- 18 Dicembre 2003
Eravamo poco più che giovanotti quando capitammo nella nuova redazione di Panorama. Più che un settimanale patinato era, allora, un misto fra un giornale di controinformazione, un newsmagazine all’americana e una scuola di giornalismo democratico. Sotto la guida di Lamberto Sechi si formò una generazione di futuri direttori, una ventina o poco meno, sparsi nei più importanti media, da Claudio Rinaldi a Carlo Rossella (compreso il sottoscritto). Tra loro Carlo Rognoni che poi entrò nel Pds e diventò addirittura vicepresidente del Senato. Immaginate quindi il gigantesco conflitto di interesse che sovrasta questa intervista.
Cerco di essere cattivo approfittando del fatto che è autore di un libro, Inferno Tv, in cui dice il peggio che si possa dire della legge Gasparri e dell’impero mediatico costruito da Silvio Berlusconi a forza di appoggi politici e leggi ad personam. Parlate bene e razzolate male. Come mai il centro-sinistra non ha regolato il sistema radiotelevisivo quando poteva? Come mai si è comportato esattamente come il centro-destra? Dice: «Le responsabilità del centro-sinistra ci sono. Ma le responsabilità della destra sono decisamente maggiori».
Facile salvarsi così.
«C’è un limite alla mania di autofustigarsi. Mentre noi parliamo male di noi, gli altri fanno i loro interessi».
Fanno i loro interessi anche perché voi non siete stati in grado di regolarli.
«Eravamo divisi all’interno della maggioranza e divisi all’interno dei Ds».
I governi di centrosinistra hanno dimostrato i loro limiti anche nella Rai. Avrebbero dovuto portare aria nuova e non l’hanno fatto.
«Assolutamente vero. Il centrosinistra ha dimostrato arretratezza culturale nel pensare che chi governa possiede la Rai. La Rai deve essere autonoma. Hai visto che cosa succede in Inghilterra dove il direttore della Bbc si scontra con Blair?»
Non riesco a immaginarmi Cattaneo che si scontra con Berlusconi.
«La sinistra ha pensato che – siccome aveva vinto – la Rai era sua. Credere che la politica debba intervenire sull’informazione per scegliere, imporre, cacciare è un errore inaccettabile che anche la sinistra ha commesso. In nessun altro Paese verrebbe in mente».
Presidente della Commissione di Vigilanza è Claudio Petruccioli, tuo compagno di partito, di corrente e amico personale. Anche lui viene spesso criticato. Troppo morbido.
«Usando senso di responsabilità è riuscito a raccogliere anche il consenso degli avversari politici».
E critiche dei suoi.
«Ha dato molta dignità al suo ruolo. Il problema è che ora Berlusconi sta esagerando. I telegiornali sono scandalosi. Il Tg1 non dà nemmeno le notizie».
E Petruccioli che deve fare?
«Deve arrabbiarsi. E secondo me lo farà».
Altre critiche: Lucia Annunziata, il presidente di garanzia indicato dai Ds.
«È stata bravissima fino a ieri. Poi ha sbagliato. Questa vicenda della Guzzanti l’ha gestita male. Come si può pensare che si possano registrare cinque puntate di una trasmissione di attualità?».
Nel tuo libro dici che il ministro Gasparri non ha scritto la legge che porta il suo nome.
«Uno dei nomi che si fanno è quello di uno dei membri dell’Autorità garante delle Telecomunicazioni, Antonio Pilati. Fa impressione pensare che un membro di quell’Autorità, strapagato da tutti noi possa avere contribuito a fare una legge che va contro gli interessi della collettività».
Sei sicuro che sia lui?
«No, ma ci sono arrivato per deduzioni dopo aver parlato con alcuni dirigenti di Forza Italia. Europa, il quotidiano della Margherita, ha scritto che il Sic, il Sistema integrato delle comunicazioni, l’ha inventato Pilati nel 1987».
Pilati ha reagito al tuo libro?
«No assolutamente».
E Gasparri?
«Nemmeno».
Non è carino dire che la legge Gasparri non l’ha scritta Gasparri.
«Gasparri aveva addirittura messo in piedi una commissione guidata da Guido Alpa, grande professore di diritto, che aveva il compito di preparare uno studio che preparasse la legge. Alpa ha dovuto dimettersi quando ha letto sui giornali, prima ancora di consegnare lo studio, che la legge era stata presentata. È forte il dubbio che la legge sia stata recapitata a Gasparri già confezionata».
Durante un famoso week-end in Sardegna.
«Non ho le prove. E Gasparri smentì l’Ansa che scrisse che il ministro era stato segnalato a bordo di un fuoristrada nella villa sarda del Cavaliere pochi giorni prima della presentazione della legge».
Neri Marcoré, nella sua imitazione di Gasparri, dice che il ministro non solo non ha scritto la legge ma non l’ha nemmeno letta.
«Il sottosegretario Giancarlo Innocenzi, uno che di televisione capisce veramente, sostiene che Gasparri si è impegnato molto per capire la materia. Gli avranno fatto degli appunti».
Un veloce corso Cepu.
«E adesso la legge la conosce».
Hai mai partecipato a dibattito con lui?
«Mai».
Strano.
«Perché strano?»
Mi sembrerebbe normale, organizzando un talk show, invitare te insieme a Gasparri. Invece invitano una gnoccolona.
«L’unico che mi ha invitato è Giuliano Ferrara. E poi Omnibus, sempre su La7» .
Gasparri invece si è visto dovunque.
«Come il prezzemolo. Questa legge per lui è come la cocaina per un drogato».
Ti aspettavi una conduzione così privatistica della cosa pubblica da parte di Berlusconi?
«Ho un ricordo. Nel 1992 partecipai con Achille Occhetto e Vincenzo Vita a un incontro con Berlusconi, Letta e Confalonieri. Berlusconi parlò per una mezz’oretta chiedendoci di ammorbidire la nostra posizione sulle telepromozioni che – diceva – erano vitali per la Fininvest. Alla fine ci fu un attimo di silenzio. Occhetto guardava me, guardava Vita, Vita guardava me, io guardavo Vita. Risposi io. Dissi: “Cavaliere, è giusto che lei sia qui a battersi per gli interessi della sua azienda. Ma io sono stato eletto per gli interessi del Paese. E questi non coincidono con i suoi”».
La prese bene?
«Cominciò a gridare come un ossesso. Era fuori dalla grazia di Dio».
Che cosa diceva?
«Che aveva sempre fatto tutto quello che gli aveva chiesto la sinistra, che lui aveva rinunciato alla proprietà della Repubblica e che in cambio noi gli avevamo garantito che non avremmo rotto le scatole alle sue televisioni. Dava i numeri».
L’hai più visto?
«Nel 1994, alla fine del suo primo discorso da premier al Senato, mi venne incontro e mi disse: “Rognoni, ha visto che cosa mi ha costretto a fare?”. Questa è la prova della sua incredibile volontà di seduzione».
Questa è la prova che ha scelto la politica per salvare i suoi interessi.
«Lo disse anche ad Enzo Biagi. Entro in politica perché altrimenti mi rovinano».
Anche a te la voglia della politica è arrivata negli anni Novanta.
«Ho fatto il giornalista 30 anni e ho sempre avuto una grande fortuna: editori straordinari che mi hanno lasciato fare quello che volevo».
Ti sei sempre sentito libero?
«Agli inizi no perché mi sembrava di essere un po’ puttana, nel senso che scrivevo per chi mi pagava. Poi ho scoperto che si può tentare di dire la verità a prescindere da chi ti paga».
Sempre?
«Non sempre. Non dimenticherò mai quando cominciai a collaborare a Panorama. Gli operai della Finsider avevano bloccato le strade per protestare contro i fumi inquinanti della fabbrica e il tribunale li aveva assolti. Sechi disse: bella idea, scrivi l’articolo. Poi mi richiamò, vergognandosi come un ladro. Il pezzo va benissimo, mi disse, ma non posso pubblicarlo perché abbiamo appena firmato un contratto pubblicitario con le Partecipazioni Statali».
La censura della pubblicità è molto più dura di quella dei politici.
«Quando ero direttore di Panorama facemmo un’inchiesta sui grandi della moda italiana e sul lavoro nero. Minacciarono di togliere tutta la pubblicità alla Mondadori».
Come te la sei cavata?
«Andai a pranzo con loro. Spiegai che se lo avessero fatto sarebbe stato un errore, che avrei dato loro tutto lo spazio che volevano per contestare l’inchiesta ma dovevano dimostrarmi che quello che avevamo scritto era falso. Rinunciarono».
Gli inserzionisti hanno sempre avuto una certa arroganza.
«Successe anche con la Fiat. Un giornale della Mondadori, Autooggi, aveva pubblicato una prova su un modello Fiat che andava male. La Fiat minacciò di togliere la pubblicità. Mario Formenton, grande editore, chiamò l’amministratore delegato della Fiat, non ricordo chi fosse, e disse: “Ma veramente fareste una cosa di così cattivo gusto?”. E l’altro rispose: “Sta scherzando?”. E finì lì».
Sei mai stato invitato a cena ad Arcore?
«Una sola volta, tanto tempo fa. C’erano i direttori di tutti i giornali importanti, e anche metà governo. Grande cena. Alla fine scendemmo in un teatro sotterraneo dove c’erano duecento poltrone di pelle comodissime. Cantava Milva. E lui mi colpì perché faceva l’uomo delle luci. Le accendeva e le spegneva. E dava il segnale degli applausi. Tutti applaudivano quando lo diceva lui. Capii che non era roba per me».
Ricordi di ragazzino?
«Sono di Parma, città godereccia, figlio della cultura del maiale e delle belle donne. Non pensavo che avrei fatto il giornalista da grande. Avrei dovuto fare il filosofo».
Ti ha detto bene.
«Sicuramente. Oggi sarei Buttiglione».
Famiglia?
«Borghese, padre fascista, ex federale».
Tu per chi votavi?
«Sempre a sinistra. La prima volta Manifesto. Mi sentivo socialdemocratico, nel senso scandinavo. Quindi votavo Pci».
Il giornalismo?
«Mio padre lavorava alla Sipra. Quando morì, la Sipra mi chiese di scegliere fra la pubblicità e il giornalismo».
E hai scelto il giornalismo.
«Sole 24 ore. Selezione dal Reader’s Digest. E poi Panorama. Lì abbiamo fatto delle cose straordinarie. Eravamo una squadra di disperati. Be’, c’eri anche tu».
Non mi mettere in mezzo.
«Ti metto in mezzo. Le stanze rosse. Io, tu, Myriam De Cesco, Gianpiero Borella, Chiara Valentini, Giampiero Dell’Acqua… Ricordi?».
Ricordo che l’editore ci voleva licenziare tutti. Ma Lamberto Sechi ci difendeva.
«Le stanze rosse rappresentarono un momento di drammaticità fortissima. In una riunione di redazione Sechi disse: “Le stanze rosse sono sciolte”. A voi cambiò stanza. A me addirittura settore e mi mandò all’economia».
L’editore non ci voleva bene. Lamberto oggi passa per un pericoloso comunista. Ma era un liberale e ci difese. E infatti tu hai fatto carriera.
«Si cercava un nuovo redattore capo. Lamberto pensava a Giorgio Tosatti. Ci fu una riunione di redazione e tutti votaste per me».
Unanimità.
«Quasi. Tutti meno uno».
Dimenticherai mai quel nome?
«No, Carlo Rossella».
Perché ti votò contro?
«E chi lo sa? Comunque, se vuoi parlare dei voltagabbana possiamo partire da lui».
Battuta di Sabina Guzzanti: Carlo Rossella è la persona più coerente del mondo. Favorevole all’invasione sovietica dell’Afganistan da cossuttiano. Favorevole all’invasione americana dell’Afganistan da berlusconiano.
«Io gli voglio molto bene però Rossella è sicuramente un grande voltagabbana. Quando arrivò a Panorama era di Lotta Continua. Ci fu un periodo in cui veniva tutti i giorni in redazione con il basco alla Nenni. Lo ricordo socialista, comunista, repubblicano. E infine berlusconiano».
Altri giornalisti hanno seguito percorsi simili.
«Tipo Paolo Guzzanti? Sarebbe stato meglio se avesse seguito la vocazione di famiglia a fare il comico. Era un grande giornalista di sinistra. Peccato. Giornalismo e politica sono in conflitto di interesse. Non bisognerebbe fare i due mestieri insieme. Ma i più nefasti sono gli avvocati quando diventano politici. Per non parlare dei voltagabbana alla Pecorella, alla Contestabile. Li ricordo ai tempi della contestazione. Sinistra spinta. Oggi, Berlusconi spinto».
Peggio i voltagabbana o gli adulatori?
«Il voltagabbana è più chiaro, è uno che ti dice subito che cosa vuole nella vita, fare carriera. L’adulatore è uno che ti fa perdere tempo e basta».
Chi sono gli adulatori?
«I soliti Schifani e Bondi. Ma sono due caricature esagerate. E Fede, l’uomo che smaccatamente adora il capo».
E le trasmissioni televisive che vengono accusate di essere adulatrici?
«A me non mi invitano mai».
Nemmeno a Porta a porta?
«Mai».
Da Costanzo?
«Mai nella vita. D’altra parte su Panorama avevo pubblicato cose pesantissime sulla sua iscrizione alla P2. Secondo me se l’è segnata».
Dopo questa intervista Costanzo ti inviterà?
«Se è spiritoso sicuramente».
Le altre trasmissioni ti piacciono?
«Non mi dispiace Giovanni Floris».
Non ti ha invitato nemmeno lui.
«Prendo atto. Ma sembra sveglio e bravo professionalmente».
E Socci?
«Non mi piace, è legnoso, gli manca la battuta, la scioltezza. Non sa fare televisione».
Chi ti piace a destra?
«Quelli di destra destra, gli ex fascisti, li trovo molto più rispettosi delle istituzioni rispetto a quelli di Forza Italia. Non vengono dalle aziende».
Chi non ti piace a sinistra?
«Tanti, però tengo famiglia…».
Perché non volete Di Pietro con voi?
«Io ce lo voglio».
Gli altri no.
«Sbagliano. Di Pietro ha tutti i diritti di stare con noi».
Gioco della torre. Storace o Alemanno?
«Butto Storace. Alemanno ha l’aria di una persona per bene».
Mimun o Mentana?
«Butto Mimun. Il Tg5 è più obbiettivo. Il Tg1 è troppo attento alle esigenze di Berlusconi».
Ferrara o Polito?
«Polito ha soppresso la mia rubrica sul Riformista».
Diritto del direttore.
«E diritto mio di buttarlo dalla torre».
Panorama o l’Espresso?
«Mi tocca buttare Panorama col pianto nel cuore. L’hanno distrutto».
Schifani o Bondi?
«Butto Schifani. Bondi è cardinalizio, quindi soft. Schifani è violento».
Il Giornale o Libero?
«Butto Libero. Mi sembra uno spreco di carta. Alberi abbattuti inutilmente».
Se Berlusconi ti offrisse la direzione di Panorama, accetteresti?
«Ma neanche per scherzo».
Ti è mai venuta la tentazione di pubblicare il tuo libro alla Mondadori?
«Come fai a pensare una cosa del genere?»
D’Alema lo ha fatto.
«Non era un libro sulla legge Gasparri. Sarebbe stato contraddittorio pubblicare con la Mondadori un libro contro una legge che vuole il padrone della Mondadori».
È contraddittorio anche pubblicare con la Mondadori un libro che parla di una politica contraria a quella del padrone della Mondatori.
«Va bene, mi hai convinto. Secondo me D’Alema farebbe bene a non pubblicare più libri con la casa editrice di Berlusconi».
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