- 10 Ottobre 2002
«Sono nato a Palermo 52 anni fa, figlio di una coppia di impiegati, una famiglia normalissima, un fratello più grande che oggi è professore universitario, una sorella più piccola». Renato Schifani sa di essere uno degli uomini «nuovi» e si sottopone volentieri alla mia richiesta di curriculum. Oggi è presidente del gruppo dei senatori di Forza Italia. Ma fino a ieri era un avvocato siciliano, poco conosciuto nel resto d’Italia, tanto che Filippo Mancuso, la scheggia impazzita del mondo berlusconiano, lo definì «il principe del recupero crediti». Continua il curriculum: «Andavo discretamente bene a scuola, maturità scientifica con la pagella d’oro nel ’68».
Mentre scoppiava la contestazione lei prendeva la pagella d’oro.
«Anch’io ero un sessantottino. Partecipai all’occupazione del mio liceo, lo scientifico Cannizzaro. Non sono mai sceso in piazza, stavo un passo indietro, guardavo, non condividevo quei toni accesi. Ma ritenevo giuste le rivendicazioni».
Chi erano i leaders?
«A destra c’erano Massimo Pagoto e il famoso Mangiameli. Dall’altro ricordo Giorgio Colaianni, nipote o figlio di Napoleone».
Per che cosa protestavate?
«C’era stato il terremoto. Chiedevamo che gli esami di maturità fossero più facili».
Il ’68 voleva dire politica.
«Anch’io ne subii il fascino. Massimo Ganci, il mio professore di filosofia, ci entusiasmava con le sue lezioni su Marx. Il marxismo, visto in maniera asettica e teorica, mi affascinò e mi coinvolse. Sembrava una teoria perfetta».
Questo è uno scoop: Schifani marxista…
«Fui sfiorato, solo sfiorato».
Qual era il sogno della sua vita?
«Fare il medico. Ma in un momento di tensioni interne alla famiglia, mi sentii in imbarazzo nell’affrontare studi così lunghi. Così, dopo pochi mesi, mi iscrissi a Giurisprudenza».
Che tipo era?
«Tranquillo, con le mie marachelle».
Ricorda il primo amore?
«Giusi, due anni più piccola di me. Grande amore, del tutto platonico. Per il resto mi appello al quinto emendamento».
Cos’altro ricorda della sua giovinezza?
«Le canzoni lente e melodiche, Elvis Presley, le feste del sabato pomeriggio, il Piper. Nel ’68 è sbocciato un nuovo tipo di gioventù che cominciava a maturarsi. Noi del ’68 costituiamo oggi una classe dirigente di qualità. Purtroppo i nostri figli seguono modelli diversi, consumi, denaro».
La sua famiglia era benestante?
«Una famiglia normale. Quando ero all’università davo lezioni private di matematica. E mi consentii il lusso di una 500 L, a rate, senza acconto, 25 mila lire al mese».
La politica, dopo la fiammata marxista?
«Molto distacco. Vedevo quel mondo troppo lontano dai problemi della gente. Mi laureai con 110 e lode. Vinsi un concorso al Banco di Sicilia. Quando entrai in banca dissi a me stesso: “Da qui devo andare via”. Cominciai a fare pratica legale il pomeriggio e a studiare la notte. Dopo due anni ero avvocato».
Ed è diventato il principe del recupero crediti.
«Non mi sono mai occupato di recupero crediti, se non di quelli miei. Mi amareggia l’atteggiamento di Filippo Mancuso. L’ho sempre stimato, l’ho sempre sostenuto nella sua giusta aspirazione alla Corte Costituzionale. Spero che prima o poi comprenda di avere usato nei miei confronti delle espressioni ingenerose».
Il recupero crediti non è attività infame.
«È un’attività come tante altre. Ma Mancuso lo disse con l’obbiettivo di denigrarmi. Voleva dire che sono un avvocato di seconda categoria».
Perché ce l’ha con lei?
«Probabilmente ha attribuito a me l’insuccesso della sua candidatura».
Ancora oggi Mancuso spara a zero su Forza Italia. Chi va via da Forza Italia, sbatte la porta e comincia a sparlare degli ex colleghi.
«È la vanità umana. Chi crede di subire un torto reagisce in maniera isterica. Ma c’è chi lascia Forza Italia e scompare dalla politica».
Tipo?
«Tiziana Parenti, Carlo Scognamiglio, Emanuele Dotti».
Prima di Forza Italia, lei per chi votava?
«Dc, sempre. Era un voto familiare».
Lima o Gioia?
«Gioia. Lima mi pareva troppo chiacchierato. Ma alla politica continuavo a guardare con distacco anche quando entrai nello studio di Giuseppe La Loggia, democristiano, uomo di grandissimo carisma, che sprizzava felicità quando prendeva la penna per scrivere un parere. L’ermeneutica ce l’aveva nel sangue. È stato il mio padre putativo professionale».
La politica quando arriva?
«Con il referendum che abolisce il voto proporzionale. Capii che qualcosa stava per cambiare. Nel ’94 nacquero i club di Forza Italia, conobbi Gianfranco Miccichè che mi propose di occuparmi dei dipartimenti, del reclutamento delle intellighenzie. Cominciai a girare tutta la Sicilia. Nel 1996 venni eletto in Parlamento».
Quindi è lei il colpevole del 61 a 0.
«Il merito del 61 a 0 è di Gianfranco Miccichè».
In una regione permeata dalla mafia fa venire dei sospetti.
«Luogo comune che rispedisco immediatamente al mittente. Quando vince la sinistra è coscienza democratica e quando vince la destra è mafia? E quando vinceva Leoluca Orlando con il 70 per cento che cos’era? La mafia in questo momento non si occupa di elezioni: è concentrata sulla tutela dei propri interessi, sulla lotta al 41 bis».
La sua posizione sul 41 bis?
«Sono stato tra i primi a chiedere la stabilizzazione del regime straordinario. All’inizio non era una posizione molto popolare nemmeno nel mio gruppo. La mafia bisogna combatterla. Ma con i fatti, non con le parole».
Miccichè sta passando i suoi guai, con la storia della droga».
«Questa vicenda, per come viene gestita dai media, sembra seguire la regia di un grande vecchio che vuole punire il personaggio emergente».
Questo farebbe pensare a una regia interna.
«Non lo escludo. Non sta a me fare previsioni. Ci siamo abituati a convivere con un tipo di aggressione politica che di politico non ha nulla».
Però l’inchiesta c’è.
«L’inchiesta farà il suo corso. Ma Miccichè rimane. Se qualcuno si illude con questa operazione di farlo fuori si sbaglia di grosso. Faremo quadrato attorno a lui. È un plusvalore di carattere politico per il Meridione».
Sempre più spesso Bossi dice: «O così o me ne vado». Non vi spaventa il fantasma del ribaltone?
«Conosco Bossi: è una persona estremamente propositiva».
Allora ci sono due Bossi.
«Bossi è il più convinto sostenitore di questa coalizione».
Quando fece il ribaltone gli deste del traditore, del voltagabbana.
«Allora fu effettivamente un’operazione di trasformismo».
Che cosa pensa dei voltagabbana?
«La coerenza dei princìpi e delle idee per me è un valore».
Un altro che vi ha mollato è Mastella.
«Il prezzo maggiore l’ha pagato il centro-sinistra, soprattutto D’Alema».
E i voltagabbana che da sinistra vengono a destra?
«C’è il caso di Ferdinando Adornato. Ma è persona di grande cultura. Lo rispettavo prima e lo rispetto oggi perché ha avuto il coraggio di sviluppare un’elaborazione culturale che lo ha fatto transitare da una coalizione all’altra. E il simbolo vivente di come si possa non essere voltagabbana».
Mastella sì e Adornato no?
«Adornato ha cambiato linea nel tempo, non oggi per domani come Mastella».
E allora parliamo di Carrara, voltagabbana superveloce. È diventato berlusconiano cinque minuti dopo essere stato eletto nella lista di Di Pietro, il grande nemico di Berlusconi».
«Carrara non è un giustizialista, non è un dipietrista. Di Pietro, quando ha fatto le liste, ha sbagliato candidato».
E Carrara ha sbagliato partito.
«Carrara è un moderato. Una volta eletto ha fatto una scelta coerente».
Coerente mi sembra un tantino esagerato.
«Non è un forcaiolo. Lo vedo sereno».
Che cos’è, secondo lei, l’adulazione?
«Atteggiarsi in un certo modo per ottenere un determinato fine. Ma c’è anche l’adulazione da paura, quando si teme che qualcuno, diventando potente, possa schiacciarti».
Adulazione preventiva. A chi pensa?
«A Cofferati. Gli esponenti della sinistra lo adulano perché hanno paura che arrivi presto alla politica».
Come state voi a cortigianeria?
«Vi sono dei momenti in cui io assisto a scene adulatorie anche in Forza Italia. Nelle assemblee, nei congressi gli oratori si lasciano andare a inutili ed eccessive frasi adulatorie nei confronti di Berlusconi. So per certo che il presidente, nel suo intimo, si infastidisce per questo eccesso di adulazione. Non lo ritiene costruttivo né utile per la crescita del partito. Però…».
Però?
«Il nostro è un partito presidenziale. È un partito che nasce con Berlusconi, è un partito che ha un leader carismatico. Forza Italia è Silvio Berlusconi. Una cosa è l’adulazione, una cosa è la difesa di Berlusconi».
Lei è un difensore?
«A volte sono anch’io indicato come adulatore di Berlusconi. Ma non mi sento adulatore di nessuno. Mi sento difensore di una linea politica. Difendere Berlusconi vuol dire difendere il messaggio di Forza Italia, difendere la democrazia».
Lei ha momenti di contrasto con lui? Linee diverse? Discussioni violente?
«Discussioni violente mai. Siamo entrambi delle persone serene».
Mi dica tre cose sulle quali avete opinioni diverse.
«Ho più volte detto al Presidente che nel governo ci sono pochi senatori. Non è colpa sua ma è così».
E lui?
«Lui mi dà ragione».
E lei?
«Io sto ad aspettare».
Sulla legge Cirami vi state impegnando allo spasimo. Non volete ammettere che lo fate per salvare Berlusconi e Previti. Eppure lo ammettono perfino Taormina e Ferrara.
«La nostra è una battaglia per tutti i cittadini. Ma più violenta è la posizione ostruzionistica dell’opposizione più aumenta in noi la certezza che la sinistra è sicura che i giudici di Milano li condanneranno. Allora alziamo le barricate anche noi. Perché lì c’è la trappola».
Siete ipersensibili. Prestate un’attenzione quasi maniacale a quello che fa la sinistra.
«È vero, ma è perché la sinistra, come opposizione costruttiva, non fa nulla».
A maggior ragione. Che vi frega?
«Senza leader, senza progetto, la sinistra tende a inasprire il clima sociale. Questo ci preoccupa. Per governare un Paese ci vuole l’assenza di scontri e di tensioni sociali».
Se dovesse fare dei nomi di adulatori?
«Mah».
Le do un aiutino. Quel parlamentare di Forza Italia, Gentile, che ha chiesto il premio Nobel per Berlusconi.
«È stata un’iniziativa personale».
Ci mancherebbe pure che fosse ufficiale.
«Non ne sapevo nulla. È stata un’iniziativa interessante ma non concordata».
Lei ha detto che Berlusconi è un grande statista.
«Un giornalista dell’Ansa mi chiese se su una certa vicenda Berlusconi era da considerare uno statista o meno. Io risposi che su quella vicenda specifica aveva dimostrato il profilo di un grande statista».
Allora? Gli adulatori?
«Dicono tutti Fede. Ma Fede non è un adulatore, è un goloso. Per lui Berlusconi è come un barattolo di Nutella. Gode come un pazzo quando parla bene del presidente. Semmai adulatori, ma molto sofisticati, sono Santoro e Biagi. Si fa adulazione anche parlando sempre male della parte avversa. Adulatori sono anche Flores d’Arcais e Galli della Loggia perché esagerano nella demolizione della figura di Berlusconi e della nostra azione di governo».
E lei non esagera mai al contrario?
«Forse una volta esageravo. Adesso cerco di dosare meglio le mie apparizioni in televisione o sui giornali. Da quando Berlusconi è primo ministro ci manca molto come comunicatore. Lui è un comunicatore per eccellenza. In mezz’ora di televisione, sa spiegare qualsiasi cosa».
Gioco della torre. Mimun o Mentana?
«Butto Mentana, anche se col paracadute. È una persona che potrebbe fare molto di più variando la sua attività. Sono più di 10 anani che fa il tg. Può fare tante altre cose e bene».
Feltri o Belpietro?
«Feltri ha il coraggio di dire qualcosa di negativo su Berlusconi. Belpietro di meno ma mi piacciono la sua compostezza e la sua professionalità».
Quindi?
«Non butto nessuno».
Buttiglione o Casini?
«Debbo proprio?».
Deve.
«Anche il gioco della torre si deve sospendere se in ballo c’è la terza carica dello Stato».
Rutelli o Fassino?
«Butto Rutelli. È un mastino che urla, non ha sensibilità politica. Ed è un perdente».
Flores o Moretti?
«Salvo Moretti. Flores è troppo cattivo quando scrive. Comunque, se potessi, li butterei tutti e due».
Taormina o Pecorella?
«Salvo Pecorella. Taormina, con quella sua frase infelice sui giudici che bisognava arrestare ci ha privati della sua importante presenza nel governo».
Biagi o Santoro?
«Salvo Biagi perché Santoro, paladino della libertà, si è opposto alla mia presenza alla sua trasmissione. Mi ha impedito di partecipare. Santoro è uno che censura».
Santanchè o Mussolini?
«Butto la Santanchè. Alessandra Mussolini fa politica, la Santanchè fa feste».
Chi non le piace a destra?
«Vedo anni luce di distanza tra me e uno come Teodoro Buontempo, er Pecora. È un tipo invasivo, ai dibattiti televisivi non ti fa mai parlare. Io sono un moderato. Lui un esponente di una destra destinata a scomparire».
E personaggi come Boso, come Borghezio.
«Folcloristici. Con loro avrei delle obbiettive difficoltà di interlocuzione. Per fortuna i colleghi della Lega al Senato sono persone affabili e squisite».
E i giornalisti? Quali le piace leggere?
«Mi piace moltissimo Sergio Romano, apprezzo molto Stefano Folli».
Se dice un altro del Corriere della Sera devo accusarla di nuovo di piaggeria.
«Panebianco».
E di Repubblica non le piace nessuno?
«Natalia Aspesi e la pagina dello sport».
Fra i suoi senatori, chi è il più simpatico?
«Uno simpatico è sicuramente Memmo Contestabile. Alle cene che organizziamo ogni due settimane al ristorante Sant’Eustachio ci fa morire dal ridere con le sue barzellette sui meridionali».
Quelli di Striscia la notizia le hanno dato il Tapiro d’oro.
«Una notizia riportata dalla Repubblica in modo del tutto opposto alla verità mi aveva fatto apparire come uno che pretende di entrare al cinema con la tessera scaduta».
Come era andata?
«Semplicemente c’era una persona molto volgare e maleducata. E sono io, a scanso di equivoci, che mi sono rifiutatao di entrare. Lo scontro politico purtroppo causa mistificazioni. A posteriori ho saputo che la sala, il cinema Aurora di Palermo, è di area centro-sinistra».
Striscia la notizia l’ha presa in giro anche per i capelli, il suo riporto.
«Dichiaro: toccato. Hanno ragione. Mi hanno chiesto: “Per i capelli va da un geometra?”. Un bel giorno mi deciderò. Per adesso mi tengo il riporto più geometrico del Senato».
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