- 30 Agosto 2003
Un po’ inventa: scrive gialli e thriller che hanno grande successo in libreria. Un po’ analizza: racconta irrisolti misteri italiani nella sua fortunata serie "Blu Notte" in televisione. Carlo Lucarelli presenta oggi pomeriggio a Lavarone l’ultima sua opera, "Il lato sinistro del cuore", Einaudi editore, raccolta di 53 racconti.
E’ più interessante inventare gialli o analizzare misteri?
"E’ molto più divertente e più facile la fantasia. Ti porta dove vuole lei. Tu scopri le cose man mano che vai avanti".
E indovini sempre chi è l’assassino.
"Mica sempre. Alla fine la storia finisce come piace al libro. Il libro ti prende la mano. Io non so mai che cosa succede alla fine. All’inizio ignoro perfino chi sia l’assassino. Lo scopro mentre scrivo. Molte volte sono in disaccordo con la storia, quando prende una piega che non mi piace molto".
Che cosa è un giallo per la gente?
"Tante cose. Un fatto narrativo, un bellissimo modo per raccontare delle storie. Perché si basa su alcuni degli espedienti tipici della narrazione: il senso del mistero, la suspense, il colpo di scena. Poi al di là della morbosità ci sono altre cose, la morte, la menzogna, la verità, la giustizia. Infine il giallo ha un modo particolare di vedere queste cose, che è attraverso la metà oscura delle cose".
Spiegati meglio.
"Passa dall’altra strada che non è quella normale. Vuoi analizzare un pezzettino della società? Non lo fai attraverso quello che vedi tutti i giorni ma lo fai per esempio attraverso quello che vedi di notte".
Una delle critiche che fanno alla letteratura italiana è che si parla addosso, che non ha plot, trama, non racconta storie.
"Il giallo ha chiuso due buchi nella narrativa italiana. Il primo era quello della mancanza di storie. Se vuoi creare tensione attraverso colpi di scena, devi per forza raccontare eventi. Noi siamo sempre stati obbligati a creare trame e possibilmente trame che creassero emozioni".
Il secondo buco?
"Il giallo anche quando è metafisico ha cose concrete: strade, città, vestiti, persone, cose reali. Mentre la letteratura italiana, in un certo periodo, parlava poco della realtà".
A volte nei tuoi programmi televisivi sembra che tu consideri misteri anche cose ormai assodate.
"Io racconto sempre con la tecnica del giallo. Lo faccio per non annoiare la gente. Ma c’è un altro motivo. Noi sappiamo sempre "quasi" tutto. Mai tutto. Fino ad ora una storia di cui si sappia tutto io non l’ho mai vista. Non c’è".
La verità non esiste?
"In Italia esistono almeno quattro verità. La verità giudiziaria, l’unica che si può raccontare senza venire querelato. Ma mica è detto che sia la verità. Poi c’è la verità storica. Ma viene revisionata. Poi c’è la verità del buon senso. Tipo Pasolini che diceva che lui sapeva anche se non aveva le prove. Infine la verità politica. Un bel macello. Come si fa a dire che c’è una storia di cui si sa tutto? Se pensi che non ci si può mai fidare di nessuno, nemmeno degli organi preposti all’accertamento della verità".
Ormai è verità giudiziaria che persone preposte all’accertamento della verità giudiziaria realizzavano verità giudiziarie false!
"E comunque sono verità giudiziarie di primo grado. Fra sei mesi quei giudici potrebbero essere assolti e noi querelati".
Ma non abbiamo fatto nomi. Il mistero più mistero di tutti?
"L’assassinio di Francesca Alinovi, 1983, professoressa del Dams uccisa, verità giudiziaria, da Ciancabilla, condannato a 16 anni. Ma troppe stranezze. Quadrano male gli orari. La dinamica dell’omicidio non va d’accordo col movente".
Quello in cui la verità giudiziaria si avvicina di meno alla tua opinione?
"La mano sul fuoco non si mette su nulla. Ma il caso di Massimo Carlotto, condannato per l’omicidio di una sua amica, Margherita Magello, è quello che mi lascia più perplesso. Durante i vari processi ci furono molte prove a discarico che per un insieme di eventi sfortunati non sono riusciti ad ammettere. Nelle aule universitarie il caso Carlotto è diventato un caso di scuola. Lo chiamano "sfiga giudiziaria"."
Una volta nei gialli l’assassino era sempre il maggiordomo. Adesso?
"Ormai di insospettabile non c’è più nessuno".
Sono diventati tutti maggiordomi.
"Ci sono ancora alcune categorie di personaggi in cui è più facile nascondere l’assassino. La migliore è quella delle donne e delle giovinette fragili. Molte assassine, nei romanzi e nei film gialli, sono fanciulle tenere che alla fine si rivelano jene".
Il giallo è di destra o di sinistra?
"C’è una tendenza fisiologica del giallo ad essere di sinistra. Proprio perché è spesso critico, è un romanzo sociale di denuncia. Scrivi sempre di ciò che non funziona. Forse sono ideologico, ma queste cose appartengono alla sinistra".
C’è più criminalità oggi?
"Direi no. Se ne parla di più. Poi ci sono i periodi. Ad un certo punto c’è stato il periodo delle madri assassine. Cinque o sei una vicina all’altra. Sembrava ci fosse una follia collettiva delle mamme. Adesso che è successo? Le mamme non uccidono più i figli? Invece no, succedono ancora, ma non se ne parla".
Forse perché Vespa è in vacanza. Come mai tu non vai mai a Porta a Porta?
"Mi hanno invitato ma non potevo. Eppoi, che cosa vai a dire? Non si sa nulla. Finché non comincia il processo si sanno solo le indiscrezioni giornalistiche. Ci sono persino cinque possibili armi del delitto. Poi c’è anche un altro motivo. A me gli omicidi con i bambini non piacciono. Mi fanno impressione. Non hai notato? I bambini non vengono mai assassinati nei mie romanzi".
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