- 29 Maggio 2003
«Em. Ma.» non è una donna. E’ un vecchio e distinto signore che ha contribuito a fare la storia del Partito comunista italiano, Emanuele Macaluso (Em. Ma., dalle sue iniziali appunto). Non un ortodosso, spesso un eretico, quasi sempre un rompiscatole pronto a dire la sua su tutto anche a costo di andare contro la linea del partito. Em. Ma. è il suo «nome de plume» con il quale firmava i suoi corsivi sull’Unità e adesso firma la sua rubrica sul Riformista. Em. Ma. è riformista, anzi migliorista, due aggettivi che una volta erano offensivi. Oggi sono tutti riformisti, come sono tutti liberali, specie a sinistra, salvo poi spezzare il capello in dodici pur di essere divisi. Lo stesso Riformista, il giornale arancione diretto da Antonio Polito, è attaccato più da sinistra che da destra. Sergio Cofferati lo ha definito «il succedaneo arancione». Come dire che l’originale è Il Foglio e il Riformista è solo una scopiazzatura. Giovanna Melandri ha detto che non lo legge, perché deve leggere Il Foglio. Meglio un nemico intelligente che un amico stupido.
Emanuele Macaluso si è buttato nella polemica a capofitto.
«Il Partito comunista della Terza Internazionale diceva che il nemico principale è quello che sta più vicino. La Melandri non viene dal Pci. Cofferati s?. Ma hanno avuto la stessa reazione».
E lei è partito in quarta. Dura la vita nel vostro partito.
«La mia vita nel partito non è stata mai difficile. Sono arrivato ai vertici molto giovane».
Mai avuto problemi con le sue «eresie»?
«La mia vocazione polemica non è stata mai punita. Ho votato contro Togliatti negli anni Sessanta ma non ebbi mai sanzioni».
Allora non è un vero contestatore.
«Una sanzione una volta l’ho avuta. Detti una intervista al Mondo per dire che bisognava spingere per una solidarietà nazionale con presidenza socialista. Enrico Berlinguer se la prese. Il Partito precis? che esprimevo solo opinioni personali».
C’era un motivo particolare?
«Segretario del Psi era Craxi. Per Berlinguer era un’ossessione. Quando Craxi divent? presidente del Consiglio, Berlinguer riteneva che la democrazia italiana fosse in pericolo».
Lei rimpiange la Prima Repubblica?
«Io rimpiango le sedi di confronto e di lotta politica che erano i partiti. Oggi non esistono luoghi dove si discute, si svolta, si dissente, si formano opinioni».
Sta criticando il partito azienda?
«Sto criticando il mio partito. Una volta la direzione del Pci era di 21 membri. Tutti avevano diritto alla parola. Adesso sono quasi 300, con un esecutivo di 70 persone. Due o tre persone dicono una cosa, poi si chiude e arrivederci e grazie».
E a destra?
«Forza Italia per molto tempo non ha nemmeno eletto il suo leader».
Meglio An?
«Mica tanto. Io ricordo che il Movimento sociale aveva dei politici notevoli: Almirante, Roberti, Valenzise, De Marsico. Venivano dal fascismo ma avevano un livello culturale che bisognava fronteggiare».
Questa destra non le piace.
«Mi piace poco. Io preferirei che Giuliano Ferrara facesse lui il presidente del Consiglio invece di fare il consigliori di Berlusconi».
Lei lo conosce bene.
«Conosco Giuliano da quando era ragazzino. Nel Pci il suo riferimento era il decisionismo di Amendola. Poi gli piacque il decisionismo craxiano».
E adesso quello berlusconiano?
«Berlusconi non è decisionista. Il decisionista in questo caso è Ferrara. Lo si capisce nei discorsi che scrive per lui».
Lei sa riconoscere Ferrara nei discorsi di Berlusconi?
«Sempre. La lettera sulla guerra pubblicata sul Foglio, l’ha scritta Ferrara senza dubbio».
Lei viene definito un politico spregiudicato.
«Non ho mai avuto pregiudizi. Da quando favorii, nel ’58 in Sicilia, di fronte allo stallo in cui si era venuta a creare la Dc, un governo tra gli scissionisti della Dc, il Msi e il Psi con l’appoggio esterno del Pci. Il famoso governo "milazziano", dal nome di Milazzo, l’uomo che lo ide?».
Nel resto d’Italia impazzavano le manifestazioni antifasciste.
«Io ritenevo che fosse importante dare un colpo alla Dc di Fanfani e Togliatti mi dette ragione. Le manifestazioni antifasciste, Tambroni, gli incidenti, i morti vennero dopo, nel 1960».
Nel suo partito ci furono resistenze?
«Le obiezioni vennero dal sindacato. Luciano Romagnoli, che era stato segretario delle Federbraccianti, e Novella, protestarono. Non ci si poteva alleare con i proprietari agricoli. Ma Togliatti disse: "Sono solo agricoltori un po’ più grossi"».
Che cosa ricorda della sua gioventù?
«Mio padre era ferroviere. Eravamo tre fratelli e facemmo tutti l’Istituto minerario. Per conto mio studiai legge, storia, letteratura. A Caltanissetta c’era un gruppo con una grande passione politica. Sciascia scrisse che Caltanissetta era l’Atene della Sicilia: Alessi, Pignato, Pompeo Colajanni, Granata, Gaetano Costa, Calogero Bonavia, Mario Farinella, Giannone, Gino Cortese. Al magistrale insegnava Vitaliano Brancati. In casa di Calogero Boccadutri, un minatore che si fece anche un po’ di galera, conobbi Elio Vittorini che nel 1942 venne a portare le ultime direttive del partito. "Armatevi", disse. Lo ricordo ancora, con i suoi sandali».
Lei si arm??
«No. Io stampavo un giornaletto clandestino e lo diffondevo insieme all’Unità».
Lei è finito in galera. Per amore.
«Per adulterio. Lei si chiamava Lina ed era sposata con una guardia municipale. Chiamarono il marito e gli dissero che se non mi denunciava lo avrebbero punito. Fui condannato a sei mesi e mezzo».
Anche il suo partito era bacchettone.
«Perfino il mio amico Boccadutri sent? il bisogno di sottoporre il mio caso ai dirigenti nazionali chiedendo se potevo avere incarichi di partito visto che vivevo con una donna sposata».
Il suo nome è saltato fuori nel dossier Mitrokhin.
«Quello sciagurato di Bruno Vespa disse a Porta a porta che ero una spia del Kgb».
Il suo nome nel dossier c’era.
«Come vittima delle spie dei sovietici. Appena vidi Porta a porta chiamai l’Ansa e dissi: "Querelo Vespa". Incalzato da Ferruccio de Bortoli Vespa mi fece le scuse subito, in diretta».
Che cosa era succcesso?
«Paolo Robotti, cognato di Togliatti, nonostante fosse stato addirittura torturato dal Kgb, era molto attaccato all’Urss. La considerava la patria vera, anche se deformata».
Che cosa c’entra Paolo Robotti?
«Venne in Sicilia per un anno e abit? da me. Voleva molto bene ai miei figli, era molto legato a noi. Io non sapevo che dava informazioni all’Unione Sovietica. E le dava anche su di me. Scrisse che io mi ero messo con una donna aristocratica, Ninni, la mamma di Fiora Pirri Ardizzone, che ero amico di La Cavera, il presidente degli industriali e di Galvano Lanza di Trabia, un latifondista».
Era vero?
«La Cavera fu uno dei protagonisti della vicenda "milazziana". Fu anche cacciato dalla Confindustria e dal Partito liberale. E diventammo amici». E Lanza di Trabia? «Nel 1946 guidai un’occupazione delle sue terre. Galvano decise di cedere e di fare un accordo con noi. Lo conobbi in quella occasione. Era un tipo incredibile: lui e suo fratello dilapidarono tutto il patrimonio, non rimase nulla. Campava della munificenza di Giovanni Agnelli che gli dava la presidenza di qualche piccola società siciliana. Era un uomo molto simpatico e molto interessato alla politica. Aveva letto tutto Trotzki. Si innamor? di me. Facevamo sempre grandi conversazioni».
Sul dossier Mitrokhin c’è anche la storia di una donna che si suicidò per lei.
«Erminia. Quando la mia storia con Lina stava finendo io incontrai la sorella di un mio carissimo amico, Eugenio Peggio. Era una donna fragile. Quando ci separammo lei ne soffrì molto e ad un certo punto si suicidò. È stato uno dei periodi più terribili della mia vita».
Si è mai sposato?
«Solo recentemente. Con Lina ho avuto due figli. Con Ninni, l’aristocratica, sono stato 20 anni. Adesso sto con Enza, da 15 anni. Ci siamo sposati da poco. Ma continuiamo a vivere in case separate. Ci tengo all’autonomia anche nella mia vita privata».
Col tempo la sua eresia divenne il «migliorismo». Dicevano di voi che eravate amici di Craxi.
«Alle elezioni del ’92 Folena, segretario regionale, decise di presentarsi capolista a Palermo, il mio collegio. Ci furono polemiche. Napolitano, Bufalini, Chiaromonte, lo stesso Ingrao, sostenevano che il capolista dovevo essere io. Ma tutte le federazioni siciliane, in mano ai foleniani, erano contro di me. Achille Occhetto, segretario del partito, e Massimo D’Alema, segretario dell’organizzazione, facevano i pesci in barile. Alla fine la direzione scelse me».
E fu eletto?
«No. Gli uomini di Folena fecero la campagna elettorale contro di me. Dicevano: appena eletto andrà con Craxi. Si prodigò particolarmente nelle calunnie una compagna, Calogera Sciascia (non parente), che è diventata sindaco di Sommatino. Il mese scorso ho scoperto che è passata con De Michelis».
Ecco la prima voltagabbana.
«Da allora non mi sono più presentato. Però scrivevo tutti i lunedì una rubrica sull’Unità. Walter Veltroni, il direttore, mi disse: "Ho deciso di abolire le rubriche". Rompevo troppo le scatole ad Occhetto. Così passai al Giorno».
Un po’ come Renzo Foa.
«Lui è finito al Giornale».
Sbagliato?
«Sbagliatissimo. Mi ha sorpreso, deluso, amareggiato. Non posso pensare che in lui sia maturata una cultura di destra. Ancora peggio ha fatto Nando Adornato. Era un ingraiano di ferro. Proprio non li capisco. Più sei in dissenso più devi lottare. Ma senza abbandonare i tuoi riferimenti essenziali. Non mi aspettavo voltafaccia del genere».
A lei hanno mai chiesto di scrivere per il Giornale?
«Sì. Ho risposto che erano dei folli».
Sul Giornale no, ma sul Foglio sì.
«Qualche lettera, cose sulla giustizia. Il Foglio è un’altra cosa, non è il Giornale».
Perché uno è voltagabbana?
«Per l’ambizione di fare il parlamentare, come Adornato. Per Guzzanti è questione di carattere. Ha un ego così sviluppato che dice delle cose incredibili. Una volta disse pubblicamente: "Quando si trovò il cadavere di Moro a La Repubblica fecero un brindisi". Tra qualche anno dirà di Berlusconi quello che dice oggi di Scalfari».
Lei è leader garantista della prima ora.
«Non ho mai accettato che ci sia una giustizia politica. Leggetevi che cosa scrisse il vecchio Napoleone Colajanni nel ‘900 nei confronti di Giolitti che usava le commissioni di confino a fini elettorali. La mafia si combatte solo sul terreno della legge. Falcone si muoveva su questa linea. Il Pci lo accusava di essersi messo dalla parte di Andreotti. L’Unità lo attaccò quando ci fu la sua candidatura a procuratore generale dell’antimafia».
E Caselli?
«È un magistrato corretto e onesto. Però ha preso dei dirizzoni sbagliati per il processo Andreotti. Dalla responsabilità politica a quella penale il passo è lungo. Ci vogliono le prove».
Per Pecorelli è stato condannato.
«Uno che ha affrontato il Pci, ha affrontato le inchieste parlamentari di Sindona, aveva paura che Pecorelli gli troncasse la carriera politica? Io rispetto le sentenze, non sono come Previti. Ma quella è una sentenza demenziale».
Allora non rispetta le sentenze. Per Forza Italia è demenziale anche la sentenza contro Previti.
«Ha ragione Mancuso. Se Berlusconi non molla Previti è perché non può permetterselo».
Quando lei era garantista, i garantisti di oggi erano giustizialisti.
«Berlusconi è diventato presidente del Consiglio sull’onda di quello che dicevano il Tg4, il Tg5. I Fede, i Brosio, i Pamparana. I garantisti pelosi».
Recentemente lei ha polemizzato con Nordio perché è andato a pranzo con Previti.
«Certo».
Fermo restando il diritto di ognuno di andare a cena con chi vuole, anche lei è andato a una festa di Jannuzzi. E c’era Previti.
«Sono andato alla festa, mi sono informato su chi c’era, ho lasciato un regalino, un libro, e me ne sono andato».
A proposito di voltagabbana, ad un certo punto voi avete imbarcato Misserville, ex Msi.
«Nel governo D’Alema. Ma deve pur esserci un limite all’opportunismo».
L’adulazione: ne vede molta in giro?
«Quella attorno a Berlusconi fa impressione. Bondi è stato sindaco comunista di Fivizzano. Era un migliorista come me. Mi sembra un debole, la sua è fragilità. C’è modo e modo di adulare».
A lei piaceva Craxi?
«Ha rivalutato la storia del socialismo e del Psi. Ne ha accentuato i caratteri di socialdemocrazia. Ha fatto un buon governo. Visentini alle Finanze, Martinazzoli alla Giustizia, Scalfaro agli Interni, Ruberti ai Beni Culturali, Andreotti agli Esteri. Uno dei migliori governi. Un governo di qualità. Meglio del governo D’Alema e del governo Prodi».
Lei è un craxiano. Aveva ragione Calogera Sciascia.
«Io sono l’unico uomo politico del Pci che non ha mai parlato con Craxi. Sono "craxiano" senza aver avuto il piacere di una conversazione politica con lui».
Quando Craxi fece il famoso discorso in Parlamento e disse: «Si alzi chi si ritiene estraneo al finanziamento illegale dei partiti», nessuno si alzò, nemmeno lei.
«Nel ’92 non ero più in Parlamento».
Si sarebbe alzato?
«Troppo facile dirlo ora. Ma avrei dovuto alzarmi e avremmo dovuto alzarci tutti. Craxi aveva ragione».
Lei è uno di quelli che quando parla di Craxi dice che è morto in esilio?
«Giuridicamente era latitante, però nei confronti di Craxi c’è stato un accanimento terribile».
Forse non doveva scappare.
«Doveva affrontare i magistrati qui. Andando via ha aperto la strada a chi voleva farne un capro espiatorio».
C’è adulazione a sinistra?
«C’è stata nei confronti di Togliatti e nei confronti di Berlinguer».
E con D’Alema?
«La cosa che mi disturba è che gente che è stata vicina al suo governo, che ha avuto forme molto simili all’adulazione, oggi dica cose incredibili su quel periodo».
A chi sta pensando?
«A Cesare Salvi. A Giovanna Melandri. A Mussi, a Vita».
Una volta lei fu fischiato, all’uscita dal Senato. E disse: Fassino c’era, e fu un po’ vile a non difendermi.
«Sono tutti un po’ vili in questo partito. Quando cominciai a scrivere del processo Andreotti sul Manifesto, i dirigenti di Palermo dei Ds mi attaccarono e una di loro, si chiama Cannarozzo, scrisse che aiutavo la mafia e delegittimavo Caselli. Dei dirigenti nazionali solo Giorgio Napolitano mi difese. Vili. Non fanno lotta politica, non vogliono rischiare. Quando Nanni Moretti a Piazza Navona ha detto davanti a D’Alema e a Fassino: "Con questi si perde", nessuno prese la parola per dire: ma che stai dicendo?».
A sinistra chi fa danni?
«Tanti. Salvi è solo uno del mazzo. Io non so perché sia diventato così importante. Nel dibattito politico non aveva mai avuto un ruolo rilevante».
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