- 5 Giugno 2003
Santoro si’? Santoro no? Il tormentone dura da tempo, da quando il famoso diktat bulgaro di Silvio Berlusconi fu prontamente eseguito da Agostino Saccà. Ora che a capo della Rai ci sono Lucia Annunziata e Flavio Cattaneo le cose non sono cambiate. Santoro simbolo della libertà di stampa e delle prove tecniche di regime o Santoro esempio di arroganza e di giornalismo di parte?
Michele, provi fastidio?
«Fastidio no. Rabbia tanta. Quando vedo quelli della mia squadra stare fermi, abituati come erano a partire per il Kosovo o l’Afghanistan, mi intristisco. Mi chiedo se ho fatto bene a fare quello che ho fatto. Se ho fatto bene a cantare Bella ciao».
Pentito?
«No. Per? non è stata capita fino in fondo. Come capita quando si fa un gesto di tipo artistico. Era una sorta di riflessione con me stesso, una canzone strozzata, afona, stonata».
Tanto stonata.
«Sarei capace di meglio. Ma la drammaticità di quel gesto consisteva nel fatto di essere eccessivo. In certe situazioni ognuno di noi dovrebbe fare qualcosa che non è abituato a pensare di dover fare. Tipo, per me, cantare».
Costanzo ha cantato Contessa per solidarietà.
«Ha letto tre passi della canzone. Ha mantenuto la sua promessa a metà. Costanzo non fa mai cose che lo possano mettere in cattiva luce. ? il contrario esatto di me».
Molti contestano il tuo eroismo strapagato.
«? strano che chi si definisce liberale mi contesti quello che il mercato mi consente di guadagnare».
Quanto guadagni?
«Adesso sono ai minimi dello stipendio. Prima della cura guadagnavo molto meno della metà di quello che guadagnavo a Mediaset. Io non sono uno a cui piace il lusso. Vivo, tutto sommato, quasi come vivevo quando avevo 20 anni».
Adesso esageri.
«Ho una casa appena più grande. Mi consento alberghi migliori. Posso andare in giro per il mondo. Ma io ho sempre viaggiato moltissimo. Prima avevo più amici. A Salerno e a Napoli vivevo in mezzo ad amici artisti, pittori o scrittori».
Chi ricordi?
«Uno dei più cari è stato Filiberto Menna. Poi a Salerno con Edoardo Sanguineti ho dato vita a iniziative culturali importanti».
Ti hanno cacciato dal liceo perché avevi rigato la macchina di una professoressa.
«Ero il più turbolento e mi attribuivano qualsiasi malefatta. Non ho rigato nessuna macchina. Ero un tipo molto difficile, sempre al centro di quel poco di effervescenza che c’era nella scuola».
Eri anarchico anche a casa?
«Mio padre ferroviere ha fatto laureare cinque figli. Per lui era insopportabile il mio atteggiamento ribelle. Avevamo grandissimi litigi, ma eravamo molto legati. Sono stato cacciato dal mio liceo, ho perso un anno e ne ho dovuti fare due in uno. Ma bene o male mi sono diplomato. Anche se con il minimo dei voti».
Politicamente?
«Anarchico puro. Un disordinato, divoratore di letture della beat generation».
Eri un leaderino.
«Ero molto popolare in città. Un capo vero. A Salerno, nel mio piccolo, ero adorato, avevo legioni di fan. Ai miei esami di maturità vennero ad assistere centinaia di persone».
Eri uno sciupafemmine già da allora?
«Avevo il massimo della visibilità, ero di moda, era facile avere tutte le donne che volevo. Come succede ai fenomeni popolari, ai cantanti, agli attori».
Anche all’università andavi male?
«Mai meno di trenta. Mi laureai in filosofia con 110 e lode, prestissimo, al contrario di Giuliano Ferrara che credo non si sia nemmeno laureato».
Che c’entra Ferrara?
«C’è uno strano parallelismo fra noi. Entrambi abbiamo lavorato a giornali nati dopo il ’76, dopo i successi elettorali del Pci, lui Nuova Società, io Voce della Campania. Il suo era più ponderoso, più di riflessione. Il mio era più venduto. Il confronto è sempre a vantaggio mio, sul mercato».
Il tuo ’68?
«Fu una stagione molto allegra, di grandissimi rapporti umani».
Sei finito in Servire il Popolo, Aldo Brandirali, il movimento maoista italiano…
«Ero giovanissimo, ubriaco della felicità di vedere questo movimento studentesco che si sviluppava, preoccupato di vederlo rifluire a causa dello spontaneismo. Bisognava fare il partito e c’era questo modellino pronto, Servire il Popolo, tutto incentrato sull’organizzazione e sul Libretto Rosso di Mao».
Bruciare i libri borghesi, celebrare i matrimoni proletari, dare tutti i soldi all’organizzazione. Tu hai fatto un seminario sull’immoralità del rapporto orale.
«Mai fatto cose del genere. Anche tra i maoisti ero considerato un eterodosso. Le mie avventure sentimentali mi avevano fatto mantenere sempre un certo legame con la borghesia. I maoisti mi consideravano con sufficienza. E alla fine mi cacciarono».
Poi il Pci.
«Eterodosso anche l?, nella solita posizione scomoda. Un giorno, a un congresso, c’era anche Achille Occhetto, parlai ed ebbi un grosso successo, standing ovation e cose del genere. Il giorno dopo fui trasferito da Salerno a Napoli. Nel Pci di allora, se pensavi troppo con la tua testa, zac, te la tagliavano».
Ti hanno tagliato la testa ma ti hanno mandato a Napoli.
«A fare niente. Allora mi inventai una occupazione: la comunicazione. Per gli altri era inutile e sconosciuta. Riuscii a farla diventare importantissima. Poi cominciai a lavorare per la Voce della Campania dove alla fine divenni direttore. Lo feci diverso, senza rispetto per le istituzioni, aperto ai radicali, alla Napoli di Lucio Amelio, all’arte contemporanea. La Napoli comunista legata all’esperienza del realismo scalpitava. Non piaceva che io intervistassi su sette pagine Achille Bonito Oliva. O che recensissi Martone per primo in Italia. Volevano che facessi servizi sulla pittura del sindaco Valenzi. In breve…».
In breve ti hanno cacciato. Quando sei arrivato alla Rai?
«Venti anni fa. Al Tg3 c’erano molti giovani interessanti: Giovanni Mantovani, Paola Spinelli, Paola Sensini, un gruppetto di persone volute dal condirettore Curzi. Direttore era Luca Di Schiena preoccupato di far passare recensioni di mostre di amici suoi, nei dieci minuti dell’unica edizione. Per? c’era anche un settimanale e io andai l?».
Sempre in area protetta.
«Protetta in che senso?».
Sempre tra compagni.
«Bisogna aver conosciuto il comunismo da vicino per capire. Ogni comunista ha sempre la terribile presunzione di stare nella verità. Io non ho mai avuto la fortuna di essere in maggioranza, di decidere».
Ma come? Ti chiamavano Santorescu. Sei considerato da tutti un tipo autoritario.
«Nelle mie redazioni ho dovuto dirigere e ho diretto, certo, e forse talvolta l’ho fatto in maniera un po’ autoritaria, ma tutti hanno potuto lavorare senza censure».
Gloria De Antoni è scappata dalla tua redazione piangendo.
«Non era adatta a una trasmissione dura come la nostra. Adesso è una bravissima conduttrice e siamo rimasti amici. Mica mi odia».
Che cosa pensi dei voltagabbana?
«Non sono cos? severo. Mi è capitato tante volte di parlare, chess?, di Adornato, faccio l’esempio di un campione assoluto della categoria, ma gli ho sempre trovato mille giustificazioni».
Dimmene una.
«A sinistra c’è scarsa attenzione per le persone. Adornato, come tanti, si è sentito poco considerato ».
Dall’altra parte che aria tira?
«Quando io lavoravo a Mediaset, mi facevano sentire un re. A Mediaset coccolano le loro star, le vezzeggiano. ? lo star system. In Rai nessuno coccola nessuno».
Ferrara descrive il tuo periodo a Mediaset come una serie di fallimenti.
«I miei risultati Ferrara se li sogna di notte. Gli inserzionisti telefonavano per dire di togliere i loro spot dai suoi programmi».
Quando hai fatto andata e ritorno da Mediaset qualcuno ti ha dato del traditore.
«Soprattutto a destra, il Giornale, Il Foglio, "hai mangiato nel piatto di Berlusconi". Mancanza di cultura dell’impresa, di cultura liberale. Voglio essere giudicato per quello che ho fatto. Ho fatto delle trasmissioni servili nei confronti di Berlusconi?».
Torniamo ai voltagabbana.
«Mi piace di più il discorso dei chierici. Vedo ancora riflessi fascisti in Storace e Gasparri. Vedo ancora riflessi dell’organicità comunista in Adornato e Ferrara. L’obiettivo non deve essere la coerenza ma l’autonomia dai partiti. Guzzanti è un caso a parte. Molti amano stare con qualcuno che conta proprio perché non hanno spessore personale».
E l’adulazione?
«Non è un fenomeno del tutto negativo. Gli adulatori aiutano a vivere nei momenti di difficoltà. Quando qualcuno ti dice "come sei bello, come sei intelligente, come sei forte", anche se sai che mente, sei contento. ? piacevole subire il lavoro di un bravo adulatore».
Dire che Berlusconi è un grande statista, è adulazione?
«Troppo facile parlare di Schifani e Bondi dimenticando che cosa è Forza Italia. Quando li celebra i suoi congressi? Chi rappresenta la minoranza? Chi ha eletto il capo dei gruppi parlamentari? Dobbiamo aspettare che Mancuso si arrabbi per sentire queste verità?».
Salviamo Schifani?
«Schifani non potrebbe esistere se il sistema non fosse malato. Berlusconi non potrebbe esistere se noi fossimo un Paese liberale».
Singolare il tuo rapporto con Agostino Saccà. Siete stati sempre piuttosto legati.
«Io non sono mai stato legato a Saccà. Era l’assistente della Moratti. Con lei si era creata una forte collaborazione».
Poi sei andato a Mediaset.
«Continuammo a vederci ogni tanto e a parlare di tv».
È stato lui a dire che eravate amici.
«Quando gli serviva diceva che eravamo amici. Poi sono diventato un criminale».
Il tuo ritorno alla Rai è opera sua.
«Tecnicamente. Per me rimane una pagina un po’ misteriosa».
Che tipo è Saccà?
«È un classico personaggio Rai, convinto che questa azienda deve mettere la barra dove la politica decide che la barra vada messa. Ma con l’avvento di Berlusconi al potere questa barra è diventata troppo rigida, non c’è più spazio di navigazione. E quindi ci hanno stoppato».
Prima avevano stoppato anche Minoli.
«Però Minoli fu messo a fare il direttore di rete. Una punizione accettabile rispetto a quella che abbiamo subito noi».
Hai avuto fastidi a Mediaset?
«Ero la prova della loro indipendenza ed imparzialità. Detto questo, non sono un eversore. Non ho mai dato al mio lavoro in Mediaset una interpretazione provocatoria nei confronti di Berlusconi».
Momenti di tensione?
«Negarlo sarebbe una bugia. Quando facevo le trasmissioni su Dell’Utri le tensioni c’erano».
Da quando Lucia Annunziata è diventata presidente della Rai, l’hai sentita?
«L’ho incontrata alla festa della polizia e abbiamo parlato del più e del meno».
Strano.
«Di Lucia non posso che parlare bene. Ma come si fa ad archiviare il tentativo di presidenza Mieli, così, in 24 ore? Il centro-destra sarebbe stato a friggere sui giornali per un bel po’. Chi ha chiuso la partita facendo il nome di Lucia? E poi non capisco: che cosa è Lucia Annunziata? Se è un presidente di garanzia, non si capisce perché quando parla nessuno le dà retta».
C’è chi dice che tu metti il tuo caso al centro del mondo.
«Io voglio tornare a fare il mio lavoro come lo facevo prima. Non dimezzato. Questo silenzio è insopportabile anche per quella parte grande di pubblico incazzato nero per il fatto che noi non siamo in onda».
Beniamino Placido ti chiamava Gigi er bullo.
«Beniamino era uno degli intellettuali romani che giravano intorno a Rai Tre. L’emergere di una persona come me, fuori dei loro schemi, li ha infastiditi. Per questo Placido più di una volta mi ha degnato di una attenzione non benevola. Però poi mi ha dovuto celebrare come personaggio dell’anno».
Sei per la privatizzazione della Rai?
«Lo ero. Adesso mi sto ricredendo. Uno che ha il mio peso televisivo e che oggi fa ascolto anche stando zitto, dove va a lavorare? Questi bloccano tutto».
C’è La 7.
«La 7 è una rete in libertà vigilata. Il programma televisivo più interessante in Italia è quello che fa Giuliano Ferrara. Però qual è la posizione di Ferrara? Fronda intelligente di Berlusconi. Fronda. Come durante il fascismo. La 7 non può sviluppare una vera competizione né essere libera fino in fondo».
Ferrara è un liberale.
«Il liberalismo di Ferrara è una delle invenzioni di Paolo Mieli. Giri ne ha fatti tanti ma ha sempre bisogno di un uomo forte. A cui dare consigli».
Minoli ha detto che tu copi.
«Quando cominciai ad usare i sondaggi lui disse: "Li ho inventati io". Ma la televisione è come la natura, niente si crea e niente si distrugge. Minoli è sempre stato molto sensibile agli ascolti. Vedeva che noi facevamo ascolti sempre maggiori dei suoi e non era contento».
A sinistra chi hai fatto arrabbiare?
«Praticamente tutti. Rutelli quando abbiamo fatto un documentario sull’abbattimento di case abusive a Roma. Bertinotti quando mandai in onda gli operai bresciani arrabbiati per la crisi del governo Prodi. La Bindi, che è il mio idolo, quando feci scoppiare il caso Di Bella. D’Alema quando partecipò a una trasmissione molto critica nei suoi confronti. Velardi alla fine disse: "Per i prossimi due anni scordatevelo". Promessa mantenuta. Quante volte Vespa ha fatto arrabbiare Berlusconi?».
Domanda retorica.
«Ora trionfa il giornalismo embedded. Io vengo da te ma tu trasmetti il filmato del risotto. A me non piace la complicità tra giornalista e politico».
Gioco della torre. Annunziata o Mieli?
«Salvo Mieli, ma solo per l’importanza che avrebbe avuto il suo tentativo di dare autonomia alla Rai.».
E la tua amica d’infanzia?
«Non è stata mia amica d’infanzia. L’ho vista per la prima volta in uno dei circoli bene della città ed era anche una donna molto graziosa. Avevamo 18 anni. Siamo diventati amici molti anni dopo. Oggi farei tutto quello che è nelle mie possibilità per aiutarla nella sua difficilissima impresa».
Vespa o Costanzo?
«Butto Vespa».
Hai detto cose orrende di lui.
«Non le rinnego. Salvo Costanzo perché è un grande della televisione. Uno dei talenti assoluti. Ora sta rimanendo prigioniero delle sue escursioni nel varietà e la sua posizione monopolistica è stata scalfita e potrebbe subire un attacco dall’interno della sua azienda. Ma è sempre forte. Quando D’Alema va da Costanzo è come se si sedesse sul lettino dello psicoanalista».
E quando ci va Berlusconi?
«Con Berlusconi diventano tutti dei tappetini. Ma in privato Costanzo ci parla da pari a pari. Non credo che Berlusconi lo ami. Ha con lui un rapporto un po’ misterioso. Una volta, prima di venire ad una mia trasmissione, gli chiese di fargli un quadro di me come persona».
Socci o Floris?
«Salvo Floris ma Socci mi incuriosisce. Sul piano televisivo è imbarazzante. Deve fare esperienza».
Previti o Dell’Utri?
«Dell’Utri è più simpatico. Butterei Previti ma mi rimarrebbe sempre il dubbio di aver buttato giù il meno pericoloso».
Travaglio o Maltese?
«Butto giù Maltese. Ma solo perché io, Travaglio e Luttazzi facciamo parte della stessa compagnia, il Pci, partito dei comici italiani».
La disavventura comune.
«Siamo legati per la vita».
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