- 20 Marzo 2002
L’ha chiamata "Affettuosità giornalistiche". È una piccolissima rubrica in cui Denise Pardo, ogni settimana, nella sua pagina dedicata ai mass media sull’Espresso, racconta l’adulazione, spesso incrociata, che alberga fra i giornalisti italiani. "Ma quanto è bravo Tizio!", dice l’Adulatore-Redattore, dimenticando di precisare che Tizio è il suo direttore. "Ma come scrive bene Caio", insiste l’Adulatore-Redattore, dimenticando di ricordare che Caio ha appena scritto la stessa cosa di lui. I lettori, naturalmente, non capiscono che cosa c’è dietro queste "affettuosità". Ma Denise Pardo è lì, pronta a mettere nero su bianco quello che tutti i giornalisti, famosi pettegolieri, continuano a dirsi nei corridoi. E così è diventata una specie di vendicatrice degli inciuci nascosti. Tanto da costringere gli adulatori mascherati a modificare i loro comportamenti per paura di finire sotto la sua lente. Alcuni continuano a farlo ma avvertono. Come fa spesso il Foglio. "Sappiamo che finiremo in "Affettuosità giornalistiche". Ma non possiamo fare a meno di?".
Denise, ottimo sistema quello di Ferrara: l’autodenuncia.
"Non c’è autodenuncia che tenga. La coda di paglia serve per mettere le mani avanti. Ma non basta. Una volta Ferrara ha dichiarato che sarebbe stato affettuosissimo sia con Macaluso (che aveva appena annunciato di preferire il Foglio all’Unità) che con Pietro Calabrese (allora direttore di Capital, dove collaborano molti del Foglio). Ma si è dimenticato di "confessare" il peana di mezza pagina a Carlo Rossella, direttore di Panorama ma anche suo collaboratore. Paghi due, prendi tre".
Che senso ha la tua "crociata"?
"Ho solo notato un fenomeno e lo racconto ai lettori perché scoprano la doppia lettura dei giornali. Dietro le notizie, spesso, c’è una carineria, una gentilezza, uno scambio di favori. Cose che passano sopra la loro testa".
Un po’ di moralismo è quasi inevitabile?
"Non sono una Catonessa. Il tono che uso è piuttosto leggero, ironico, poco serio".
Come nasce un’idea del genere?
"Da un episodio che riguardava Giampiero Mughini. Aveva scritto su Panorama uno sperticato elogio del Foglio dimenticando di dire che collaborava al Foglio. Dopo quattro giorni il Foglio aveva ricambiato dedicando a Mughini un dolce articolo. Era intervenuto con una lettera Fabrizio Coisson, compagno di banco di Mughini a Panorama: "Che lo scambio di insulti finisca qui!"".
Reazioni?
"Una letteraccia di Mughini. Diceva che lo avevo fatto per vendetta".
Vendetta per che cosa?
"Non mi ricordo. Lo chiamai e lui mi trattò malissimo. Alla fine facemmo pace. Gli offrii una cena all’enoteca Ferrara, un nome emblematico. Bevendo dell’ottimo vino, scelto da lui, mi disse che ero una mascalzona".
Mughini è protagonista molto spesso delle tue "affettuosità".
"Quella volta si rabbonì. Poi è incappato in una seconda affettuosità. Mi disse: "Alla terza ti incendio la macchina"".
Come mai Mughini è citato così spesso? Non è un adulatore.
"Probabilmente è il network, l’inciucio fra Panorama, il Foglio, l’Unità a fare emergere sempre Mughini".
Reciproci favori?
"Gara di solidarietà. Mettere gli amici sulla ribalta, ricordare che ci sono, che sono bravi, tenersi su reciprocamente?".
Altre letteracce?
"Michele Anselmi".
Poveretto, lo citi più di Mughini. Altro pranzo?
"Mi ha mandato una lettera per dirmi che sono una sciagurata integralista. Ha scritto anche una perfida lettera al Foglio. Ferrara fu carino e mi difese. Scrisse: "Viva miss Pardo". Comunque siamo diventati amici".
Il Foglio tu lo citi spesso.
"La rubrica delle lettere, in ultima pagina, è il più grande ricettacolo di affettuosità che esista? C’è tutta una liturgia? si auto-scrivono le lettere, poi ci sono le risposte di Ferrara, alcune tremende, altre carine, affettuosissime. È il salotto delle affettuosità del direttore".
Chi è il re dell’adulazione giornalistica?
"Carlo Rossella. È il monarca assoluto. Non si nasconde nemmeno, lo fa in modo esplicito?".
C’è una spiegazione?
"È un seduttore, vuole piacere, è un uomo di mondo. E nel mondo ci sono queste regole, ci sono i complimenti, le cortesie?".
Una volta il Messaggero scrisse che tu non esistevi, che eri uno pseudonimo del direttore dell’Espresso. Doveva essere proprio arrabbiato il direttore Paolo Graldi?
"C’era stato uno scambio di affettuosità proprio con Carlo Rossella. L’affetto di Graldi per Rossella è incredibile. Un ping pong di affettuosità senza fine fra i due".
Altri arrabbiati?
"Igor Man. E pensare che le sue non erano affettuosità. Semmai velenosità. Sullo Specchio se l’era presa con Lina Sotis e con Barbara Palombelli. Pretese la pubblicazione della lettera in cui diceva che era stato frainteso?".
Io non ho mai preteso niente?
"Già, anche di te una volta ho parlato?".
Calunnie?
"Avevi intervistato Daria Bignardi su Sette e lei ti aveva invitato due volte nella sua trasmissione. Avevi scritto che lei è un genio, che è bellissima?".
Anche tu sei bellissima. Finirò di nuovo fra gli affettuosi?
"C’è un limite alla gentilezza. Come quando Barbara Palombelli dava i voti nel suo sito Internet ed erano tutti dieci".
Dette dieci anche a me. E allora?
"La motivazione più affettuosa fu per Aldo Cazzullo: aveva "illuminato" con un’intervista la domenica palombelliana".
Citi molto spesso anche Paolo Mieli, i suoi rapporti affettuosi con il mondo cattolico, con Ruini, L’osservatore romano, l’Avvenire?
"Ma tre le sei segnate proprio tutte! Non te ne è sfuggita una. Geniale comunque fu l’affettuosità di Mughini a Mieli, furba, mascherata da critica. Faceva finta di tuonare contro l’esagerato affetto editoriale dei giornali per il nuovo libro di Mieli. Ma poi scriveva che Mieli è un genio, che il libro è bello, che un fenomeno così lo si nasce, non lo si diventa".
Ci sono casi di affettuosità negate?
"Il Diario, Nanni Moretti che – come tutti sanno – odia i giornalisti, aveva fatto un trattamento di favore per il giornale di Enrico Deaglio facendolo apparire nella Stanza del figlio. E il Diario che fece?".
Che fece?
"Stroncò il film di Moretti. Ingrato".
Non hai paura che qualcuno si vendichi?
"Dici che sto rischiando la vita?".
La vita no. Qualche amicizia?
"I giornalisti non sono la Sacra Corona Unita".
La piaggeria è più di destra?
"Quasi tutti i politici che circondano Berlusconi hanno un incredibile atteggiamento reverenziale. Berlusconi è un principe, un monarca assoluto. Attorno a sé ha i cortigiani. La sinistra mi sembra più impegnata a massacrarsi che ad adularsi".
Pionati, su Panorama ha paragonato Mastella ad Andreotti. Piaggeria?
"Mastella è molto adulato da quando si agita e minaccia di passare dall’altra parte".
Ogni tanto parli di autoaffettuosità.
"Come ha fatto Mughini lo scorso mese".
Mughini, sempre Mughini.
"Ma l’ha fatta grossa. Su Sette è uscito un pezzo su Mughini di tale William Gori. Un incensamento continuo. Sai chi è William Gori?".
E ti pare che non lo sapevamo?
"È lo stesso Mughini. Si è intervistato da solo. Si è affettuosamente fatto da solo domande e risposte".
Mughini si piace molto.
"L’ha fatto anche Paolo Guzzanti, ma chiaramente".
Che cosa ha fatto?
"Con la scusa di incensare Oriana Fallaci, sul Giornale, ha incensato soprattutto se stesso, ricordando le sue imprese di inviato al fronte al quale Miriam Mafai telefonò per dirgli "parole molto belle sulle mie corrispondenze di guerra". Come dire: Oriana sì, ma anche io!".
Anche l’intervista di Luca Telese a Gianni Boncompagni sul Giornale non è male.
"Dovevano parlare di radio. Ma Telese continuava a citare Chiambretti c’è. E dimenticava di dire di essere un collaboratore fisso del programma di Chiambretti".
Telese si è arrabbiato?
"Sì. Ma alla fine tarallucci e vino".
Non sono molte le donne citate. Maria Luisa Agnese, Chiara Beria d’Argentine, Barbara Palombelli? Pochi casi. Solidarietà femminile?
"Le donne sono meno "affettuose".
Che cosa c’entra?
"Sono più dirette, più rigorose. Accettano meno compromessi".
Le interviste di Marzullo sono "affettuose"?
"Quello che non va bene è quando l’adulazione è nascosta, inespressa, occulta. Marzullo non inganna. È gentile con tutti. Semmai è a Maurizio Costanzo e a Bruno Vespa che si rimprovera di essere gentili coi potenti e brutali coi deboli".
C’è qualcuno che è contento di essere citato da te?
"Mauro della Porta Raffo. Sul Foglio fa le pulci a chi scrive delle cose inesatte nella rubrica "Pignolerie". Ma quando beccò un errore di Richard Newbury fu molto condiscendente, parlò di "errore plausibile, di ottima penna, di ben informato articolo". Sarà perché Newbury scrive sul Foglio?".
Sarà?
"Mi ha fatto una telefonata gioiosa, allegra, di ringraziamento. Un vero signore".
Allora c’è differenza tra affettuosità e affettuosità…
"Sì, come nel caso di Afef. Nella rubrica che gli è stata affettuosamente assegnata sul Mondo ha parlato di un "brillante manager con stile da capitano d’industria di altri tempi, che difende a spada tratta la sua passione ambientalista, stretto nel rigore industriale del suo formal dress…"".
Che cosa c’è di male?
"C’è di male che il "brillante manager" è Nino Tronchetti. Ti dice niente il cognome?".
Tu sei un’adulatrice?
"Non ricordo di aver mai adulato una persona strumentalmente. Ma se lo avessi fatto, te lo direi?"
Me lo diresti?
"Chi lo sa?".
Come sei arrivata al giornalismo?
"Madre francese, padre italiano, nonna mitteleuropea. Sono cresciuta ai Parioli".
Una signorina perbene.
"Una signorina di Roma Nord. Ho studiato al liceo Mameli insieme ad una serie di persone che poi avrei rincontrato. La mia grande amica Francesca Marciano, sceneggiatrice, scrittrice. Poi c’erano Guido Barendson, Gregorio Botta, Paolo Virno, Bruno e Dario Manfellotto, Sandro De Feo?".
Che clima c’era?
"Manifestazioni, assemblee, scioperi. L’idolo di noi ragazze era Paolo Virno, uno del movimento studentesco".
I tuoi amori?
"Non ho mai avuto amori con giornalisti, sono troppo nevrotici e narcisisti".
I tuoi miti?
"Carol King, Cat Stevens?".
E i poster?
"Che Guevara".
Quanti anni avevi nel ’68?
"12 anni".
Adesso sappiamo la tua età.
"Ora che ci penso avevo otto anni, anzi quattro".
E il giornalismo?
"Andavo molto bene in italiano?".
Del tutto superfluo?
"Volevo fare la scrittrice, avevo il mito di Oriana Fallaci e di Camilla Cederna. Ho cominciato facendo piccole collaborazioni qua e là? Poi, amici e contro-amici, sono finita all’Europeo al tempo in cui c’erano Letizia Maraini, Barbara Palombelli, Fiamma Nierenstein, Beppe Catalano? Qualcuno mi presentò a Paolo Panerai e cominciai a collaborare a Capital. Poi mi chiamò Dante Matelli dell’Espresso. Matelli è un bravissimo giornalista e un uomo affascinante. Erano i tempi di Paolo Mieli e di Alberto Statera. Mi chiesero di fare un pezzo sulla vita notturna dei politici".
Gavetta.
"Non è stata una gavetta molto sofferta. Mi assunse Giovanni Valentini nel 1987".
Anche Cesare Lanza è finito nella tua rubrica. È un affettuoso anche lui?".
"Fa fede quello che ha scritto".
Che cosa ha scritto?
"Nella sua rubrica "Veline e veleni" su Panorama ha incensato la rubrica "Alta società" del Foglio. Lo sanno tutti che la scrive Carlo Rossella, direttore di Panorama".
Quindi su Panorama Lanza ha fatto l’elogio del direttore di Panorama.
"Carino no? D’altra parte capita quando si parla dei propri superiori. Come è successo a Marco Ventura quando ha seguito, per il Giornale, Berlusconi a Bruxelles. Berlusconi che parla bene le lingue, che affronta con disinvoltura il summit, che non usa una parola di troppo, un debutto senza sbavature".
Per farti contenta doveva scrivere che Berlusconi è un bru-bru?
"Bisognava proprio celebrarlo in quella maniera?".
Che fare quando il proprio editore diventa premier?
"Si può anche provare a rifiutarsi di scrivere".
Anche se non rischi la vita, certo rischi l’impopolarità. Ce n’è per tutti. Per Giuseppe Scaraffia che usa la sua rubrica su Amica per dire che le sue amiche (Lorenza Foschini e Letizia Maraini) e la sua ex moglie (Daria Galateria) parlano bene il francese. Per Cesara Buonamici che incensa nella sua rubrica "Gotha" sullo Specchio Gina Nieri, top manager di Mediaset, la sua azienda. Per Giuliano Ferrara che loda sua moglie Anselma. Per Paolo Graldi sempre estremamente gentile nei confronti di Pier Ferdinando Casini, fidanzato di Azzurra, il suo editore. Per Vittorio Feltri che fa un’intervista peana a Mario Giordano, direttore di Studio Aperto ("ascolti strepitosi") dopo che Mario Giordano gli aveva affidato l’approfondimento del Tg.
"Affettuosità incrociate".
Vittorio Feltri lo hai colpito anche altre volte?
"Quando ha fatto scrivere Paolo Torresani, l’uomo che presentandogli la famiglia Angelucci, gli ha trovato un acquirente per la maggioranza del suo Libero".
Io non scriverei mai contro il mio editore Cesare Romiti, che oltretutto è una persona straordinaria della quale non si può che dire bene, ottimo amministratore, manager squisito, un sant’uomo. Ma nella tua rubrica non compare mai un tuo editore, un tuo direttore, un tuo superiore, un collega del tuo gruppo, cioè dell’Editoriale l’Espresso…
"Né complimenti né critiche. Si evita di scrivere del proprio gruppo. È un fatto anche di stile?".
A volte ti verrebbe voglia?
"C’è un codice tacito…".
Però quando tu giustamente fai notare che Feltri fa scrivere Torresani come editorialista, non pensi che la Repubblica fa la stessa cosa tutte le settimane con Carlo De Benedetti?
"Succede che a volte gli editori scrivano sui loro giornali".
Ti chiedo un gesto eroico? dimmi un’affettuosità del tuo giro? del tuo gruppo?
"Dilla prima tu, del tuo gruppo?".
Nemmeno sotto tortura. L’intervista è finita
Nessun commento.