- 4 Luglio 2002
Voltagabbana e leccapiedi vanno per la maggiore. Dopo il libro di Pia Luisa Bianco, Elogio del voltagabbana, che l’anno scorso ravvivò il dibattito sull’abitudine di molti italiani di saltare il fosso per andare ad adulare un nuovo padrone, un altro libro appena uscito, Dal ’68 ai No-Global, di Piero Sansonetti, inviato dell’Unità, gli dedica un intero capitolo. «Voltagabbana ce ne sono tantissimi», spiega Sansonetti, da una vita nel «partito dei lavoratori», da una vita «nel giornale fondato da Gramsci». «Ma il dramma non è questo».
Qual è il dramma?
«La subalternità. Sono 30 anni, dal ’68, che è scomparso l’anticonformismo, la rottura con i poteri, la scuola, la famiglia, il partito, la chiesa».
Nostalgia?
«Enorme. Ma guarda i giornali! I commentatori dicono le stesse cose. Tutti i titoli sono uguali. Si è unificato il pensiero e si è unificato il centro di potere economico che controlla questo pensiero».
Anche i sessantottini si sono accomodati sulle migliori poltrone.
«Mica tutti. Molti hanno continuato la loro battaglia ideale. Mario Capanna, Paolo Flores d’Arcais, Raul Mordenti, Mimmo Cecchini, Guido Viale. Alcuni sono tra i leader del movimento no global. Franco Russo, Piero Bernocchi. Non hanno cambiato idea…».
Quindi sono dei cretini.
«È incredibile. Oggi si teorizza che tradire è un merito e restare fedele è una colpa».
Citi, come voltagabbana, Adornato e Foa.
«Due amici che trovo con dolore dall’altra parte».
Che differenza c’è tra un Mordenti e un Adornato? Tra un Bernocchi e un Foa?
«È un problema di intelligenza, forse. Per fare il voltagabbana non c’è bisogno di essere un genio. Nella coerenza ci vuole intelligenza».
E l’adulazione?
«Aldo Cazzullo, nella tua intervista, dice che l’adulazione può essere cortesia. Lui è torinese…».
Falso e cortese? Dai, è luogo comune!
«Scherzavo. Lui non è un adulatore. È un giornalista serio. I giornalisti seri non sono mai adulatori. O sono critici o sono cretini».
Esiste forse l’eccesso di gentilezza.
«A Berlusconi, a Rutelli, a Fassino, eviterei di fare troppi complimenti. Meglio una critica ingiusta che un complimento immeritato».
Sei per i giornalisti aggressivi? Quelli che fan paura a Baldassarre?
«Al contrario. Sono per un giornalismo sobrio. Ma Baldassarre mi fa ridere: non ne vedo tanti di giornalisti aggressivi in giro».
Che origini hai?
«Famiglia molto cattolica. Sempre a scuola dai preti. Prima al Massimo, poi al De Merode».
Chi c’era con te?
«Al Massimo, Luca Montezemolo, Gianni De Gennaro, oggi capo della Polizia, Giancarlo Magalli, che ci faceva morire dal ridere, Paolo Vigevano, Antonio Padellaro, condirettore dell’Unità, Lupo Rattazzi, figlio di Suni Agnelli, Rutelli. In classe mia c’erano molti bimbi con tanti cognomi, tipo Colonna o Torlonia o Gentiloni Silverj. C’era perfino un Bighi Ruspoli Forte Guerri. Quattro cognomi».
Canzoni, amori?
«A quelli della mia generazione il ’68 ha spezzato un po’ l’adolescenza. Per esempio non so ballare. Nel ’68 non si ballava. Sono stato subito travolto dalla politica».
E con la politica?
«Le sospensioni. Bastava fare un volantino e ti sospendevano. All’università andò meglio».
In quale gruppo stavi?
«In quello di Raul Mordenti, proveniente dall’Intesa, l’espressione universitaria della Dc. C’era Alberto Gianquinto, professore di Logica, che era un po’ la mente. Poi c’erano Enzo Modugno e Marco Bernabei, figlio di Ettore».
E gli altri?
«Franco Russo, Sergio Petruccioli, Paolo Flores d’Arcais, Piero Bernocchi. C’erano anche Potere Operaio, Franco Piperno, Lanfranco Pace, Luigi Rosati, Adriana Faranda, Fiora Pirri Ardizzone».
Il tuo massimo d’illegalità?
«Rubare libri alla Feltrinelli. Non eravamo mai violenti».
Mai mai?
«C’era all’università un fascista che si chiamava Marchesini. Aveva venti anni più di noi, una faccia cattivissima, una grande barba rossa e girava sempre con una vecchia zia ottantenne e con un adepto che si chiamava Scalfidi. Non era una presenza pericolosa ma qualche volta c’era la rissa. Lui era fortissimo, picchiava in maniera selvaggia. Da solo ne menava sette o otto. Una volta sulla scala di Lettere, cominciò a fare a botte con Luigi Rosati. Io avevo una spranga di ferro…».
Giravi con una spranga di ferro?
«C’era tensione quei giorni. Il Rettore aveva fatto entrare la polizia nell’Università. Tirai fuori la spranga dal cappotto e mi avvicinai a Marchesini per colpirlo da dietro».
E l’hai colpito?
«Ho pensato: “Ma che sono diventato matto”? Ho riposto la spranga e me ne sono andato».
Hai riusato la spranga qualche volta?
«Mai. Anzi. Mi ricordo quando ci furono di nuovo le votazioni all’università, nel 1975. Io ero Pci. I gruppettari volevano sfasciare le urne e noi facevamo una cosa orrenda: guardavamo le schede in controluce e se scoprivamo che uno aveva votato fascista lo picchiavamo».
Anche tu?
«No, ero contrario. Anzi ricordo di averne salvati due o tre».
Amori di quei tempi?
«Mi sono innamorato molte volte, ma non ho avuto storie. Ero timidisssimo. Quando mi misi con una ragazza, la sposai. Era Renata Ingrao, conosciuta al Giulio Cesare, scuola fascista, dove andavamo a proteggere i compagnucci ».
Come sei arrivato all’Unità?
«Mi chiamò Petroselli, capo della federazione romana. Avevo 23 anni».
Il primo giorno all’Unità?
«Terribile. Nessuno mi parlava. Arrivò un giovanotto, Sergio Criscuoli, si sedette vicino a me, si levò la giacca, tolse la pistola dalla tasca e la mise nel cassetto. Poco dopo arrivò un altro giovanotto, Fulvio Casali, si sedette alla mia sinistra e sfilò la pistola dai pantaloni. Poi arrivò un signore di una certa età, Franco Scottoni, sfilò una pistola da una tasca e un revolver da sotto l’ascella».
E tu?
«Io pensai: “Non è il mio posto. Adesso me ne vado”».
Perché due pistole?
«L’automatica per il tiro di precisione, il revolver per il tiro veloce».
Chi c’era in redazione?
«Capo cronista era Giulio Borelli, un rompicoglioni, ma bravissimo. C’erano Antonio Caprarica, che adesso sta alla Rai, Gregorio Botta, vicedirettore di Repubblica, Paolo Soldini, addetto stampa di Veltroni, Duccio Trombadori, addetto stampa di D’Antoni…».
Molti giornalisti di sinistra, come Trombadori, sono finiti a destra.
«Adornato e Foa. Paolo Liguori e Giampiero Mughini. Quello che trovo più fuori posto è Giuliano Ferrara, un ragazzo di sinistra che non riesce a separarsi dal suo passato».
L’ultima voltagabbana è Rosanna Cancellieri. Folgorata sulla via di Dell’Utri.
«Quando Antonio Caprarica la mandò via dall’Unità, sostenendo che non valeva niente, io la difesi. Forse aveva ragione lui».
C’era anche la Maglie all’Unità.
«Ma la Maglie era bravissima. Però spendeva troppo».
Adornato era un tuo grande amico.
«Era un ingraiano, un radicale, un estremista. Facevamo le vacanze assieme, ci vedevamo tutte le sere. Il suo passaggio a destra non me lo sono mai spiegato. Secondo me è stato affascinato da Cesare Romiti. Che adesso è un mito per la sinistra».
Quando Adornato è passato a destra, gli hai telefonato, gli hai scritto?
«Se dovessi scrivere a tutti i miei amici diventati di destra passerei la giornata alla macchina da scrivere».
E Foa?
«Con Foa facemmo un’Unità bellissima, vivace. Rimettevamo in discussione tutto, grandi valori di libertà, grandi provocazioni, come quando mettemmo sotto accusa Togliatti. Fu un gioco giusto, serio. Ma lui si è fatto prendere la mano. Non si è più fermato».
Perché venne cacciato dall’Unità?
«Non venne cacciato. Venne rimosso da direttore e decise di andarsene».
Adesso è condirettore di Liberal e scrive sul Giornale.
«L’ho incontrato tempo fa al Gay pride. Era un po’ imbarazzato, ma anche io. Allora l’ho preso in giro: “Sei impazzito, sei diventato fascista?”. E lui mi spiegò che l’unica cosa che rimaneva da fare era essere il più possibile politically incorrect».
Che tipo di comunista era Foa?
«Stalinista amendoliano. Nel Pci la destra era più stalinista della sinistra. Mi ricordo il processo a Jacoviello, all’Unità».
Ricordalo anche a me.
«Ero lì da poco. Jacoviello aveva dato un’intervista a Le Monde fortemente filocinese e antisovietica».
E fu processato.
«C’era la cellula del Pci dentro l’Unità. Si fece un’assemblea per decidere la sua espulsione. Significava perdere il posto: per lavorare all’Unità bisognava essere iscritti al Pci».
Chi voleva cacciare Jacoviello?
«Tutti i caporedattori, Renzo Foa in testa. L’unico che parlò in sua difesa fu Ugo Baduel, un vecchio grande personaggio, proveniente dal mondo cattolico».
E tu?
«Io ero giovanissimo, pauroso e rispettoso delle gerarchie. Ma dopo la votazione, che incredibilmente mandò assolto Jacoviello, andai da Baduel per congratularmi con lui».
E lui?
«Mi maltrattò: “Sei uno stronzo. Se non parlano i ragazzi chi parla? Se non siete voi a rinnovare chi rinnova?”. Aveva ragione. Fino a un attimo prima avevo pensato di nuovo che era meglio se me ne andavo».
E invece sei rimasto.
«Ho fatto il cronista politico per vari anni, poi il caporedattore di notte, poi quando scoppiò il caso Maresca caddi in disgrazia».
Riparlamene un attimo.
«L’Unità pubblicò un articolo di Marina Maresca, che era una ragazza di 24 anni, nel quale si accusava il ministro dc Scotti di avere trattato segretamente con la camorra. Ma il documento sul quale si basavano le accuse era falso».
Eri responsabile anche tu?
«No, ma la difesi. Ci fu un’altra assemblea, per decidere l’espulsione per indegnità morale».
Un vizio.
«Una schifezza. Presentai una mozione contro l’espulsione. Presi sei voti su 150».
Chi è stato il miglior direttore dell’Unità?
«D’Alema. Un grande direttore».
Stento a crederlo.
«Era un liberale. Ci faceva fare tutto quello che volevamo».
Facile così. Capaci tutti.
«Ma lui dava una fortissima impronta al giornale. Il giornale era suo, ma lasciava un’enorme libertà».
Come ti spieghi la grande crisi dell’Unità?
«Era un piccolo giornale che veniva gestito come se fosse il Corriere della Sera. E poi fecero il grosso errore di affidarlo a due direttori esterni, Fuccillo e Gambescia. Persero 40 mila copie in un anno».
Anche adesso lo hanno affidato a un esterno, Furio Colombo.
«Uno che gratta, che picchia, che non ha soggezione del potere. Uno dei dieci migliori giornalisti italiani. Mica due ragazzini quarantenni di non grandiose qualità professionali. I due direttori con i quali ho lavorato peggio».
Questa polemica fra Caldarola e Colombo?
«Sono grande amico di Caldarola, anche se abbiamo posizioni politiche diversissime».
Detto questo?
«Detto questo la polemica è stata brutta e immotivata».
Caldarola l’ha presa malissimo.
«Fu un errore dei giornalisti accusarlo e la reazione di Caldarola fu spropositata. Ma lui ha questo difetto. È iroso».
In che senso siete diversi politicamente?
«Lui è un ferreo dalemiano, io sono nato ingraiano».
E adesso sei colombiano?
«Non esattamente».
Sei no global.
«Per la prima volta vedo un movimento che non ha come obiettivo la presa del potere. La sinistra ha avuto l’ossessione del potere».
È così sbagliato?
«Sì. I successi maggiori la sinistra li ha avuti quando non aveva il potere. L’equo canone, la riforma sanitaria, la riforma psichiatrica, l’aborto, il divorzio, i patti agrari, il punto unico di contingenza, lo Statuto dei lavoratori. Quando stava all’opposizione il Pci governava molto più dei Ds nei quattro anni di governo».
Nel tuo libro parli anche di un generale e gigantesco «salto della quaglia».
«Danza della qualglia. La sinistra si è sempre dichiarata non violenta, poi ha votato la guerra. Negli anni ’60 e ’70 era per un totale garantismo e non vedeva di buon occhio i giudici. Poi ha cominciato a chiedere severità. Dopo Genova protestava contro il comportamento «fascista» della polizia. Ora si appella di nuovo all’ordine. E la destra, il contrario».
Chi è il Principe della Piaggeria?
«Sicuramente Bruno Vespa».
Molti lo difendono. Fa le domande e, se non rispondono, le ripete.
«Se non rispondo io. Se non risponde D’Alema stai sicuro che non le ripete. E se non risponde Berlusconi gli chiede pure scusa».
Il giornalista televisivo è a rischio di piaggeria?
«Tutti leccapiedi, tranne cinque o sei».
Dicono che Santoro è speculare a Vespa.
«Eh no. È più gentile con la sinistra, ma è dichiarato. Come Emilio Fede. Che però non è bravo come lui».
Le centrali dell’adulazione?
«Il mondo politico».
Tipo la corte di Bettino Craxi?
«Tipo la corte di Ciriaco De Mita. Pazzesca. Una volta scrissi un articolo prendendolo in giro. Il giorno dopo, davanti al gruppone dei giornalisti, chiese: “Chi è Sansonetti?”. “Io”. “Se c’è Sansonetti non parlo”».
I colleghi ti avranno difeso.
«I colleghi dissero: “Vattene che se no non parla”».
A volte i colleghi sono adulatori per avere le notizie…
«No, quelli erano proprio demitiani».
Chi ti piace della destra?
«Nessuno».
Qualcuno salva Casini.
«Non mi pare un gran salvataggio. Salvo la Artoni, la presidente dei giovani industriali che però non so se è di destra. Sull’immigrazione ha fatto il discorso più a sinistra che abbia sentito».
E tra i giornalisti?
«Se Pigi Battista è di destra, lo salvo».
Socci, Perna, Buttafuoco, Feltri, Belpietro…
«No, a destra non salvo nessuno».
Allora condanniamo qualcuno a sinistra.
«Bordon. Troppo facile?».
Salvi Mastella?
«Il povero Mastella è adorabile. Ho una passione per lui. Non è antipatico. Bordon invece è proprio antipatico».
Facciamo il solito gioco: Costanzo-Vespa, chi butti giù?
«Vespa è uno che è finito dentro la storia e pensava di stare nell’anticamera di Forlani».
Ricci-Fazio?
«Salvo Ricci. Fazio è andato a fare il grande alla “7”, poi ha incassato i miliardi e se n’è andato».
E che doveva fare, poveraccio?
«L’hai visto difendere Biagi e Santoro?».
Sgarbi-Urbani?
«Urbani lo butto giù dalla torre senza nemmeno pensarci».
Feltri-Belpietro?
«Feltri è un reazionario fottuto ma gran giornalista. Belpietro è un reazionario fottuto».
Mentana-Mimun?
«Salvo Mimun, ma solo perché i suoi bambini giocavano con i miei».
Che cosa hai contro Mentana?
«È sopravvalutato».
Lerner-Ferrara?
«Io sono un militante comunista! Salvo Lerner».
È vero che fai il tifo per il Milan?
«Certo».
Per la squadra di Berlusconi?
«Berlusconi è bravissimo, intelligentissimo. Nel calcio».
Quando è sceso dall’elicottero nello stadio…
«Spettacolare. Clamoroso».
Quando cacciò Liedholm?
«Prese Arrigo Sacchi e vinse lo scudetto».
Se lui se ne va, scendi in piazza con gli ultras?
«Io sono milanista, mica berlusconiano. Passo subito con il nuovo presidente».
Sei un voltagabbana.
«L’idea è il Milan, il resto cambia».
Nessun commento.