- 15 Giugno 2006
Si ricomincia a parlare di amnistia. Sono passati anni da quando Papa Giovanni Paolo II la invocò davanti a mille deputati italiani. Scatenò, quel giorno, un’ondata di applausi e di commozione. Dal giorno dopo, oblio. I politici italiani, anche quelli cattolici, hanno un rapporto strano con le gerarchie ecclesiastiche. Pronti a finanziare le scuole cattoliche o a votare l’esclusione dell’Ici per i beni immobili della Chiesa, di fronte ai grandi temi etici dimenticano il magistero della Chiesa. Il Papa dice che non si deve andare in Irak? Loro votano la spedizione italiana. Monsignor Vincenzo Paglia, già assistente spirituale della comunità di Sant’Egidio, sempre attenta ai temi della giustizia sociale, oggi è vescovo di Terni. E autore di un libro dibattito con Giuliano Amato sui rapporti tra fede e ragione. Chiedo a lui perché i politici cattolici sono così poco sensibili ai temi della pace, del disastro ambientale, del sottosviluppo del Terzo Mondo, della fame.
«Provincialismo politico che rischia di fare dimenticare i grandi problemi planetari. Prendiamo la questione della cooperazione. Moltissimi missionari lavorano con i poveri del Terzo Mondo. È una presenza splendida, straordinaria a fronte dell’impegno veramente scarso del nostro Paese. A volte si rimpiange la vecchia politica di intervento. Magari era un po’ paternalista, badava più agli interessi delle imprese italiane, però funzionava. Oggi l’Italia in Africa è assente. E si vedono ditte, ingegneri, economisti cinesi che invadono il continente».
Se ci fosse ancora la Dc?
«Ai tempi della Dc l’ispirazione cristiana aveva una risonanza molto più robusta rispetto ad oggi».
Oggi ci sono tante piccole Dc.
«Il contenitore democristiano era ampio, grande e forte. La frammentazione indebolisce sempre».
I politici cattolici di una volta erano meglio di quelli di oggi?
«C’erano personalità di grande spessore. Ebbero il compito di ricostruire l’Italia, di ridisegnare una società. La Dc fu un indispensabile pilastro in questo processo. Oggi quello che manca è il dibattito sui contenuti della politica. Si parla molto di riformepiù o meno strutturali e poco o nulla della società che vogliamo costruire».
Dopo il crollo del muro di Berlino si era detto: la storia è finita, le guerre sono finite. Ed eccoci allo scontro fra civiltà, roba da medioevo.
«Parlare di scontro di civiltà è semplificativo e pericoloso. Non tiene conto che all’interno delle cosiddette civiltà ci sono degli scontri durissimi, talora più forti di quelli esterni. E ci impedisce di vedere quei connotati comuni che pure ci sono. A meno che non siano Coca Cola e Nike. E guarda caso, qui il conflitto di civiltà scompare».
Ma il conflitto è genuino?
«I conflitti sono sempre frutto di inciviltà: e in genere non nascono da motivi religiosi. Uomini senza scrupoli sfruttano la dimensione religiosa ma hanno fini economici, di potere, di clan, di tribù, di nazione».
Però le religioni hanno un ruolo politico.
«Le religioni si trovano di fronte a un bivio drammatico. Possono aggravare i conflitti, o favorire l’incontro. Nei Balcani, per fare un esempio tragico, le religioni hanno fomentato il conflitto invece di lenirlo».
Venti anni fa Papa Wojtyla lanciò lo Spirito di Assisi. È scomparso?
«L’intuizione di Giovanni Paolo II fu formidabile: radunare ad Assisi tutti gli uomini di religione per invocare quella pace che gli uomini faticano a darsi. Lo Spirito di Assisi non è scomparso. Si è allargato e irrobustito».
I rapporti tra religione e politica sembrano più ispirati a Machiavelli che a San Francesco.
«Se non ci fosse stato Assisi non so cosa sarebbe potuto succedere. Da allora molte cose sono cambiate. Tante situazioni sono state risolte, penso ad esempio alla pace in Mozambico, all’incontro tra ebrei, cristiani e musulmani a Gerusalemme, l’aiuto al Guatemala e all’Albania. L’influsso di Assisi continua e va rafforzato».
Nel frattempo in Irak la situazione è drammatica…
«Una riflessione amara e partigiana: quando si è deciso di invadere quel Paese, chi dell’Occidente ha pensato al dramma che avrebbero vissuto i cristiani caldei iracheni? C’è gente che ha preso decisioni drammatiche con superficialità e senza conoscere bene la situazione. Se non ci fosse stato Giovanni Paolo II a gridare contro questa guerra noi vivremmo oggi uno scontro terribile».
Peggio di quello che c’è?
«Ma non c’è dubbio!».
Adesso che cosa si può fare?
«Certamente non si può abbandonare quel popolo. La politica deve impegnarsi per trovare la soluzione».
La sua vita.
«Sono nato a Boville Ernica, in provincia di Frosinone, 61 anni fa, da famiglia contadina. Cinque figli. Arrivai a Roma che avevo dieci anni. Ho fatto tutto l’itinerario del seminario avendo come compagno don Andrea Santoro, il prete che hanno ucciso in Turchia».
I suoi miti di allora?
«Ero affascinato dalla figura di Papa Giovanni XXIII. Ero un giovane liceale: mi toccò il cuore. “Dite ai vostri bambini: questa carezza ve la manda il Papa”… Io stavo in piazza San Pietro quella sera. Ricordo ancora il brivido nella schiena».
Gli altri Papi?
«Pio XII era un’immagine altissima, ieratica, lontana. Paolo VI era uomo di cultura. Metteva soggezione. E poi Giovanni Paolo II…».
Ha saltato Papa Luciani.
«Ricordo bellissime chiacchierate con lui. Io ero giovane e curioso di quello che succedeva nel Concilio. Lui era sorpreso della sua grandiosità: duemila vescovi insieme. Ne era come intimorito».
Fu una strana morte…
«Sentì l’enormità della missione per la quale era stato scelto e moltiplicò per mille il timore del Concilio. Gli si spezzò il cuore».
Giovanni Paolo II?
«Ho avuto la grazia di conoscerlo. Una conoscenza da parte sua molto affettuosa. Ero sorpreso che un Papa potesse volermi così bene, mi chiamasse per nome, mi coinvolgesse in tante cose come, ad esempio, nella preghiera di Assisi o nelle giornate mondiali della Gioventù».
Benedetto XVI?
«È una figura di una semplicità disarmante, di una riservatezza assoluta, di una onestà incredibile».
Lei si è mai innamorato?
«Stando in seminario è un po’ difficile vivere un’esperienza di questa natura. Però sarebbe grave se un prete non provasse passioni. L In genere si parla di innamoramento tra un uomo e una donna. Ma se per innamoramento intendiamo la capacità di innervare nella propria vita di sacerdote una dimensione appassionata che spinge a vivere non in maniera atonica e corretta è una cosa che riguarda anche i sacerdoti».
Lei però non mi ha risposto.
«Innamoramento nel senso tradizionale? No».
Lei è stato parroco di Santa Maria in Trastevere. L’unica Chiesa romana – diceva – senza gradini. Era una metafora? «Certo bisognerebbe togliere i gradini dalle chiese per i portatori di handicap ma soprattutto togliere i gradini che impediscono a Gesù di arrivare nel cuore della gente».
Rimpiange quei tempi?
«È stato un tempo fantastico per me, in un quartiere di Roma come Trastevere, lacerato da conflitti enormi. E poi vederlo man mano ritessersi, ricrescere. Era una parrocchia sempre vissuta tra le tensioni. Nel 1789, il parroco fu giacobino contro il Papa. Una parrocchia luogo di scontri. Giorgiana Masi fu uccisa lì».
Politicizzata?
«C’era la famosa sezione del Pci di Vicolo del 5. Poi divenne anche luogo delle frange dell’estrema sinistra».
Lei è stato assistente della comunità di Sant’Egidio. La frequentavano fior di politici da Prodi a Scalfaro, da Rutelli, a Amato. Una comunità vivacissima. Aveste anche una discussione con il Papa Giovanni Paolo II.
«Era successa una cosa terribile che ci traumatizzò. Dei giovinastri dell’estrema destra avevano bruciato vivo un somalo, davanti a Santa Maria della Pace a Corso Vittorio. Il Papa, il giorno dopo, doveva andare in visita a una parrocchia lì vicino. Gli chiedemmo di fare una sosta e pregare con noi sul luogo del delitto».
Come si chiede al Papa di fermarsi?
«Gli scrivemmo una lettera: “Santità, hanno bruciato un somalo… di fronte a un gesto così drammatico… sarebbe bene che lei si fermasse… Santità, lei è il Vescovo di Roma…”».
Il Papa si fermò?
«Non si fermò. Ma poi ci fece chiamare. “Siete voi la comunità di Sant’ Egidio?”. Sì. “Siete voi che mi avete scritto una lettera?”. Sì. “Avete voluto insegnare al Papa come si fa ad essere Vescovo di Roma?”. Gelo. “Avete fatto bene, io volevo venire, ma la polizia me lo ha impedito. Avevate ragione. Ci vuole un gesto forte. Domenica prossima ne parlo all’Angelus”. E così avvenne».
Nel 2000 il Papa la fece vescovo di Terni.
«Fui investito subito dal problema delle acciaierie e della loro crisi. I proprietari tedeschi volevano mandare via 500 operai. Intervenne anche il Papa. E non furono licenziati.Adesso i sindacati hanno chiesto di nuovo il mio aiuto per la crisi di una fabbrica norvegese, la Yara. Speriamo bene».
La faranno segretario della Cgil prima o poi.
«O anche della Cisl. A parte la battuta qui a Terni la Chiesa è una presenza che entra nelle fibre della città. Ma ha anche una dimensione internazionale, con missioni in Kossovo, in Albania, in Guatemala, in Congo. ».
D’Alema ce l’aveva con i giornali. Disse: «Bisogna lasciarli nelle edicole». Lei invece ha detto: il cristiano deve tenere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale.
«È il solito discorso: la Chiesa e la piazza, il Vangelo e la vita, un cristiano non può vivere staccato da quel che accade. Ecco perché deve leggere anche il giornale».
I comandamenti sono tutti uguali? Non uccidere è importante quanto non commettere atti impuri?
«C’è una gradualità di peccati. Uccidere è più grave di rubare. E rubare tutto quello che possiede un poveraccio è gravissimo. Molto più che rubare il portafogli, per esempio a Berlusconi».
Tempo fa padre Zanotelli, intervistato da Gianni Minà, parlando della sua esperienza nella baraccopoli di Korogocho in Kenia, disse una frase agghiacciante. Disse che di fronte a certe cose a volte dubitava dell’esistenza di Dio. Lei non ha mai dubitato dell’esistenza di Dio?
«Io mi chiedo spesso: dove saremmo se Dio non ci fosse?».
Dove sta Dio quando un bambino muore di fame?
«Se avessimo tutte le risposte saremmo come Dio. Ma la domanda vera è: dove stanno gli uomini mentre continuano a morire di fame milioni di bambini?».
La Cei è intervenuta pesantemente sul referendum sulla procreazione assistita. Ha dato pesino una indicazione di voto…
«Non era una indicazione di voto».
Peggio, era una indicazione di non voto.
«Posizione più che legittima. Ma qui a Terni, invece di fare battaglie ideologiche che lacerano la società, abbiamo creato il primo centro di ricerca per le cellule staminali adulte».
A lei piace parlare con i laici e i non credenti. Con Giuliano Amato ha scritto un libro sulla laicità.
« Di fronte ai gravi problemi che affollano questo inizio di millennio, come quelli ecologici e bioetici, è necessario che laici e credenti si, impegnino a trovare le evie della composizizone dei valori in cui credono. Gli incontri con Amato e con altri amici laiici portano non pochi frutti».
Chi non le piace dei politici?
«Vuole farmi litigare con mezzo mondo?».
Mi faccia allora il governo delle persone buone.
«Bravo. Così mi attiro le ostilità di un vero primo ministro senza poter fare un vero governo. Sarei un masochista…».
Lei è troppo prudente. Le faccio una domanda facile. Per chi ha votato?
«Sta scherzando?».
Quando c’era la Dc votava Dc?
«Sì».
E adesso che non c’è più la Dc vota per una delle piccole Dc rimaste a destra e a sinistra?
«Voto per chi si ispira ai principi cristiani e sa fare politica».
Che fatica, Monsignore, intervistare un vescovo.
«Che fatica farsi intervistare da un giornalista come lei».
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