- 9 Agosto 2003
Sono tutti buoni quelli che si definiscono buoni? Secondo Mario Giordano, direttore di Studio Aperto, ex grillo parlante delle trasmissioni di Gad Lerner, è meglio andare a verificare che cosa si nasconde dietro molte delle organizzazioni e delle operazioni che si definiscono di beneficenza. E ne è uscito un libro di 220 pagine, sottotitolato "truffe e bugie nascoste dietro la solidarietà", in cui Giordano passa in rassegna tutti quegli appelli alla bontà che producono miliardi che alla fine non si capisce bene dove vadano a finire. Diceva G.B. Show: "I ricchi fanno la beneficenza, ma anche la beneficenza fa i ricchi". Sei d’accordo?
"Un po’ è una boutade e un po’ è vero".
Tu denunci tutta la beneficenza? Tutta la solidarietà?
"No. Il mio è un invito a denunciare le cose che non funzionano affinché se ne avvantaggino quelli che fanno la beneficenza vera, e che sono la maggioranza".
Percentualmente quanta truffa c’è?
"Diciamo che una buona metà è falsa bontà".
Stare attenti ai buoni è possibile?
"Il libro finisce con un decalogo scherzoso. Ma ci sono almeno due accorgimenti: il primo è non dare mai una lira a chi non pubblica i propri bilanci. Un’associazione che non pubblica il proprio bilancio nel sito internet non merita nulla. Secondo: non accorrere in massa alla cose di grande impatto emotivo. Più di cento raccolte per il terremoto in Molise sono un’esagerazione. Oppure correre tutti in Afghanistan e fregarsene dei bambini che saltano sulle mine in Mozambico".
Il caso più eclatante di falsi buoni?
"Ovviamente è stata l’operazione Arcobaleno. La dimostrazione di come far male il bene può far male. Poi ci sono anche storie più piccole ma altrettanto incredibili. Per esempio i mille e duecento milioni di lire raccolti con le boccettine del panettiere per una bambina di nome Alice che si doveva operare a un polmone e in realtà quell’operazione non è mai stata fatta. Una storia che fa altrettanto male dei grandi scandali".
L’associazione che ti ha colpito di più?
"Complessivamente la Croce Rossa. Ha nel suo passato recente alcune magagne enormi. Soldi raccolti per interventi d’urgenza per il terremoto in Irpinia nel 1980 che venti anni dopo erano ancora lì, depositati in banca. Operazioni come quelli della cantante Amii Stewart, dieci concerti per raccogliere fondi per l’Etiopia e l’Eritrea che si sono chiusi con una perdita di 17 milioni coperta togliendo soldi già destinati all’Africa".
I cantanti ci marciano con la beneficenza?
"In quel caso Amii Stewart si beccò 119 milioni, più tutta la pubblicità gratis al suo disco".
E Telethon?
"Da quello che mi risulta è una di quelle iniziative che funziona meno peggio. Anche se c’è gente che ci guadagna milioni attraverso il meccanismo dei diritti d’autore. Michele Guardì, autore della trasmissione, guadagna 153 mila lire a minuto per una trasmissione che dura 30 ore".
Produrre beneficenza, comunque, ha un costo.
"Dovrebbe costare attorno al 20-30 per cento. Cioè ogni 100 lire raccolte 70-80 dovrebbero andare ai beneficiati e 20-30 all’organizzazione. L’Unicef con me si è vantata di costare solo il 40 per cento. A me sembra ignobile. Giro per l’Italia e incontro piccole associazioni che costano addirittura l’uno per cento".
C’è un capitolo nel tuo libro dedicato anche all’otto per mille.
"Trovo scorretto usare immagini che dicono una cosa diversa rispetto all’uso che si fa dei soldi. I soldi hanno usi legittimi ma diversi da quelli pubblicizzati. Vuoi ristrutturare la cattedrale? Giusto. Ma non chiedere soldi in nome dei bambini affamati dell’Angola".
Forse se chiedi soldi per le cattedrali, non te li danno.
"Bisogna imparare a crescere, vogliamo essere considerati maturi e non degli analfabeti della beneficenza".
Qual è la somma totale che si raccoglie ogni anno in Italia per la beneficenza?
"Una somma pari al fatturato della Telecom. A livello mondiale è il Pil di un grande Paese come il Brasile".
Sono più falsi i "buoni" cattolici o quelli laici?
"Io vengo dal mondo cattolico e quindi mi dispiace ammettere che non c’è differenza. Con l’aggravante che dai cattolici mi aspetterei un comportamento migliore. Se tu pensi che cosa c’è dietro Padre Pio!"
Tu scrivi che un volontario costa molto più di un profugo.
"Nel caso Arcobaleno i 6211 volontari sono costati ognuno 200 mila lire al giorno. I profughi sono costati 38 mila lire al giorno. Per ogni 100 lire versati a chi soffriva ne sono state spese 500 per mantenere i professionisti dell’antisofferenza".
Le partite del cuore?
"I fondi raccolti per l’alluvione di Sarno sono ancora fermi sui conti correnti del Banco di Napoli. Quelli per le vittime di Linate sono finiti non ai parenti delle vittime di Linate ma, chissà perché, alle società sportive professionistiche di Milano. Una prodezza dell’assessore Brandirali. E pensare che l’unico sopravvissuto, bisognoso di cure, non essendo morto, non ha visto una lira".
Molti fanno beneficenza per ottenere visibilità. Sono spregevoli come quelli che ci guadagnano?
"Sì. Se uso il caso umano per organizzare una festa, una sfilata, per esibire un gioiello della casa che mi paga, è la stessa cosa. Sempre guadagno è".
Leggendo il tuo libro si ha l’impressione che tu faccia di ogni erba un fascio quando citi il commercio equosolidale e Emergency. Come fai a metterli sullo stesso piano delle truffe e delle bugie nascoste dietro la solidarietà?
"Io non li ho messi sullo stesso piano. Sarebbe stato fuorviante. Nel caso di Emergency ho voluto semplicemente evidenziare il possibile uso politico del bene mettendo in guardia la gente da una possibile strumentalizzazione".
Emergency fa cose meravigliose.
"Certo. Ma io mi limito a criticare Gino Strada quando dice che Bush è un terrorista come Bin Laden".
E il commercio equosolidale?
"E’ un altro discorso ancora. E’ però sempre un campanello di allarme che voglio suonare. L’importante è capire dove c’è volontariato puro e dove c’è business. Ma è chiaro che non c’è nulla di male se io per gestire un ospizio mi organizzo come impresa. Però è un’altra cosa. Ricerche recenti stanno rivelando che il volontariato sta diminuendo".
Però, essendo il tuo un libro di denuncia, sembra che tu metta tutto sullo stesso piano.
"Sono sassi che butto nello stagno sperando di provocare tante onde. Ma ogni onda è diversa dall’altra".
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