- 6 Giugno 2003
Francesco Cardella molti lo ricordano editore porno, oppure guru arancione, oppure amico di Craxi, oppure sospettato di aver fatto uccidere il suo migliore amico, Mauro Rostagno, oppure organizzatore di falsi corsi di formazione, oppure latitante in Nicaragua dove viveva su un albero e faceva il pittore e il biscazziere. Io ho un ricordo molto vecchio di lui. Nel 1974 venne a trovarmi nella mia casa milanese in via Orti insieme a sua moglie Raffaella Savinelli, figlia del re delle pipe. Dissi loro di entrare. “Fai entrare anche tuo figlio”, dissi. “Non è mio figlio”, disse Cardella. “È Bobo”. “Fai entrare anche Bobo”, insistetti. Si materializzò davanti a me un piccolo scimpanzé, Bobo, vestito di tutto punto, pantaloni, camicia, cravatta. Andammo a mangiare in un ristorante di Brera, io, Raffaella, Francesco e Bobo. Francesco voleva affidarmi la direzione di “Abc”, mitico giornale della sinistra radicale, quello delle battaglie del divorzio e dell’aborto, in crisi di vendite. “Quanto guadagni? Ti do il doppio”. Roba da film americano. Io lavoravo come vice caporedattore a Panorama. Il doppio era un milione al mese. Dissi: “Può darsi, ma non vorrei cenare con Bobo”. Raffaella prese Bobo e ci aspettò fuori. Andai ad Abc che portai velocemente alla chiusura. Sono passati trent’anni. Quando ho letto che Francesco era tornato dalla latitanza mi sono precipitato a Palermo. Raffaella? “Morta dopo una brutta storia di droga”. Bobo? “Morto suicida in un fiume africano”. Tu? “Eccomi qua”. Francesco, hai ammazzato Rostagno? Hai rubato soldi allo Stato? “Piano”. Va bene, comincia da quando eri bambino. E qui comincia l’intervista a Francesco Cardella, un’intervista interrotta ogni tanto da qualche domanda o simildomanda. Perché Cardella è un logorroico e fargli domande è come spegnere un fuoco col cherosene.
“Vivevamo in una famiglia borghese a Trapani. Mio padre era direttore delle poste, mia madre una pianista che aveva rinunciato alla carriera per sposarlo. Mio padre era un atleta che aveva fatto parte della nazionale italiana e aveva il record italiano di salto in lungo, sette metri e quaranta. Neanche poco, era il 1940. Dovette smettere di saltare per andare in guerra”.
Durante la guerra tu eri piccolo.
“Non ricordo nessuna sofferenza. Anzi. Ricordo un periodo bellissimo, ero contornato da donne che si occupavano di me. Gli uomini erano tutti in guerra. E vivevamo sfollati in mezzo a una stupenda campagna. La guerra per i bambini era un gran divertimento. La notte c’erano le pallottole traccianti, per noi era come vedere i fuochi d’artificio, c’era il rumore degli aerei che passavano e che andavano a bombardare Trapani, qualche volta durante il giorno c’era l’allarme e noi ci ficcavano sotto i letti. Un grande divertimento”.
Che clima c’era a Trapani?
“Trapani è sempre stata una città di destra. Mio padre l’otto settembre andò al nord però non per convinzione politica ma per senso dell’onore, perché un patto non si può tradire. Il mio primo giornale fu Telestar, un giornale di destra, mezzo mafioso, che voleva essere contraltare dell’Ora di Palermo. Era un giornale della sera ma il primo giorno non uscì prima di mezzanotte e noi ci facemmo una grande risata. Fu un avventura divertente”.
L’università?
“A Roma, Scienze politiche. Abitavo in una pensioncina che chiamavo il sommergibile perché la mia stanzetta era stretta stretta, ci stava appena il mio letto. Ma io non riuscivo mai ad andare a dormire, la sera uscivo e camminavo, camminavo, camminavo, passavo la notte in giro per Roma, mi affascinava la città, era il periodo della dolce vita, c’era via Veneto, guadagnai un sacco di soldi quando bruciò l’albergo e la gente si buttava dalle finestre. Ero con un fotografo, Alexis, fotografammo e vendemmo al Messaggero. Fu il mio primo colpo giornalistico. In tutto il periodo dell’università sono sopravissuto facendo collaborazioni, lavoravo per un settimanale che si chiamava “Cronaca Nera” che parlava solo di delitti, mi davano dei ritagli dei quotidiani locali e io dovevo scrivere un pezzo come se fossi stato inviato, ogni articolo diecimila lire che allora erano soldi, da casa ricevevo trentamila lire al mese, venticinque mila andavano per la pensione. Avevo conosciuto Luciano Oppo, direttore dello Specchio che era una specie di Espresso di destra. E collaboravo anche con lui. Un giorno mi fece una lettera di raccomandazione per il direttore di Momento Sera, giornale che ogni tanto assumeva qualche giovane. Io andai ma non mi fecero parlare col direttore. Mi dissero di lasciare la lettera ma io la lettera non la volevo mollare e così me ne andai senza assunzione ma con la lettera. Quando Oppo diventò direttore del Corriere dello Sport mi presentai da lui con la sua lettera di raccomandazione. Non mi assunse nemmeno lui. Era proprio difficile allora trovare un posto. Tornai a Trapani e ogni tanto scendevano in Sicilia i grandi inviati del nord che mi dicevano sempre che Parigi era una grande figata. Caricai tutto sulla mia Triumph Pr3 spider e partii per Parigi. Ma arrivato a Roma mi fermai e andai con Oppo a lavorare a Playmen, mensile di donne nude inventato da Balsamo sulla scia dell’americano Playboy. Playmen pagava bene. C’erano le riunioni del venerdì sera drammatiche per un giovane come me”.
Francesco, respira.
“Dovevamo produrre delle idee e io ero sempre l’ultimo a parlare. Ero il più sfigato perché nessuno prima di me produceva idee e allora tutti mi guardavano speranzosi. Un giorno dissi: “Facciamo un fumetto su Supersex, un extraterrestre superdotato”.
Quello che quando raggiungeva l’orgasmo diceva “Ifis cen cen?”.
“Bravo, ti trovo preparato. Lo facemmo anche in Francia. Altri soldi. Ma non diceva più ifis chen chen. Diceva “u cha cha”, o un’altra puttanata del genere. Poi varie vicissitudini. Tipo il giornale porno per intellettuali. A Genova. Si chiamava “Executive”. Andai da Pasolini con una faccia tosta incredibile. Lui mi presentò la vecchia madre, mi tenne a colazione. E io gli spiegai l’idea di un giornale patinato con foto di donne nude e articoli molto colti e importanti”.
Tipo Playboy americano.
“Esatto. Lui mi disse: “L’idea è bellissima ma ho un casino di cose da fare. Potrebbe occuparsene Alebrto Moravia, ma anche lui ha molto da fare”. Insomma Pasolini fu molto carino, molto pietoso con me, e invece di mandarmi a quel paese alla fine mi consigliò di rivolgermi a Enzo Siciliano. Andai da Enzo Siciliano che accettò con grande entusiasmo. Facemmo il primo numero che venne bellissimo, con scritti di Siciliano, di Moravia, di Pasolini. Venne fuori un pieno enorme, Moravia si incazzò a morte, Siciliano disse che non ne sapeva niente, quel traditore. Fine dell’esperimento del erotico-intellettuale”.
E parte l’Ora, il quotidiano che non si legge ma si divora.
” Non ancora. Prima c’è Jazz, per l’editore Peruzzo, un giornale di cultura, che pubblicava Bulgakov e Marquez e testi della sinistra extraparlamentare. Fu in quella occasione che diventai amico di Mauro Rostagno, di Adriano Sofri, di Guido Viale. E poi c’è Rodeo Far West, una specie di spettacolo di cow boy e di indiani che portammo in giro per l’Europa, dietro il quale c’era Barney Konsiet (?), l’inventore dei fondi comuni di investimento, un miliardario che andava in giro sempre col barbiere personale e il violinista personale. Finì in un mare di debiti”.
Una vita avventurosa.
“Poi incontrai Antonio Cafieri, tipografo comunista che aveva una vecchia macchina da stampa cecoslovacca. E facemmo Ora, il quotidiano che non si legge ma si divora”.
Politica, gossip…
“Vincino dice sempre che fu il quotidiano cui si ispirarono per fare il Male. Pubblicavamo perfino la borsa della droga. Dopo due mesi affogavamo nei debiti e facemmo un paio di giornaletti porno, OS. OV, ne facevamo sette od otto e cominciammo a fare un sacco di soldi. Ci comprammo una macchina da stampa enorme. A questo punto arrivò sul mercato 600 milioni per comprarlo. Massimo Pini, quello della Sugarco, socialista, andò da un distributore e gli chiese tre miliardi per portargli Abc.
Noi andammo dal nostro distributore, Parrini, che già faceva un sacco di soldi con i nostri giornaletti porno e gli chiedemmo solo 250. Coi suoi 250 milioni demmo la caparra e cominciammo a stampare e vendere Abc. Due settimane dopo gli dicemmo: ”Guarda, adesso ti possiamo portare anche “Cronaca vera”. Ci servono altri 400 milioni”. Parrini, nell’entusiasmo, ci diede i 400 milioni. Coi 400 milioni noi pagammo i 250 milioni che rimanevano e ci rimasero anche i soldi per cominciare a gestire Abc”.
Una truffa?
“Certo. Ma i nostri porno vendevano tantissimo. Lui abbozzò e fu contento”.
I porno erano pericolosi?
“No. Li sequestravano in edicola quando erano già tutti venduti”.
E i direttori non rischiavano?
“Avevamo sempre le redazioni al piano terra. Quando vedevamo arrivare i carabinieri, i direttori scappavano dalla finestra sul retro”.
Abc era un giornale politico.
“Andai da Bettino Craxi, da Marco Pannella”.
Come sei entrato nel giro dei socialisti?
“Mi ci portò Colucci, un deputato socialista milanese. Io dissi a Bettino: “Ho Abc. Trovami un direttore importante”. E lui mi trovò Ruggero Orlando”.
Perché ti serviva Craxi?
“Perché in Italia non si poteva fare un giornale senza sponda politica”.
Tu eri socialista?
“Sono sempre stato socialista”.
I tuoi amici erano quelli di Lotta Continua.
“Rostagno diceva sempre: “Meno male che non abbiamo vinto”. Te lo immagini uno Stato con Sofri presidente del consiglio Sofri? Adriano è intelligente, per carità, ma è un noto fuori di testa. Avremmo avuto come ministro degli Interni Pietrostefani, uomo profondamente illiberale”.
Insomma venne Ruggero Orlando.
“Mettemmo un televisorino in tutte le edicole. ”Buon giorno, qui vi parla Ruggero Orlando, da oggi sono direttore di Abc”. Orlando andò bene ma aveva una moglie rompipalle che voleva stare in redazione e non voleva che ci stessi io. Un giorno tirò un posacenere in testa al redattore capo. E Ruggero Orlando fu costretto a dimettersi. Io volevo che Abc entrasse nel mercato di Panorama e dell’Espresso. E chiamai te”.
Tralasciamo. Conflitto di interessi.
“L’operazione non andò bene. Tu eri troppo moralista. Io prendevo i soldi dalla Montedison e tu attaccavi tutti i giorni Cefis. Il giornale perdeva 50 milioni alla settimana. Ma gli altri giornali ci rendevano un enorme flusso di danaro. Però il mio socio mi fregava”.
Tu giravi in Bentley.
“Giravo in Rolls. Quando chiudemmo Abc, per un anno incassai tantissimo. Alemno cento milioni alla settimana. Poi un giorno, senza nemmeno avvertire il mio socio, me ne andai. Era un brutto periodo. Mia moglie mi aveva lasciato e se ne era andata con Bobo in Africa. Credo di essere l’unico uomo al mondo lasciato dalla moglie per uno scimpanzé”.
E tu?
“Io sono andato in India. A Poona, dal Bagwan Rajsnish”.
Gli arancioni.
“Gli arancioni. Quando tornai in Italia fondai la comunità terapeutica.
(fine bobina)
Il tuo rapporto con i soldi?
“Da bambino, avevo quattro anni, vedevo che i miei amici avevano scoperto un aereo caduto durante la guerra e pezzo a pezzo lo smontavano e andavano a vendere i pezzi. Ci andai anche io e mi cacciarono. Una volta, due volte, mi cacciavano sempre. E allora mi incazzai. Io sapevo dove loro andavano a vendere. A un chilometro e mezzo dalla carcassa dell’aereo c’era la strada provinciale. Quando passava quello con il carretto comprava l’ottone a un prezzo, il ferro a un altro prezzo. Una mattina andai presto sulla strada e dissi al tipo del carretto. “Te lo vuoi comprare tutto l’aereo?”. Quello disse di si e mi dette mille lire”.
Morale?
“Morale, io non sono mai stato ricco e non sono mai stato povero. Ma quando ho voluto avere soldi li ho avuto. Raishnish diceva: “Essere ricchi è meglio che essere poveri. Però non vi abituate né alla ricchezza né alla povertà. Non sbattetevi troppo per questa la ricchezza. Può rubarvi la vita. Io non ho fatto nulla nella mia vita per avere soldi. Ma ho sempre avuto facilità nel procurarmi la grana. Ho fatto il giornalista e ho fatto un sacco di soldi. Ho fatto l’editore e ho fatto un sacco di soldi. Ho fatto il gutu e ho fatto un sacco di soldi. Mi ricordo Bettino che mi prendeva in giro. “Ma come? Io sto cambiando il Paese e tu ti occupi di trenta sfigati della tua comunità?” Ma io sapevo che dovevo fare quella cosa lì. E quella cosa lì ad un certo punto ha cominciato a produrre un sacco di soldi”.
Quando ha cominciato a produrre soldi?
“Quando è morto Rostagno. La morte di Rostagno scatenò un’isteria collettiva. Rostagno diventò un icona, un santo e noi, io e sua moglie Chicca Roveri, di riflesso venimmo illuminati dalla sua luce. Calcolammo che i giornali e la televisione ci fecero cinquanta miliardi di pubblicità gratuita. E le donazioni cominciarono a piovere. Ricordo un uomo tirchissimo che mi si avvicinò ai funerali di Mauro e mi dette un assegno di quattro milioni. E anche le contribuzioni pubbliche arrivarono una dietro l’altra. Prima non ci si filava nessuno. Improvvisamente diventammo dei grandi personaggi. Alla Chicca dettero una medaglia d’oro a Genova a me l’Ambrogino d’oro. Ci regalavano case, interi palazzi per fare nuove comunità. Arrivammo a 23 comunità in Italia e mille ospiti e 250 operatori.
Ti contestavano di andare sullo yacht, “il povero vecchio”.
Ci andavo con i tossicodipendenti. Ci andassero loro con i tossicodipendenti, brutti figli di puttana, che se ne vedevano uno da lontano vomitavano”.
Torniamo a Poona, al Bagwan.
“Avevo lasciato Cafiero, l’editoria. Avevo molti soldi però mi chiedevo: che faccio della mia vita? Mi pareva di aver bruciato tutte le mie chances. In Italia c’erano ammazzamenti, sparatorie, terrorismo. Vedevo Rostagno, frequentavo Macondo, avevo comprato un palazzo enorme in via Plinio, frequentavo una ragazza comunista di Soccorso Rosso. Spendevo soldi vivevo bene. Facevo grandi giri per il mondo con la mia barca. Con Rostagno decidemmo di pubblicizzare il Bagwan e realizzammo “Il guru a dispense”. Erano i discorsi del Maestro. Non se ne fece niente ma conoscemmo il Maestro e diventammo arancioni. Per tre anni, dal 78 all’81, siamo stati in India. Rostagno lavorava in lavanderia , io in cucina. All’inizio scaricavo sacchi di juta pieni di barbabietole. Poi sono passato a lavare i piatti, poi a tagliare il pane. Tagliare il pane era una cosa sufi, importante, veniva la gente a vedere come tagliavo il pane. Doveva essere di 8 mm esatti ogni fetta. Poi mi hanno passato a cucinare per i dirigenti. Poi al supermarket dove stavo alla cassa. Dovevo fare i conti ma in realtà non li facevo. Guardavo in faccia la persona, se era un poveraccio gli facevo un prezzo basso, se arrivava un giapponese tutto elegante sparavo. Poi un giorno il Maestro se ne andò in Oregon, mollandoci soli tutti e 5 mila. Io e Mauro tornammo in Italia, andammo nella mia casa nella campagna di Trapani e ci dicemmo: “Perché non aprire qui un ombrello per tutti quelli che se ne vanno via dall’India e non sanno dove cazzo andare? Pensavamo a qualche decina di persone. Ne arrivarono centinaia”.
Che cosa facevate?
“Vivevamo in questo vecchio baio siciliano che avevamo ristrutturato, un cascinone grande con una bella piscina, con gli orti, gli alberi, si viveva insieme, si mangiava insieme, si dormiva insieme e poi si facevano queste tecniche di liberazione del corpo. La meditazione dinamica, immagino che tu sappia che cosa è…”
La meditazione dinamica?
“Non hai mai letto niente? È una tecnica che si fa all’alba: tu fai delle respirazioni, iperventilazione del corpo, espressione della rabbia accumulata, dei dolori, poi un salto verso l’alto lanciando le braccia in alto e ricadendo piegando le ginocchia e facendo un grosso respiro che serve per abbassare il diaframma. Tu lo sai no che quando il diaframma è basso tu vivi in uno stato di calma? E che quando il diaframma è alto, è il contrario?”
Insomma….
“Io cominciai a fare il guru e il Maestro mi mandò un’ispezione. Ma lo convinsi che andava bene così. Per un paio di anni raccolsi soldi per il Maestro in Italia. Poi mi stufai e quando chiese a tutti noi di andare in Oregon io e Mauro decidemmo che non ne avevamo nessuna voglia. E nacque l’idea di occuparsi dei tossicodipendenti o meglio di tutti quelli che provavano sofferenza a vivere”.
Anche i tossici li curavi con la meditazione dinamica?
“Usavamo molte tecniche. Una era il sogno guidato. Me la insegnarono a Poona. Induci un soggetto in uno stato ipnotico, gli fai immaginare una serie di situazioni, per esempio sta galleggiando dentro un fiume, poi la corrente aumenta, e la corrente lo porta dentro un buco, lui va sotto terra. Piacere e paura. A seconda di come reagisce tu puoi capire in quale situazione psicologica generale si trova e aiutarlo. Sostanzialmente li tenevamo lontani dalla droga. Nell’ambiente dei tossico dipendenti teoricamente non avrebbe dovuto circolare però circola sempre, noi non ci eravamo fatti delle illusioni. Quando uno veniva beccato veniva allontanato. Noi dicevamo: entrare é difficile, uscire è facilissimo. Perdevamo un casino di gente. Le guarigioni erano pochissime, ma la riduzione del danno molto alta”.
Poi tutto questo finisce.
“Un giorno arrivò la polizia e mi arrestò. Per i corsi di formazione”.
Inventati.
“Ma stiamo parlando di tossicodipendenti, vi rendete conto? Una comunità non è mica una fabbrica, un’azienda, un’università. Noi non abbiamo fatto altro che presentare come domanda per corsi le cose che già stavamo facendo. Avevamo 23 comunità, avevamo della terra, si facevano delle cose che riguardavano la terra, gli orti, in tutte le comunità c’era gente che faceva gli orti. Poi quando c’era il bando di concorso si presentavano due, tre quattro progetti che dicevano “il pomodoro stupendo, corso di formazione per imparare a coltivare i pomodori”. Lo Stato prometteva soldi nel 90, me li dava nel 93, mi chiedeva la documentazione nel 95 e sette anni dopo mi contestava che la documentazione non era corretta. E’ stata una vergogna, io mi sono vergognato per loro che mi arrestavano. Io non ho truffato lo Stato, ma ho dovuto patteggiare sennò non uscivo di galera.
Poi è partita l’indagine sul peculato (avrei preso più soldi del dovuto ma soprattutto me li sarei tenuti io. E poi mi hanno appioppato l’omicidio di Mauro, il mio più caro amico”.
E sei scappato.
“E che dovevo fare? Mi stavano arrestando di nuovo, è evidente. Guardami: sono in Italia e sono libero. Significa che mi avrebbero arrestato ingiustamente. Perché dovevo continuare a fare della galera ingiusta? Era il 95, erano anni strani in Italia, anni di collaborazione tra gli avvocati e le Procure. Quando il mio avvocato, Grazia Volo, mi invitò a presentarmi, io le dissi che l’avrei fatto. E lei mi disse: “Grazie, grazie”. A quel punto capii che era meglio0 scappare”.
Tu hai ammazzato Rostagno?
“Rostagno era mio amico, io non sono uno che ammazza gli amici. Sono rimasto sotto inchiesta sette anni. E adesso sono innocente. Archiviato. Per cui io non ho nemmeno diritto a leggere le carte perché, quando si archivia, le carte rimangono segrete”.
Chi ha ucciso Rostagno?
“Non lo so. Ma ho detto subito che era un delitto di mafia”.
Tu frequentavi molto Bettino Craxi?
“Sì, quando non era più presidente del consiglio, anche se contava ancora molto. Passavamo insieme il week end a Milano. Andavamo a giocare ai cavalli, ai mercatini di cose militari. Io ero importante per il Psi che non aveva un’anima sociale mentre io avevo la Comunità. Il Psi aveva qualcuno da mostrare ai congressi”.
Che cosa ti ricordi di Craxi?
“Ho tanti ricordi. Mi ricordo che mi parlava dell’affare Sme. Mi diceva: “Si sono messi d’accordo per darla a De Benedetti per quattro lire”. De Benedetti non poteva sopportarlo perché attraverso Repubblica e Scalfari gli aveva rotto le palle durante la sua presidenza”.
Quando sei scappato, Chicca Roveri, che era stata arrestata, ti mandò un messaggio attraverso i giornali invitandoti a tornare.
“Non fu una cosa carina da parte sua. Io glielo avevo detto: “Non tornare in Italia, ti arrestano. I giudici trapanesi hanno avuto la delega per divertirsi su di noi. Vogliono giocare a Mani Pulite”. È brutto stare dentro, è terribile. Io scappai a Los Angeles. Avevo 10 mila dollari, comprai una macchina e insieme alla mia compagna, la bellissima Claretta Hosszufalussy, cominciai a girare per l’America Latina. All’inizio ho vissuto con i soldi prestati da amici. In parte li ho restituiti, in parte no. Come prima cosa mi fermai in Belize. Poi arrivai in Nicaragua”.
È poco credibile che non avessi una lira. Hai maneggiato miliardi.
“Capisco che non è facilmente accettabile. Mi hanno beccato in un momento in cui tutto pensavo tranne che dovessi scappare. Era tutto intestato alla Comunità”.
Vivevi alla grande.
“Facevo una bella vita. Avevo un problema di rappresentanza. La Comunità era una grande realtà. Pensavo di avere necessità di una immagine. Non avevo nessun attaccamento al denaro. Quando tutto questo è finito, non me ne fregava niente. Non ho più l’aereo? Pazienza”.
A proposito di aereo.
“Certo, il fantastico aereo con il quale spupazzavo Craxi aiutandolo a eludere le difficoltà della latitanza…”
Tutte balle naturalmente.
“Bisogna parlare di Pietrostefani. Quando muore Rostagno si presenta da me Pietrostefani e mi dice: “Guarda Cardella che tutta questa roba, la Comunità, è nostra”. “Come sarebbe a dire vostra?”, dico io. “È di Lotta Continua, Mauro era di Lotta Continua, quindi l’ha lasciata a noi”, dice. E io: “Siete scimuniti e non mi rompete il cazzo”. Passa un giorno e Pietrostefani torna e dice: “Mi fate lavorare con voi?” E io gli dico: “Perché no?” e gli affido la nuova comunità calabra”.
L’hai presa alla lontana.
“Io volevo internazionalizzare Saman, avevo aperto in Francia, avevo fatto una società a Malta, avevo comprato due navi in Finlandia come base di appoggio per una operazione in Somalia. Insomma un aereo ci serviva. Spendevamo 700 milioni all’anno di biglietti aerei. Qualcuno me lo disse. “Ma perché compri questo aereo? Sarà la tua rovina”. Avevano ragione. Io credo che l’aereo sia stato uno dei motivi fondamentali della vampata di odio, di gelosia, di invidia che mi ha investito. Insomma a gestire l’aereo era una società che faceva capo a Pietrostefani”.
Ti sei mai drogato?
“Insomma drogato. Prima della comunità sì. Dopo la Comunità, si. Durante no. Canne, spinelli, fumo. Eroina no”.
Cocaina?
“Avevo tirato la cocaina qualche volta per provare, vai ad una festa e ti passano la cartina. Mi metteva in alto. Ma non ho sentito mai una grande passione francamente”.
Eravamo alla storia dell’aereo.
“L’aereo è diventato uno scandalo nel 1995 quando sostennero che Craxi l’aveva usato per i suoi giri segreti durante la latitanza”.
Vero o falso?
“Falso. Il pilota lo disse: “Andate a guardare le carte e scoprirete che Craxi ha viaggiato su questo aereo, nel ’93 e nel ’94, quando era nella bufera ma era ancora deputato, andava da Roma a Tunisi, da Roma a Nizza, ma non era latitante”.
Sei andato a trovarlo ad Hammamet durante la latitanza?
“Certo che ci sono andato. Mia madre aveva ottantacinque anni e io volevo vederla. Non potevo tornare in Italia e allora ci davamo appuntamento a casa di Bettino, in Tunisia”.
La tua vita da latitante?
“Mi sono messo a dipingere. Vendevo quadri anche a 800 dollari, a mille dollari. Andavo a pescare, facevo il bagno, elaboravo il mio lutto”.
Perché sei andato in Nicaragua?
“Dovevo pur fare qualche cosa per mangiare. In Nicaragua c’era Daniel Ortega che era stato aiutato da Bettino, al tempo della rivoluzione contro Somoza. Quiandi avevo un’entratura”.
Tu avevi la sensazione che il Psi di Bettino esagerasse in qualche modo?
“L’arroganza del potere c’era. Io mi ricordo l’impressione che mi fece la sede del vecchio Psi, era un posto tutto cadente. In via del Corso, nel nuovo Psi, era pieno di ascensori, tappeti, quadri. Ma io frequentavo Bettino, non il Psi. Gli altri socialisti li incontravo ogni tanto e mi stavano anche sulle palle. Bettino non era come loro. Il cameriere nero, tutto vestito di bianco, in guanti bianchi, che serviva a tavola nella villa di Martelli sull’Appia Antica pagata dal partito era una cosa vergognosa. Ci sono stato una volta e non ci ho più rimesso piede. Quante volte Bettino si lamentava: “Quel figlio di puttana, ma lo sai che cosa ha fatto?””
Però le sentenze parlano anche di arricchimento personale per quanto riguarda Craxi.
“Bettino era uno che viveva bene. Mangiava nei ristoranti buoni. Ma non aveva stranezze. Non diceva: “Prendiamo l’aereo e andiamo a Parigi a mangiare le ostriche. Non gli passava neanche per la testa. In fondo me la passavo meglio io di lui perchè lui aveva addosso un sacco di cani a morderlo”.
Accompagavi Bettino nei salotti milanesi?
“Due o tre volte trascinato da lui. Una volta da Gancia, mi ricordo, e un’altra volta in una villa di Portofino”.
In Nicaragua ti sei costruito una casa su un albero.
“All’inizio avevo una casa in affitto. C’era il fratello del sindaco di Milano, Pillitteri, che aveva un’agenzia di pubblicità e quindi sono andato a lavorare con lui. Non è stato un grande successo. Poi, insieme a Pillitteri e ad altri comprammo degli aliscafi russi ma anche questo affare finì male. Poi ho comprato un po’ di terra che ho rivenduto. È andata meglio. Con i soldi guadagnati con i terreni sono diventato biscazziere. Adesso ho il 50% di un casinò a Managua”.
Sei tornato a fare un sacco di soldi.
“Un sacco di soldi no. Un po’ di soldi sì. Dipende da come va la bisca. La mia parte va da 5 mila a 30 mila dollari al mese”.
Come è nata l’idea della casa sull’albero?
“A Managua fa un gran caldo, non si respira. Avevo un terreno con un bellissimo albero. Ho chiamato due o tre amici, ci siamo messi lì e abbiamo fatto la casa. Ho l’acqua, la luce, il telefono, la parabola satellitare”.
A Managua attaccano l’energia elettrica a un albero?
“Certo, Tutto regolare. Sono venuti anche i pompieri a dare la loro autorizzazione”.
Tu sei stato in uno nei templi degli adulatori, i craxiani, che poi sono scomparsi come neve al sole.
“Il più grande adulatore che mi viene in mente è Giuliano Amato. Di lui mi è rimasta impressa un’immagine. Siamo entrambi seduti sui gradini dell’Università di Palermo aspettando Bettino. Si sente un rumore di macchina, lui fa un balzo, si mette a correre, raggiunge l’auto, apre la portiera: “Ah, caro Bettino!” Come se vedesse la fidanzata dopo venti di lontananza. Ma anche Martelli non scherzava. E alla fine lo ha mollato facendo il patto con i magistrati. Lo ricorso il giorno dopo la morte di Bettino. Era stato appena sepolto. C’era una riunione, tutti attorno a un tavolo, Claudio al centro che chiedeva: “Che cosa diceva negli ultimi tempi? Che linee indicava?” E quegli stronzi attorno al tavolo che gli davano retta. C’erano tutti De Michelis, il senatore Pizzo, Formica, i due figli. Solo Salvo Andò non lo stava a sentire. Ma nessuno che gli dicesse: “Sei proprio uno stronzo”. Il giorno dopo Martelli mi incontrò in albergo: “Ah, caro Francesco”. Ma quale caro Francesco, tu non sei quello che quando mi hanno arrestato hai detto che non mi conoscevi?”
Però tu facevi parte dei nani e delle ballerine(….)
“No. Bettino mi ha sempre protetto da queste cose. Ad un certo punto qualcuno disse: facciamolo senatore. Io sinceramente mi sentii lusingato. Ma lui disse che ero scemo, che i senatori non contavano nulla, servivano solo a prendere ordini, a obbedire. Lui i nani e le ballerine li disprezzava”.
C’è qualcuno che ha fatto il nano o la ballerina e poi l’ha negato?
“Mi viene in mente la D’Eusanio. Questa era una appassionata. Era anche mucciolina Si .
“Il figlio ti ha querelato? Ma perché tu cosa avevi contro Muccioli? Muccioli era una brava persona , il figlio non lo conosco. Tu lo prendevi per il culo? Ma se tu lo prendi per il culo quello ti può querelare?
(interruzione)
Lui menava. Lui polemizzò con noi . In stampa di settore , polemiche interne alle comunità, noi polemizzammo, lui ci rispose , poi lui fece un congresso e ci invitò e noi ci andammo, io e Rostagno. Questo era all’inizio della comunità, il secondo o il terzo anno. Allora noi lo mettemmo in un angolo e dicemmo: tutto bello però tu ci hai le stimmate, che cazzo facevi, ti tagliavi? E lui disse: che debbo fare , è l’unico modo per ottenere aiuti e aiutare questi ragazzi . A me piacque. E poi mi pacque perché ad un certo punto disse: Cazzo Cardella quando non ci avevamo una lira ci lasciavano in pace, adesso che abbiamo soldi ci vengono addosso . E questo è vero. E io sono anche a conoscenza di un tentativo di sbaraccarlo e mi fu fatta una proposta, abbastanza velatamente, non voglio dire da chi, di prendere il suo posto. Io dissi no, queste cose non le faccio. C’era un grande lavorio intorno e contro di lui.
Faceva il santone
“Si lui faceva all’inizio il santone. Metodologicamente io lo discuto in maniera drammatica ma che lui diventi uno stronzo e un figlio di puttana questo no.
….
“Omicidi che lui ha coperto. Se quei figli di puttana fanno fuori uno, che cazzo fai. Lui non era molto intelligente, questo era il suo problema. Muccioli non aveva una grande testa veloce, mentre io ho una bella testa veloce
Tu seguivi dal Nicaragua le vicende italiane, c’erano dei voltagabba?
“Intanto io ho i miei di voltagabbana. Io ho don Mazzi, quello che un giorno si e un giorno no , è in televisione . Aveva fatto una organizzazione delle comunità lui era presidente, io vicepresidente , questo si è girato da così a così ed ha cominciato a dire cose terribili contro di me, terribili. ChelLui l’aveva detto che lì giravano un sacco di soldi, che quella era la casa di Erode , mentre lui stava nella casa di Gesù.
Probabilmente ti rimproverava che tu non hai mai fatto il martire..
“Ma io l’ho scritto nel libro “La scuola del Sud”, noi vogliamo fare una cosa ricca, abbondante. L’ho detto ai giornalisti quando abbiamo fatto Via Plinio, ma perché mai in questo palazzo al centro?. Perché noi li dobbiamo portare al centro della città. Le ho teorizzate. E nessuno ha detto niente. Ha via Plinio in mano, glil’hanno affittato quelli della Samani.
Vedendo da fuori che idea ti sei fatto dei casi di voltagabbana in Italia .
“I più clamorosi sono i socialisti. Si sono squagliati, nessuno ha tenuto, come è possibile una cosa così drammatica, così clamorosa, coì’ improvvisa, al punto da sospettare una capacità specifica di sentire il vento. Per gli adulatori sono una costante, ci sono sempre stati. Io mi ricordo come veniva adulato Bettino
Questi qua dicono che non era vero che non c’era una corte intorno a Bettino
“C’era c’era, come c’è intorno a Berlusconi. L’altro giorno, per esempio, ero a Trapani e c’era la presentazione di questa candidata provinciale, Giulia Adamo, ad un certo punto arriva un signore, un giovanottello che è il responsabile siciliano di Forza Italia, tu dovevi vedere la gente… Ma tu non ci vai mai a queste cose? Ma insomma fate i giornalisti dovete andare a guardare… La gente davanti al potere va in deliquio. Ma insomma cosa intendi per adulazione? Io sono stato molto adulato quando facevo Samani.
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