- 7 Agosto 2003
"Titolare della vita più strampalata del secolo". La definizione è di Giancarlo Perna. Lino Jannuzzi è una specie di Ernest Hemingway con la pummarola ‘ncoppa. Nato dalle parti di Avellino, principe della goliardia, levatrice di grandi politici della Prima repubblica, consigliere di quelli della Seconda, giornalista autore di clamorosi scoop come lo scandalo Sifar, appassionato di corride, sceneggiatore di film di successo. Vini, poker, donne pazze, lussi sfrenati, auto sportive, sigari, Pamplona, Grand Hotel. Settant’anni di finzioni e di avventure, recita il titolo di un libro, Dell’Utri editore, 300 copie "su carta speciale Hahnemuhle", scritto da Mattia Feltri e accompagnato dai disegni di Vincino. Finzioni e avventure che Jannuzzi smentisce con poca convinzione e molto orgoglio. Tra la realtà e Lino c’è un rapporto ambiguo, giocato sul filo dell’ironia. È un agente del Kgb? Ha avuto una folle storia con Marina Ripa di Meana? Ha rapito Josephine Baker? Ha invaso San Marino e la Jugoslavia? È stato il maestro di Bettino Craxi? È l’uomo che consiglia Giuliano Ferrara, il consigliere di Silvio Berlusconi? Forse. La vita di Jannuzzi è la sceneggiatura di una storia a metà tra James Bond e Groucho Marx. È sempre Giancarlo Perna che parla: "Lino Jannuzzi ha passato i primi trent’anni a non fare un tubo, gli altri vent’anni a fare il giornalista e da 50 anni in poi ha fatto di tutto".
Confermi, Lino?
"Si potrebbe dire il contrario: i primi trent’anni ho fatto di tutto. Poi ho fatto il giornalista, cioè poco. E infine il senatore, niente del tutto. La mia vita ha due codici di lettura".
Un po’ giornalista e un po’ romanziere. Inventavi molte delle cose che scrivevi. Raccontavi colloqui tra Nenni e Moro ai quali non avevi assistito.
"Peggio. Raccontavo che Nenni dopo estenuanti trattative si addormentava su una panchina e sognava. E io raccontavo il sogno".
Fiction.
"Non si è mai saputo se Nenni me l’aveva raccontato davvero o io me l’ero inventato".
Adesso lo puoi dire.
"Adesso non me lo ricordo più. Sono passati quarant’anni".
Quel libro è un atto di narcisismo?
"Una bellissima storia piena di cose inventate, un po’ da Mattia, un po’ da Giuliano".
Che cosa per esempio?
"Leggende e miti della mia vita goliardica, esagerazioni, qualche avventura cosiddetta passionale".
Tipo Marina Lante della Rovere?
"Appunto".
Parliamone.
"Non c’è niente da dire".
Il corpo nudo di lei cosparso di petali di rosa (o di biglietti da centomila, secondo le versioni).
"Fregnacce. Devo tutto al libro che ha scritto quella matta con l’aiuto di Beppe Catalano".
E i tre giorni e le tre notti al Grand Hotel, senza mai uscire?
"Semmai siamo stati a Pamplona. Io, Beppe Catalano, il pittore, l’industriale tessile, la giovane giornalista e Marina. Fu incredibile. Successe tutto come in Fiesta, il romanzo di Hemingway".
E i chili di gioielli che le hai regalato?
"Glieli avrei regalati volentieri se fossi stato un riccone. Ma in vita mia ho regalato al massimo qualche mazzo di fiori".
A domanda hai risposto: "In senso stretto e rigoroso non ho mai tradito mia moglie. In senso lato due volte".
"La verità è che sono sposato da 46 anni con Mariolina, gentile, simpatica e brava signora. E ho tre magnifici figli".
Perché Marina dovrebbe inventarsi che sei stato il suo grande amore?
"Perché è matta, simpatica, generosa e mitomane. Ma anche lei parla solo di Pamplona".
Stai scherzando. Racconta tutto. A partire dal Grand Hotel.
"Fantasie. Nel Grand Hotel ci sarebbe stata la separazione, e nel mito lei avrebbe sfasciato la stanza e avrebbe buttato dalla finestra un paralume. Poi, tra l’altro, siccome mi conoscevano, non me l’hanno nemmeno fatto pagare".
Sei un narciso. Adori che la gente parli di te.
"Diciamo che ho una buona opinione di me. Ho dato anche molti argomenti. Sono diventato Principe della goliardia giovanissimo. Poi capo degli studenti. Poi fondatore dell’Unione goliardica italiana. Ho fatto il primo giornale universitario che sia uscito a Napoli dopo il fascismo. Ho fatto lo scoop del Sifar, il senatore, il cinema con Francesco Rosi, la televisione con Giuliano Ferrara. Male o bene ero sempre sul proscenio".
Ugo La Malfa disse che chiunque può dire di te una cosa molto cattiva e una molto buona.
"Forse l’ha detto una sera che era incazzato giocando a tressette. Mi costringeva a giocare in coppia con lui. Ma io non sapevo giocare e lo facevo sempre perdere".
Che cosa cattiva si può dire di te?
"L’unica cosa che mi ferirebbe a morte è sentire uno che dice che sono un cretino. Ma non l’hanno detto nemmeno i miei peggiori nemici".
Nemmeno Scalfari.
"Scalfari non è un mio nemico. È stato grande direttore, grande editore e grande amministratore. L’espresso vendeva al massimo 80 mila copie. Alla fine dell’anno se il buon Gianni Agnelli non dava qualche liretta a suo cognato Caracciolo, la situazione era grigia. Scalfari lo trasformò in magazine e saltò a 400 mila copie".
Vivevate in simbiosi.
"Io non mettevo bocca nei suoi articoli sull’economia. E lui mi lasciava mano libera in quelli miei sulla politica. Lui di politica non ha mai capito nulla. È troppo moralista".
Vi volete ancora bene?
"Sono passati 28 anni dalla rottura. Ma né Repubblica, né L’Espresso, che parlano male di tutti, hanno mai scritto una parola contro di me".
Com’è possibile che due uomini che hanno fatto un tratto di vita insieme, entrambi di cultura radicale?
"Siamo stati entrambi legati a Pannunzio. Ma io a Pannunzio piacevo, Eugenio no".
Com’è possibile che siate finiti su sponde opposte?
"Io non sono cambiato. Eugenio invece ha scelto di collocarsi editorialmente sempre più a sinistra. Ha fatto bene. Se avesse fatto un giornale meno di sinistra non avrebbe avuto il successo che ha avuto".
Uno di voi due è un voltagabbana.
"Nego. Ci sono delle continuità che si sviluppano coerentemente. A me si è sviluppato l’anarcoliberalsocialismo. A Eugenio il moralsocialismo. Poi, col maggioritario, è arrivata la mannaia. Zac! O di qua o di là. Se ci fosse ancora un partito socialista con una sua autonomia, io e Scalfari staremmo lì entrambi".
Ma non c’è. Zac!
"La mannaia. E basta chiacchiere".
Adesso il tuo amico è Giuliano Ferrara.
"Ferrara è rimasto stalinista. Una questione di carattere oltre che di intelligenza. Non potevano che piacergli Stalin, Craxi e Berlusconi. E mai moderato. Sempre estremista".
Ma ha cominciato a trattar male gli amici. Paolo Franchi, Emanuele Macaluso?
"È stata la guerra in Irak. Si è messo la divisa da marine".
Prima o poi attacca anche te.
"Gliel’ho detto: sento che te la prenderai anche con me. Finché non critico l’America e la guerra sono al sicuro. Ma pavento. Per questo i suoi articoli li faccio leggere prima a mia moglie".
Ti piacciono i politici di oggi?
"La mediocrità di quelli che stanno al governo è palese. Il peggio di tutti è Sirchia. È arrivato a dire che bisogna togliere quelli che fumano anche dai film. Censuriamo Casablanca? I tecnici non possono fare i ministri".
Così adesso ti querela.
"Ricevo due querele al mese. Ma solo dai giudici. E naturalmente mi condannano. È ingiusto. Vorrei essere giudicato non dai loro colleghi ma da un tribunale più equo, misto, con qualche "laico", qualche professore universitario".
Chi non ti piace a destra?
"I clericali sono insopportabili. Solo perché Berlusconi ha le zie monache pretendono che Forza Italia faccia qualsiasi cosa dica la Chiesa".
Dimmi un nome.
"Uno di quelli che più si agita, ma è abbastanza caricaturale, è il senatore Pedrizzi, An. Mi riesce perfino simpatico tanto è fuori tempo".
Sei sempre stato "anarcoliberalsocialista"?
"Fin da ragazzino. La mia adesione al mondo occidentale, la mia avversione al sovietismo, nasce nel settembre del 1943, con l’arrivo a Napoli della Quinta armata del generale Clark che ci portò la libertà, il pane, le sigarette, il boogie woogie suonato da Glen Miller al San Carlo, Marlène Dietrich. Avevo 15 anni".
Eri precoce.
"Sono entrato all’università a 16 anni, avevo saltato un po’ di anni".
Subito goliardia.
"Che era politica. Le prime elezioni universitarie a Napoli le vinsi con uno slogan anti Guf: "Se lo sport è salute viva la tisi". Quelli che sono passati sotto di me, sui quali ho influito, erano Craxi, Cicchitto, De Michelis, Del Pennino. Li ho cresciuti io, nel bene e nel male".
Occhetto racconta i tuoi mitici interventi.
"Nel suo libro Occhetto racconta che prendevo la parola a mezzanotte, parlavo sei ore, più di Fidel Castro; Smettevo solo alle prime luci dell’alba quando cominciavano a cantare le allodole. Ero un grande oratore".
Rapiste Josephine Baker, invadeste San Marino e la Jugoslavia.
"Caduto il fascismo riscoprimmo le libertà goliardiche. Eravamo sempre un po’ sbronzi, convinti che si potesse fare qualsiasi cosa, anche azzardata. Come quando al Congresso del Partito socialista a Bologna finsi di essere un vietnamita che portava i saluti del compagno Ho Chi-min".
Dicono che i soldi ve li desse la Cia.
"Ti ricordi l’Associazione per la libertà della cultura di Ignazio Silone? Aveva la centrale a Parigi e riuniva tutti gli intellettuali anticomunisti. I soldi ce li davano loro, ma erano pochi. Risalendo per i rami si potrebbe sostenere che i servizi americani fossero interessati a finanziare attività culturali da contrapporre all’egemonia comunista allora schiacciante".
Le tre cose importanti per te: la politica, il poker, le donne.
"Invenzione pura".
Parliamo del poker.
"Ci sono stati momenti intensi. Facevamo stagioni che duravano un mese. Tutte le notti per trenta giorni di seguito. Con Celentano, Bertolucci, la moglie del povero Corbucci, Giancarla Rosi, accanita ma pessima giocatrice, Sophia Loren, l’ottimo Renato Salvatori, Jas Gawronski che vinceva sempre".
Adesso Gawronski gioca con Caracciolo, Melega e Rinaldi.
"Giocano spiccioli".
Hai mai scritto un discorso di Berlusconi?
"Mai. Le cose veramente importanti le scrive Giuliano Ferrara. Ora però sta esagerando. Se le scrive e se le manda al Foglio".
Quali sono i tuoi rapporti con Berlusconi?
"L’ho conosciuto a casa di Lina Wertmüller, che stava girando un film con Veronica Lario. Veronica correva per tutto il film inseguita dal marito, Nino Manfredi, che la voleva picchiare. Era già incinta e la Wertmüller sembrava che facesse l’impossibile per farla abortire. Silvio Berlusconi veniva tutte le sere in aereo da Milano a cenare da Lina e Veronica. Però passava tutta la sera al telefono per avere i dati di quanto facevano le sue reti e quanto faceva la Rai. E si parlava solo di quello".
Gioco della torre.
"Non posso. Vuoi che uno che va a pranzo con Lucky Luciano e Michele Greco butti la gente dalla torre? Io non butto dalla torre nessuno. Nemmeno quello che mi sta veramente sulla palle".
E chi sarebbe?
"Non te lo dirò mai".
Lo dico io, Marcello Pera, tuo compagno di gruppo e di partito.
"Bravo. Hai indovinato. Lui dalla torre lo butterei. Non aggiungo altro".
Santoro o Floris?
"Butto Floris, Santoro tutto sommato mi piace. L’unica volta che mi ha invitato, sul processo Dell’Utri, ha fatto parlare solo me".
Socci o Veneziani?
"Salvo Socci. Anche se è un po’ pesante con le sue madonne".
Vespa o Costanzo?
"Butto Costanzo. La sua trasmissione proprio non mi piace".
Non ti piace il suo impegno antimafia.
"Figurati. In tutti questi anni ho fatto una sola puntata, quella in cui ha bruciato la maglietta. E volevano pure ammazzarlo, poveraccio".
Guzzanti padre o Guzzanti figli?
"Butto i figli. Il padre sostiene che le carte per lo scandalo Sifar ce le ha date il Kgb. Io ho scritto un pezzo umoristico su Panorama, confessando di essere una spia sovietica. Lui l’ha preso sul serio. Ma gli voglio bene lo stesso".
Ha scritto che il Foglio più che alle grandi analisi tende all’Ambra Jovinelli.
"È peggio di Scalfari. Scrive troppo. Quando si riempiono paginate di giornale il rischio di dire cazzate aumenta a dismisura".
Bossi o Fini?
"Salvo Bossi. Nonostante le sue rozzezze ha un fiuto politico eccezionale".
Ricatta Forza Italia.
"Aveva ereditato la Dc padana e Berlusconi gli ha soffiato i due terzi dell’elettorato. Deve difendere quello che gli è rimasto con unghie e con denti".
Casini o Follini?
"Sono entrambi molto bravi. Il giorno che Berlusconi fosse costretto a lasciare Forza Italia, per ragioni nobili, la presidenza della Repubblica, o meno nobili, la galera, il loro gruppo è il più titolato a prenderne il posto".
Casini non mollerà Berlusconi prima?
"Casini vuole ereditare tutto, non farà mai l’errore di Dini di passare dall’altra parte. Se si sposa Azzurra Caltagirone, avrà anche un piccolo impero editoriale. Figurati se si gioca tutto questo per fare il presidente del Consiglio di un ribaltone e poi finire a elemosinare una vicepresidenza come Dini".
Amato o Martelli?
"Li butto tutti e due. Sono stati sleali con Craxi".
Chi peggio?
"Martelli peggio, ha tentato di fargli del male nel momento più delicato".
Travaglio o Maltese?
"Salvo Travaglio. È un mascalzone tremendo però la sua capacità di documentazione è eccezionale. Per il 90 per cento del materiale sul quale lavoro debbo ringraziare lui. Dico ai giovani giornalisti: imparate a documentarvi come si documenta questo ragazzino. Io ne sono ammirato. Se Travaglio dovesse smettere io sarei nei guai. Purtroppo si concentra su Mani Pulite. Avrei bisogno che si dedicasse di più alla Sicilia, mi farebbe più comodo".
Di Pietro o Flores d’Arcais?
"Salvo Di Pietro. Gliel’ho detto subito. Non preoccuparti. Io me la piglio solo con i giudici della mafia. A te ci pensa Ferrara".
L’unico giudice che salvi.
"Ma no. Ci sono giudici che il mondo ci invidia: Corrado Carnevale".
Previti o Dell’Utri?
"Mi butto io pur di difenderli".
Anche Previti?
"Da quando l’hanno condannato mi è diventato simpatico. Prima non lo frequentavo".
L’hai invitato a cena.
"Se gli danno altri undici anni lo invito anche a colazione"
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