- 6 Febbraio 2003
Quando incontri Luca Giurato rischi la vita. Ti viene incontro con un grande sorriso, ti abbraccia, ti bacia alzandoti da terra, ti pastrugna e ti dice che è felicissimo di incontrarti, che ti stima moltissimo, che sei un collega simpaticissimo e che il tuo ultimo articolo è bellissimo. In mezzo a questa slavina di superlativi Luca Giurato, giornalista, ex vicedirettore del Tg1, ex direttore del Gr1, oggi conduttore del programma ultramattiniero Uno Mattina ha una parola buona per tutti, un complimento stupendo per ognuno. Adulare tutti vuol dire non adulare nessuno? Vuol dire essere gentile e basta? Luca, sei un adulatore?
«Assolutamente no. Quello che può creare questo equivoco è il mio approccio positivo alle persone che mi circondano».
E questo diluvio di superlativi?
«Non ne so dare una spiegazione razionale. Quando scrivevo per la Stampa non usavo superlativi. La mia era giudicata, bontà di chi la giudicava, tanti direttori importantissimi e bravissimi, una prosa semplice…».
Asciutta.
«… ti ringrazio… molto essenziale, molto asciutta. Il superlativo è un fenomeno scaturito quando sono diventato un personaggio televisivo».
Riusciresti a parlare senza superlativi?
«Faccio con tale entusiasmo questo lavoro che ormai i superlativi sono entrati in me».
Tu sei andato in video la prima volta nel ’91, quando eri vice di Bruno Vespa al Tg1.
«Ma l’overdose di superlativi è cominciata più tardi, con Domenica In, con Mara Venier. Avevamo bisogno di farci coraggio l’un l’altra e allora io cominciai a dire che Mara era bravissima, bellissima, simpaticissima. E Mara diceva che io avevo il “più bel sorriso d’Italia”, che camminavo come Gary Cooper».
Hai mollato una professione seria. Da allora non sei più quello di una volta.
«Ho avuto il coraggio di dire no a un secondo anno di Domenica In per non prendere una via nettamente diversa da quella del giornalismo professionale di altissimo livello. La parte ludica è sempre stata molto forte nella mia vita privata. Sono un esuberante, mi piace scherzare. Ma nella professione non era mai venuta fuori, da quando ho cominciato cronista a Paese Sera e consumavo le scarpe dalle cinque di mattina per inseguire delitti».
Eri specializzato nel recupero delle fotografie dei morti.
«Ho dovuto dire oscene menzogne, delle quali mi vergogno ancora, per rubare foto di bambini a genitori che non sapevano ancora che erano morti».
Il mestieraccio. Molti giornalisti se ne vantano.
«Era il mio Vietnam. Ricordo una bimbetta che mi venne ad aprire in camicia da notte e io dovetti inventare una balla clamorosa per avere da lei la foto del padre morto ammazzato. La presi e scappai. Ancora mi viene la pelle d’oca a pensarci».
Eri bravo.
«Quando mi presentavo al giornale con queste foto il capocronista faceva salti di gioia. E così mandavano sempre me. Uno stress tremendo, ma ero giovane. Dovevo farlo».
Non avrai cacciato fotografie per sempre.
«Facevo anche il vice del critico cinematografico. Fino a quando scrissi che nella Resistenza avevano avuto una parte di rilievo anche i cattolici. Il giorno dopo il capo della terza pagina, Alfredo Orecchio, il vecchio e carissimo Orecchio, mi disse: “Sappiamo tutti che non sei comunista ma questa è una pugnalata alle spalle!”».
Tu appartenevi a una famiglia alto-borghese.
«Mio padre era diplomatico. Avendo servito fedelmente lo Stato durante il regime, finita la guerra è stato mandato nelle sedi più emarginate. Porto Alegre in Brasile, Rosario in Argentina. Lo vedevamo per le feste».
I diplomatici si portano dietro la famiglia.
«Il matrimonio tra mamma e papà non era molto riuscito. Quando io avevo 16 anni ci fu un tentativo di riconciliazione. Partimmo tutti quanti per l’Argentina, loro due, noi quattro fratelli e la tata Tonina. Puoi immaginare la mia gioia. Anche se ero disperato perché lasciavo una fidanzata della quale ero innamorato pazzo».
E come andò?
«Male. Quattro mesi dopo mia madre decise di tornare in Italia con due dei fratelli. Io rimasi con mio padre».
Miti di gioventù? Cantanti, attori…
«Elvis Presley. Domenico Modugno. Brigitte Bardot. Marilyn Monroe. Niagara l’ho visto 16 volte. Lei con quell’abito bagnato, con quel corpo straordinario…».
Sembri sempre molto interessato alle donne.
«Non voglio essere immodesto. Ho avuto tante avventure, tante storie. Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa, mi disse una volta: “Tu sei un voleur, un ladro di cuori. Sicuramente ami e soffri per amore, ma senti il bisogno di cambiare”».
Mogli?
«Praticamente tre. Con la prima non formalizzammo mai. Si chiamava Nicoletta, una ragazza stupenda, somigliava a Patty Pravo, la gente le chiedeva l’autografo. Voleva che ci sposassimo. Al mio rifiuto mi lasciò dalla mattina alla sera. Gianna, la mia prima moglie, un matrimonio andato male per incompatibilità di carattere. Ma Fuurio, nostro figlio, è straordinario».
E adesso Daniela Vergara, bella conduttrice del Tg2.
«Con Daniela va alla grande anche se ci vediamo pochissimo».
Tu lavori quando lei dorme e lei lavora quando tu dormi.
«Ci rifacciamo l’estate».
Tu sei un infedele, dicono…
«Se io oggi avessi delle storie non le racconterei certo a te, nonostante tu sia una persona che stimo moltissimo e che seguo in tutto il suo lavoro veramente di ottimo livello. Quindi ti parlo delle esperienze precedenti. L’infedeltà è stata una caratteristica costante della mia esistenza. Contemporaneamente ho preso delle cotte pazzesche, sono stato innamorato fino ai limiti della follia».
Tipo?
«Prima di partire per l’Argentina conobbi una meravigliosa ragazza, Paola Pampana, che poi avrebbe fatto una brillante carriera politica con i liberali. Mi innamorai follemente. Io stavo a Tirrenia e lei a Marina di Pisa. La notte facevo finta di andare a letto e poi scendevo dalla finestra per incontrarmi con lei. Un altro amore da pazzia assoluta fu con Annabella, una ragazza che avevo conosciuto in Argentina, figlia di uno degli uomini più in vista di Rosario. Ci incontravamo grazie all’aiuto di Adone, l’autista di mio padre, il mio migliore amico. Adone mi approntava come garçonniere l’anticamera dell’ufficio di papà al consolato generale d’Italia, prendeva dei cuscini dal salotto, portava le lenzuola da casa sua e poi, per sicurezza, metteva delle biciclette contro le porte nel caso ci fosse un arrivo improvviso di mio padre».
Tuo padre non sapeva nulla?
«Questo è sempre stato un segreto tra me, l’adorata Annabella, l’adorato Adone. Mio padre non l’hai mai saputo. Se in Paradiso si legge Sette, lo saprà adesso».
Gli ottimisti come te a volte prendono delle tranvate.
«La prima delusione è essere scambiato per adulatore. L’altra è che qualcuno spesso ha pensato che il mio ottimismo fosse bonomia, superficialità. Quando dirigevo il Gr1 vennero due del comitato di redazione a dirmi che dovevo fare vicedirettore Empedocle Mafia. Si meravigliarono quando dissi che trovavo sconcertante la loro pretesa. Convocarono un’assemblea e mi votarono contro. E si meravigliarono che il giorno dopo io fossi ancora là a lavorare e non avessi dato le dimissioni».
Hai mai avuto amori aziendali?
«È un errore clamoroso lavorare e amare nello stesso luogo».
Con Daniela è amore aziendale.
«Per purissima combinazione. Quando ci siamo conosciuti Daniela lavorava in un’agenzia e io alla Stampa. Mi innamorai della sua bellissima voce».
Sei geloso?
«Sì. Sono figlio di siciliano. Ho sangue caliente. Impazzirei se scoprissi una tresca tra te e Daniela».
Che cosa faresti?
«Te menerei. Poi menerei Daniela».
Hai mai dato motivo a Daniela di essere gelosa?
«Una volta. Una storia che mise in crisi il mio matrimonio».
Daniela è mai stata gelosa di Mara Venier?
«Sì. C’era una straordinaria complicità, una fantastica amicizia con Mara. Ci vedevamo, ci abbracciavamo, ci sbracavamo sul divano. Era un rapporto molto coinvolgente che forse metteva un po’ in ombra Daniela».
Definisci le tue partner professionali.
«Mara Venier: bellissima, bravissima, molto esuberante. Livia Azzariti: bella, colta, freddina. Antonella Clerici: estroversa, calorosa, giocherellona».
Freddina Livia Azzariti?
«Mi fai un piacere? Puoi scrivere “falsa fredda”? Si può dire?».
Si può dire, ma mi pare peggio.
«Apparentemente fredda?».
Apparentemente fredda va meglio.
«Paola Saluzzi: molto molto molto amica, complice, anzi complicissima. Si può dire complicissima?».
Il superlativo è il tuo regno.
«Capua: bravissima, simpaticissima, molto molto molto signora».
Sempre donne splendide…
«Sono fortunato. L’unica nota stonata fu Italia Sera. Ero senza partner. Guarda questa foto».
Come mai stai parlando con Pinocchio?
«Era una gag, un mio dialogo con Pinocchio. Fu stupidamente interrotto dal direttore di Rai Uno Giovanni Tantillo, perché doveva partire Pinocchio di Gad Lerner. Mi fece incazzare da morire. Il mio dialogo con Pinocchio aveva dei picchi di ascolto straordinari. Lo interruppero».
E tu?
«Io dissi a Tantillo: “Obbedisco ma sappi che sono straincazzato”».
Ma allora anche tu sei fumantino.
«Mi incazzo poche volte, ma quando lo faccio, lo faccio di brutto».
Perché giravi con quegli occhiali colorati?
«Era un gioco d’amore. Chiedo scusa all’adorata Daniela ma nasceva da una grande simpatia che avevo per un’ottica. Si chiamava Eleonora. Daniela non la può nemmeno sentire nominare. Ma tanto non è successo un cavolo».
Tu sei entrato in Rai in quota Psdi.
«Biagio Agnes, presidente della Rai, mi aveva chiamato per dirigere il Gr1. Secondo le regole non scritte doveva spettare al Psdi. L’alalora segretario Nicolazzi disse: “Non è dei nostri ma noi rinunciamo alla nostra casella”».
Tu per chi votavi allora?
«Per il Psi».
E adesso?
«Sono un liberal moderato, un kennediano, un clintoniano, un pragmatico. Non c’è un partito che rappresenti il liberal che io sono».
Tu sei adulato?
«Se in una giornata normale, in particolare nei week-end, giro per strada, vengo fermato in media da una ventina di persone. Tra queste venti persone ce ne sono cinque o sei che cominciano: “Come è simpatico! Che bella trasmissione Uno Mattina!”. E poi, subito dopo, arriva la richiesta, un prodotto, un’idea, una comparsata».
A uno come te chiedere il nome di un voltagabbana, di un adulatore è fare una violenza terribile…
«Un adulatore… un voltagabbana… non lo so, proprio non te lo saprei dire…».
Immaginavo. Ti faccio dei nomi io. Carrara, il neoeletto di Di Pietro passato subito con Berlusconi.
«Chi è? Confesso la mia ignoranza».
Immaginavo. Paolo Guzzanti. Passato da Repubblica al Giornale.
«No, no. Ha fatto un bel salto ma voltagabbana mi sembra troppo forte».
Scognamiglio. Passato dal Polo al centro-sinistra.
«Ma pover’uomo, non lo ricorda più nessuno, lasciamo tranquillo».
Dotti. Passato da Forza Italia al centro-sinistra.
«La sua storia l’ho seguita poco. Non saprei rispondere né sì né no».
Renzo Foa. Passato dall’Unità al Giornale.
«Ecco, la sua vicenda professionale mi ha lasciato molto sconcertato. Il suo passaggio è legittimo ma piuttosto grosso».
Furio Colombo. Passato dalla Fiat all’Unità.
«Era in buonissima fede allora com’è in buonissima fede oggi. Furio è un uomo di notevolissima dirittura e di grandissima preparazione. Non lo metterei tra i voltagabbana. Capisco che il passaggio da uomo Fiat a difensore dei lavoratori è grande».
Rovesciamo il problema: sei stato collega di Furio Colombo alla Stampa. Oggi ti vedresti al suo fianco all’Unità?
«No, ma non mi sentirei nemmeno a fianco di Paolo Guzzanti al Giornale. Sono salti del tutto legittimi ma sicuramente sorprendenti».
Paolo Liguori. Passato da Lotta Continua a Berlusconi.
«Ricordo un terrificante congresso di Lotta Continua, quegli orrendi inni… lotta di popolo armata… Paolo Liguori non è un voltagabbana. È un collega che si è ravveduto».
Lamberto Dini. Da premier indicato da Berlusconi a ministro ulivista.
«In politica abbiamo visto anche di peggio».
Ferdinando Adornato. Da estremista di sinistra a berlusconiano.
«Sì… Adornato è sconcertante».
Parliamo di adulatori? Galliani, quando ritirò la squadra a Marsiglia (ricordi? Si erano rotti i riflettori) disse che Berlusconi non sapeva nulla, che tutta la colpa era sua. Adulazione?
«Atto eroico anche se poco credibile. Secondo me questi consiglieri, questi amici del principe sbagliano. Un errore può capitare a tutti, perfino al presidente del Consiglio».
Che ne pensi di Berlusconi?
«Mi sembra uno che rischia in prima persona, che si dà da fare. Se farà bene lo voterò, se farà male non lo voterò».
Come uomo di spettacolo…
«Mi dispiace che tu dica uomo di spettacolo».
Tu non sei un giornalista come tutti gli altri.
«Se do quest’impressione vuol dire che ho sbagliato».
Ho letto che il tuo sogno è fare una striscia di satira.
«Oh, meno male che me lo hai chiesto, sono contento, non osavo chiederti di chiedermelo».
Vuoi fare la concorrenza ad Antonio Ricci?
«Se i dirigenti della Rai mi danno fiducia, in due anni quelli di Striscia li batto. Ti dirò di più, credo di essere uno dei pochi in grado di farlo».
Gioco della torre. Sarà un dramma. Tu non butterai dalla torre nessuno. Mimun o Mentana?
«Mentana evidente. Non butto il mio direttore, è un mio carissimo amico…».
Mentana potrebbe essere un giorno il tuo direttore.
«Spero che Mentana sia intelligente e dimentichi. Butto Mentana ma gli voglio un bene enorme».
D’Alema o Cofferati?
«Butto D’Alema. Cofferati è la grande novità della sinistra».
Belpietro o Feltri?
«Butto Feltri. Rifiuta sempre i nostri inviti a Uno Mattina».
Il Riformista o il Foglio?
«Butto il Riformista. Mi sembra piatto, fiacco, sta deludendo le attese».
C’è un giornalista che non ti piace?
«Non vorrei dare una risposta diplomatica…».
Mi sacrifico. Dimmi qualcosa di sgradevole…
«Sì. Hai una fama immeritata».
Cioè?
«Dicono che cerchi di mettere in difficoltà l’intervistato. Invece sei un giornalista che ama il suo lavoro, lo fa con molto scrupolo, si documenta, dedica quattro ore di intervista a un vecchio collega».
Sei inguaribile. Ti avevo chiesto una cosa sgradevole.
«Come si fa a dire una cosa negativa nei tuoi confronti?».
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