- 7 Novembre 2002
Si chiama «Bonsai» la rubrica più temuta dai politici italiani. Sebastiano Messina, siciliano di Giarre, provincia di Catania, la scive tutti i giorni sulla Repubblica svillaneggiando ipocrisie, bugie, contraddizioni dei protagonisti del teatrino della politica italiana. Forse è l’unico vero erede di Fortebraccio, Mario Melloni, il mitico corsivista dell’Unità. Fortebraccio era feroce. Messina è più «leggero». «Cerco di coniugare ironia e distacco», dice.
Come è nata Bonsai?
«A causa del trattino».
Approfondiamo?
«Ricordi la polemica su centro-sinistra oppure centro sinistra? Cossiga diceva che senza trattino non faceva l’accordo. Ne nacque un putiferio politico. Mario Orfeo, allora capo del politico di Repubblica, mi chiese un commento di venti righe. Lo feci. Il giorno dopo il direttore Ezio Mauro mi disse: “La facciamo tutti i giorni?” L’idea della rubrica è stata sua. Sono quattro anni ormai. Cinque giorni alla settimana».
Angoscia?
«A volte arrivano le nove di sera e non ho la più pallida idea…».
Far ridere è difficile.
«So di non riuscire sempre, e questo mi dispiace».
Quante volte ci riesci?
«Tre volte su cinque sarebbe un ottimo risultato».
C’è un Bonsai che ti è piaciuto molto?
«Forse quello della Pizza Lolita».
Cioè?
«Quando Previti fece causa al Aldo Cazzullo, bravissimo collega della Stampa, sostenendo di non aver mai detto a un comizio che loro avrebbero fatto piazza pulita. Allora scrissi: credo a Cazzullo, ma forse ha capito male, forse Previti aveva detto: “Saremo una razza pudìca”. Oppure: “Daremo una mazza a Lorica”. O magari: “Sanremo, una chiazza pulita”. O addirittura: “Faremo la pizza Lolita”».
Satira scritta ormai ce ne è poca…
«No. C’è la Padania. Il miglior giornale satirico che ci sia in questo momento. L’ultima pagina con le scalate del figlio di Bossi era clamorosa».
Seriamente.
«Ci sono Michele Serra, Massimo Gramellini, Pietrangelo Buttafuoco, Andrea Marcenaro, Stefano Benni. Benni è tornato quello di una volta. Ricordo battute indimenticabili. Reagan che chiama Andreotti e dice: “Parlo con casa Andreotti?” E Andreotti che risponde: “Dipende”».
Far ridere è comunicazione di serie B?
«La mia massima aspirazione è incontrare un lettore che mi dice: ho letto il suo articolo e mi sono fatto una grande risata».
Dei colleghi disegnatori chi è che ti piace?
«Mi piace l’ironia raffinata di Altan. “Mi vengono in mente idee che non condivido”. Stupendo».
Altan contraddice la teoria che la satira deve far male e deve fare arrabbiare. Lui fa male e piace a tutti.
«Per questo è un grande».
È un grande anche Benigni, ma la destra ce l’ha con lui.
«Un’intervista a Benigni su Berlusconi alla vigilia delle elezioni fa molto più male di una vignetta di Altan su un giornale. Era in televisione».
Forattini ti piace?
«È stato il più grande vignettista italiano. Ma insiste ormai sempre sullo stesso tasto, è troppo prevedibile. Speriamo che gli passi».
Ti fa ridere?
«No».
E Vincino?
«Vincino sì che mi fa ridere. Vauro è molto tagliente. Anche Giannelli mi piace moltissimo».
Ellekappa?
«Molto brava, sempre caustica».
Tu sei anche critico televisivo. Reazioni indispettite?
«Saccà ha telefonato furibondo al direttore. Avevo scritto che lui stava facendo un ottimo lavoro…».
E se l’è presa?
«…che stava facendo un ottimo lavoro per Canale 5».
Saccà continua a dire che i direttori di rete sono autonomi. Però poi blocca il Blob su Berlusconi…
«La cosa scandalosa è che Berlusconi ha negato di esserne a conoscenza. Siamo in piena cortigianeria. Ma non in quella di Castiglione».
C’è cortigianeria buona e cortigianeria cattiva…
«Baldassarre Castiglione, con il suo libro, voleva formare “un cortegiano tale che quel principe che sarà degno di essere da lui servito, si possa chiamare grandissimo signore”. Non è il caso di Saccà. Lui è un cortigiano moderno».
Un servitore?
«Uno che ha voluto far sapere subito che tutta la sua famiglia vota per Forza Italia».
Si è messo al vento, e non è l’unico…
«Si è messo al vento anche Del Noce. Ma lui è sempre stato al vento. Del Noce è un bravo giornalista, ma l’hanno messo lì perché è di Forza Italia, non perché è un bravo giornalista».
Il sacco della Rai.
«Il sacco dell’immagine e dell’autonomia della Rai. Non era mai successo nemmeno col Caf. Bloccare tre protagonisti come Santoro, Biagi e Luttazzi solo perché lo ha chiesto il presidente del Consiglio una volta non era immaginabile. Se Craxi avesse fatto una richiesta simile, la Rai di Agnes avrebbe mostrato la sua indipendenza riconfermandoli».
Non ci giurerei.
«Quella di Berlusconi è stata una dimostrazione di arroganza di un politico che vuol fare sapere a tutti che lui è padrone del vapore. E gli altri si preoccupano subito di far sapere che sono suoi umili servitori».
Non è che la sinistra si sia comportata in maniera esemplare quando comandava lei.
«La colpa più imperdonabile dell’Ulivo è stata quella di non avere fatto vedere nulla di veramente diverso rispetto a prima. Oltretutto ha tenuto uno come Saccà alla guida di Rai Uno».
Tra i critici televisivi che ti hanno preceduto un grande era Sergio Saviane…
«Negli anni in cui la televisione sembrava una specie di mostro sacro intoccabile, Saviane gliele cantava. Però come stile mi è sempre piaciuto di più Beniamino Placido».
Saviane fu un grande inventore di neologismi. I mezzibusti, Letta-Letta…
«Letta-Letta fu geniale. Gianni Letta rimase per molto tempo prigioniero di un personaggio televisivo, ospite elegante un po’ dandy delle trasmissioni. Però poi siamo caduti tutti in un errore di sottovalutazione. Il Letta applicato alla politica si è rivelato enormemente superiore. Letta è l’archetipo di quel “cortegiano” nobile del quale il principe deve essere degno».
Se Letta è il «cortegiano», chi sono gli adulatori di Berlusconi?
«C’è solo l’imbarazzo della scelta».
Togliamoci l’imbarazzo.
«Quelli che non dicono mai “Berlusconi” ma “il presidente Berlusconi”. Bondi, Schifani, Gentile per esempio. Elio Vito che dice che il presidente Berlusconi è straordinario, fantastico, inimitabile e poi quando gli chiedono se ha un difetto, risponde che non gliene viene in mente nessuno. Un altro è sicuramente Tajani. Lo ha detto lo stesso Berlusconi. Obbedisce come un soldatino. E Urbani?».
Anche Urbani adulatore?
«È stato capace di giustificare tutte le giravolte di Berlusconi in tema di politica istituzionale. Berlusconi ha sostenuto nell’ordine il maggioritario corretto, l’uninominale secca, il presidenzialismo, il ritorno alla proporzionale, il semipresidenzialismo alla francese e il sistema tedesco. E ogni volta Urbani gli dava la copertura teorica».
Altri?
«Non vorrei dimenticare Baget Bozzo. Disse: “Grazie di esistere, Silvio”. Nessuno si è spinto fino a tanto».
Sono tutti così in Forza Italia?
«No. Berlusconi ha l’astuzia di circondarsi anche di anti-cortigiani. Uno è Antonio Martino. Dice quello che pensa. Come Ferrara. Giuliano vuole evitare che Berlusconi diventi la caricatura di se stesso. Quando uno è circondato da adulatori e da servi, la tentazione viene. Berlusconi non riesce a convincersi che non ha comprato la maggioranza del pacchetto azionario dell’Italia, ha solo vinto le elezioni».
A sinistra c’è adulazione?
«A sinistra non c’è nessuno da adulare. Gli aspiranti cortigiani ci sarebbero, ma non c’è il principe».
C’è più libertà in Mediaset o in Rai?
«In Mediaset. Vedi i pianisti del Senato denunciati da Striscia. In Mediaset ci si può anche permettere il lusso di aprire spazi di libertà per Le Iene, Striscia, la Gialappa’s».
Sono foglie di fico…
«Nella testa di Berlusconi certamente. Ma guardiamo al risultato. Poi certo non bisogna dimentiacare che là ci sono anche Fede, Studio Aperto. C’è Piero Vigorelli, l’uomo che si avvolse nella bandiera di Forza italia».
Adulatore?
«No. Tifoso».
Come Fede?
«Fede è il capo della tifoseria, è in una dimensione astrale, è difficile imprigionare l’eruzione di berlusconità che viene fuori da Fede».
Lo difendi?
«Ci mancherebbe altro. Quello di Fede non è un telegiornale. È uno spot. Sotto elezioni dovrebbe esserci la scritta “pubblicità elettorale”».
Gli italiani sono voltagabbana?
«No, ma non credono nemmeno che la coerenza sia una virtù. In fondo in fondo credono che solo un cretino la pensa sempre allo stesso modo. Se fosse così Alessandro Meluzzi sarebbe un genio perché ha cambiato idea, e partito, sei volte».
Altri politici voltagabbana?
«Vai a rileggere quello che dicevano i leghisti di Berlusconi quando hanno fatto cadere il governo e confrontalo con quello che dicono oggi».
È la politica.
«La politica del tergicristallo. Di qua, di là, di qua, di là. Bertone si è iscritto al gruppo dei comunisti italiani. Ma non era stato eletto, alle scorse elezioni, in Forza Italia? E Liotta che è stato eletto da una parte, è passato dall’altra e ha addirittura fatto cadere il governo Prodi?».
Tu come sei come tergicristallo?
«Io sono rimasto di sinistra, sempre».
Partito o girotondi?
«Io sono per il partito unico dell’Ulivo. Bisogna evitare di continuare a scannarsi in nome di bandierine che non significano più niente. Io ritengo più a sinistra Arturo Parisi di tanti diessini».
Ti sei mai impegnato?
«Ai tempi del referendum sul maggioritario. Con Segni, Barbera, Parisi, Bianco, Gianni Rivera. Fu Veltroni a chiedermi di entrare nel comitato».
Pensi che un giornalista debba fare politica?
«Un giornalista iscritto a un partito perde la terzietà, la credibilità, la indipendenza necessaria».
Ma il referendum?
«Quello fu impegno civile più che politico. Nel ’94 il centro sinistra mi chiese di candidarmi in un collegio siciliano. Lo ringraziai ma continuai a fare il giornalista».
Voi siciliani siete voltagabbana e leccapiedi?
«Il contrario. Siamo ossessionati dal nostro complesso di superiorità. Molti si vantano di non aver mai passato lo stretto».
Come sei arrivato al giornalismo?
«Cominciai a 14 anni collaborando con Sportivissimo, un giornale di Catania».
Facevi il tifo per il Catania del presidente Massimino?
«Facevo il tifo per il Milan di Rivera, Prati e Sormani».
Massimino l’hai conosciuto?
«Certo. Era una persona con un’intelligenza nettamente superiore alla sua cultura».
Di lui si raccontano aneddoti clamorosi. «Presidente, alla squadra manca amalgama». «E allora? Compriamolo». «Presidente, bisogna compare i guanti per il portiere». «Ah no, guanti per tutti o per nessuno». «Presidente oggi a Enna c’è forte foschia». «Va bene, marcatelo con due uomini». Lui rideva di queste cose?
«Quando vinceva. Quando cominciò a perdere disse: “Ma perché ve la prendete con me?”».
Miti giovanili?
«Rivera e Guevara».
Eri un estremista…
«Area Manifesto. Mi piaceva Pintor».
Il giornalismo vero?
«Cominciai con un articolo per caso per l’Ora. Sergio Buonadonna lo lesse e mi chiese se volevo fare una sostituzione estiva nella redazione di Catania. Mi diedero 50 mila lire e l’autorizzazione a dormire nel divano letto del capo redattore».
Poi?
«I Diari di Parretti, il Giornale del Sud di Pippo Fava, cronaca nera, giudiziaria, politica. Facevo il corrispondente per Repubblica. Ebbi dei colpi di fortuna strepitosi: un’intervista al segretario della Dc Piccoli, una al presidente del Consiglio Spadolini e una al capo della Massoneria Battelli. Interviste fortunose, una al bar della base di Comiso, una di notte nel municipio di Messina, una nella pausa di un processo. Ma finirono in prima pagina. E alla fine mi assunsero».
Un giorno Scalfari, durante la riunione di redazione, ti telefonò a Catania e ti fece pubblici complimenti dicendo: «Hai il bastone del maresciallo». A te piace comandare?
«No, mi piace raccontare. Ma lui intendeva dire l’autorevolezza del giornalista. Chiaramente esagerava. Era straordinario nel motivare un cronista».
C’è un tuo giornalista mito?
«Giampaolo Pansa. Neanche Montanelli, che pure era bravissimo, ha raccontato i fatti della politica come Pansa. Un gradino sopra tutti gli altri».
Dei leader attuali della sinistra che cosa pensi?
«D’Alema è uno dei migliori. Ha un grandissimo senso dello Stato ma è il peggior nemico di se stesso quando sopravvaluta gli avversari e sottovaluta gli alleati. Fassino bisogna aspettare ancora sei mesi. Vedere come supera questa crisi».
Cofferati?
«È il più carismatico. Ma la sua ultima intervista alla Repubblica fa dubitare della sua strategia. Pensa di diventare il leader del centro sinistra alleandosi con i verdi e col correntone?».
I leader della destra?
«Fini è sicuramente più democratico di Berlusconi. Conosce non solo la teoria ma anche la pratica della democrazia».
Casini?
«Non è un vassallo di Berlusconi».
Bossi è perso per la democrazia?
«È una mina innescata. E per tenerselo buono continuano ad accontentarlo. La sua massima aspirazione è diventare il nuovo Ghino di Tacco».
Gioco della torre. Chi salvi fra La Russa e Gasparri?
«Salvo La Russa».
Che ti ha fatto Gasparri?
«Come fa un ministro a scrivere una lettera di critiche a Minoli su carta non intestata? Un ministro non è un semplice cittadino».
Feltri o Belpietro?
«Butto Belpietro. Feltri ha l’anima donchisciottesca».
E Belpietro no?
«No».
È meglio il Giornale o Libero?
«Il Giornale è tecnicamente fatto meglio. Ma la sua linea politica è appiattita su Berlusconi».
Fede o Rossella?
«Salvo Fede. Preferisco i tifosi della curva sud a quelli della tribuna d’onore».
Costanzo o Vespa?
«Non posso buttarli giù, altrimenti di chi scrivo? E poi sono due stakanovisti. In fondo li ammiro».
Mica tanto. Ricordo quando hai attaccato Costanzo perché festeggiava Mike Bongiorno…
«Per forza. Festeggiava i 25 anni di un tradimento, quello della Rai da parte di Mike Bongiorno».
Hai criticato anche Vespa perché a un Porta a Porta aveva invitato attori e starlette».
«Dimentichi però di dire che la trasmissione era su Padre Pio».
Mentana o Mimun?
«Butto Mentana. L’ho pescato nella impossibile difesa della gaffe di Berlusconi, quando davanti a Bush e Putin disse che Roma è stata fondata da Romolo e Remolo».
Come lo difese?
«Fece un servizio sulle gaffes nella storia del mondo e concluse autodenunciandosi, facendo vedere se stesso che la sera prima aveva dato le quotazioni di Wall Street che invece era chiusa».
Il massimo dell’adulazione?
«No, questo è eroismo. Si è immolato personalmente per difendere Berlusconi».
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