
Ma?
«Ma ci ricorda troppo spesso che ha scritto molti libri».
Non è una colpa.
«Il numero dei libri che ha scritto è notevole. Gli auguro sinceramente di aver avuto un numero di lettori direttamente proporzionato».
C’è una frase di cui si pente, oltre questa?
«Sì. Ho detto che Di Pietro è meglio di Mussolini».
Perché l’ha detta?
«Vedevo Di Pietro come Zorro».
E invece?
«Era solo il suo assistente muto, Bernardo, quello che gli tiene fermo il cavallo».
L’intervista è finita. Vogliamo chiuderla con una bella lista di proscrizione?
«Non posso. Devo essere prudente».
Chi le piace?
«Bonolis. È simpatico. Fiorello. È bravo».
E Santoro? E Biagi? Li mandiamo via?
«In tv è il pubblico che decide. Si viene mandati via dagli spettatori».
Allora Santoro e Biagi possono stare tranquilli. Ma perché avete mandato via Longhi, allora?
«Longhi è un riservista, una risorsa aziendale che ogni tanto viene richiamato».
Ha lo zaino sempre pronto.
«Vedrà che alla prossima crisi lo chiameranno di nuovo».
Nessun commento.