- 21 Novembre 2002
Un personaggio si aggira per il Web, Sergio Valzania, direttore di Radio Due e di Radio Tre. Appelli partono da ogni dove e arrivano in ogni dove. Attenzione! Valzania sta distruggendo l’identità di Radio Tre! La rete della cultura! La rete della sinistra! Il primo appello è partito il giorno stesso della sua nomina a capo della Terza Rete. Firmato da tanti intellettuali. “Se me l’avessero chiesto”, disse candidamente e provocatoriamente Valzania, “avrei firmato anche io”.
Valzania, vogliamo provocare?
“Io sono un difensore delle autonomie e delle identità. Quel documento parlava di autonomia e di identità”.
Accorpare Radio Due e Radio Tre non fa pensare all’autonomia, così, di primo acchito.
“C’era un grosso sbilanciamento aziendale, non bisogna scordarlo. In mano alla stessa persona Rete Uno, Gr1, Gr2, Gr3 e Gr parlamento. Poi Rete Due e Rete 3 separate. Questo produceva una forte asimmetria aziendale”.
Gli appelli contro di te non accennano a diminuire. Stai sopprimendo i programmi più belli, stai robotizzando la scelta musicale. Era una nicchia che funzionava. Era diretta da Roberta Carlotto, moglie di Alfredo Reichlin…
“Tutto si svolge all’interno dello spoils system. La Carlotto rappresentava una garanzia forte per la sinistra. Io non sono la moglie di Reichlin”.
Indubitabile. Confermi che il problema è politico.
“Prima i direttori di programma erano giornalisti, non si capisce perché. Non specialisti della radio. Io da quasi dieci anni lavoro sui programmi. Ho studiato, sono stato a bottega da Angelo Guglielmi”.
Va bene. Ma Radio Tre? La sua autonomia? La sua immagine? Il suo impegno?
“Una radio di servizio pubblico deve essere di un pluralismo forsennato”.
Ma tu cambi tutto.
“Ho tolto Arcimboldo e Gramelot. Ma gli altri programmi hanno solo cambiato nome. I conduttori e gli autori sono gli stessi”.
Cose nuove?
“Damasco, intellettuali che raccontano la loro esperienza di incontro con testi che li hanno segnati. La Hack parla di Leopardi, Canfora di Tolstoj. Poi il Terzo anello. Dovrebbe guidare in qualche modo l’offerta musicale”.
E’ il famigerato robot che sceglie la musica?
“Prima ogni conduttore metteva i dischi che gli piacevano. Abbiamo chiesto agli stessi di sviluppare un’offerta che avesse un valore aggiunto, scegliendo un tema ogni settimana”.
Allora come spieghi questo sollevamento?
“Per il grande allarme politico sul sistema della comunicazione. E’ successa una cosa strana, il padrone delle televisioni è diventato presidente del Consiglio”.
Mica poco.
“E induce nella gente la convinzione che chi fa la televisione comanda”.
Sbagliata?
“Un signore bravissimo, cattolico, democristiano, Ettore Bernabei, ha comandato per anni la Rai di monopolio. E la Dc ha perso il potere, ha perso la Rai, è finita con il culo per terra”.
Però Roberta Carlotto era di sinistra e tu sei di destra.
“Io sono un democristiano che non rinnega la propria continuità democristiana. Ma rivendico anche la continuità professionale. Ho lavorato con Guglielmi, sinistra, e con Francia, destra”.
Giuliano Ferrara ti definisce “funzionario Rai che ha convissuto con tutti i regimi”.
“Ha ragione. Io dirigo Radio Due. Ti pare che in Radio Due non convivano concezioni diverse del mondo? Cirri e Ferrentino che venivano da Radio Popolare. Michele Serra, Marcello Veneziani, Vattimo, Cardini, Canfora, Giordano Bruno Guerri. Una radio nazionale dà voce a tutti”.
Però, siccome Berlusconi si è preso tutto…
“…uno dice: lasciateci almeno Radio Tre”.
Giusto?
“No, sbagliato. Una radio pubblica deve essere molto, molto, molto pluralista”.
Raccontami la tua gioventù.
“Sono nato a Firenze dove s’è insinuato in me il germe del boy scout. Ho fatto il boy scout fino a quando sono entrato in Rai”.
Unico germe?
“No, c’era anche la collezione di soldatini. E la passione per la Formula 1 e le automobiline. Ancora quando avevo 20 anni ho fatto con gli amici una gara di venti giri con le macchinine che cominciò la mattina e finì a notte fonda, sul pavimento, la schiena spezzata in due. Poi la fantascienza. La storia. Le guerre. Ti saprei descrivere la battaglia di Canne minuto per minuto”.
Che ricordi hai della scuola?
“Devastante. Mi bocciavano un anno sì e uno no”.
Come mai?
“Memoria corta e lingua lunga. Una miscela esplosiva per la scuola di allora”.
I miti di allora?
“Jacqueline Kennedy. L’ho amata molto”.
Politicamente che cosa eri?
“Sono sempre stato un moderato, sinistra di base. Fin quando c’è stata la sinistra di base”.
E durante il periodo della contestazione?
“Quando si giocava a calcio i democristiani stavano con Lotta Continua, quelli del Manifesto stavano con Potere Operaio”.
Ma il ’68?
“Io ho vissuto il ’67 e il ’69, perché il ’68 era l’anno che dovevo fare tre anni in uno e non c’avevo tempo per cazzate”.
Come sei entrato in Rai? Raccomandato?
“Ho vinto un concorso, quello per far partire la Terza Rete”.
Raccomandato?
“L’Italia è un Paese di famiglie. Tutti erano raccomandati. Però poi la distribuzione sociologica era tale per cui c’erano tutti”.
Spiega meglio.
“Il concorso aveva un grosso sbarramento sullo scritto. Se non sapevi scrivere, ti massacravano. Poi fra quelli che superavano lo scritto, chiaramente, le raccomandazioni esistevano”.
Ti hanno raccomandato oppure no?
“Ma sì. Ero raccomandato poco, ma lo ero. Nella sede di Firenze i giornalisti li assunsero per chiamata e i programmisti per concorso. Per cui i giornalisti erano raccomandati molto e noi un po’. Ma i giornalisti, nella sede di Firenze, erano già tutti democristiani. Quindi andò bene ai socialisti. Uno che fu assunto come giornalista socialista in quel periodo fu Sandro Vannucci, che era all’università con me. Uno come me, democristiano, era meglio facesse il concorso da programmista. Capito?”
Insomma. Come nasce il tuo punto di riferimento, Marco Follini?
“Mi fu presentato, qui in Rai. Mi dissero: “Perché non parli con lui?” Era il tempo del consiglio di amministrazione telefonico, come lo definì Craxi. Il 643111. Sei Dc, quattro Pci, 3 Psi, uno Pli, uno Psdi,uno Pri. Erano consiglieri che a volte duravano per tantissimo tempo, per cui curavano addirittura la carriera delle persone. All’interno di questo rapporto ho fatto amicizia con Follini. Parliamo spesso della Rai e immagino che quando qualcuno gli chiede “Secondo te in Rai c’è uno bravo?”, lui risponda: “Forse, Valzania”. Ogni tanto ci si vede, si chiacchiera un po’”.
La vostra carriera dipende da queste amicizie?
“Un dirigente fa parte di una sorta di ordine religioso, ne accetta le regole, ne rispetta il cerimoniale. Il che non significa che sei raccomandato dalla testa ai piedi, significa che accetti un certo tipo di funzione della Rai nella società”.
Tutto bene quindi?
“Prendi gli intellettuali italiani. Sono tutti schierati. Ma sarebbe un’infamia se io giudicassi Vattimo per la sua posizione politica. Lo stesso deve fare lui con me”.
Però la Rai è piena di voltagabbana.
“Questa storia dei voltagabbana è falsissima. In realtà esistono dei gruppi di amici. Se qualcuno si fa massacrare, sentono male anche i suoi amici, e allora i suoi amici lo mandano a quel paese”.
Fammi un esempio.
“Giovanni Minoli. Quando Minoli entrò in rotta di collisione con la Rai, molti dei suoi amici sentirono male. Quando uno accetta di essere responsabile terminale di gruppi di potere, poi deve sapere che si vince in tanti e si perde in pochi. Spesso da soli”.
Tu sei terminale?
“Ci sono delle persone che hanno avuto delle agevolazioni di carriera grazie a me, poche persone e piccole agevolazioni. Sarebbe assurdo che io immaginassi di avere la loro fedeltà anche se perdo”.
Rovesciamo il problema. Follini entra in Rifondazione Comunista. Tu che fai?
“Io sono molto medioevale. Ci sono fedeltà personali che sono anche fedeltà intellettuali. Marano adesso è leghista, è stato anche in Forza Italia, sono problemi della Lega, non problemi di Marano. Lo stesso con La Porta. Era leghista, adesso è con Rifondazione. La colpa è della politica. Come si fa a pretendere che uno che diventa direttore di Rai Due, perché la Lega lo designa, si metta a gridare: “Non sono leghista, non voglio fare il direttore”.
I voltagabbana quindi non esistono.
“No, esistono. C’è il voltagabbana triste, modello Franceschini, modello Castagnetti. Due che non capiscono come mai adesso si trovano a fare la minoranza della minoranza in una coalizione di sinistra. Ci sono capitati nella speranza di salvare un seggio, un ministero, chissà che cosa. Poi c’è il voltagabbana eroico, tipo Giuliano Ferrara, che tende a stare con chi perde”.
Ma dai…
“Lui non è Letta. Non riesce a stare sulla poltrona del principe, gli viene stretta. Poi c’è il voltagabbana surfista, tipo Nanni Moretti o Flores d’Arcais, in perenne ricerca dell’onda giusta”.
Stai facendo la classificazione dei voltagabbanismi…
“C’è anche il voltagabbana raffinato. Come Adornato o Foa, che riescono a convincere la gente che il mondo è voltagabbana mentre loro stanno immobili. C’è il voltagabbana angelico, santificato, la Pivetti, che passa dalla politica alla famiglia”.
Se vogliamo essere più precisi passa dalla Lega a Mastella.
“Ma questa è la violenza della politica che tutto percuote e sconvolge. Poi c’è il voltagabbana iperdemocratico, Mastella, il più grande difensore della democrazia partecipativa. Lui dice: “Io ho dei voti, sono miei, sono pochi ma me li fate contare”.”
Altri voltagabbana?
Alcuni sembrano voltagabbana ma non lo sono. Prendi Oliviero Beha. Una volta portato dalla Lega, una volta spinto da An. Non è assolutamente un voltagabbana. E’ un iperraccomandato”.
Che vuol dire iperraccomandato?
“Ha la raccomandazione di tutti. Non è che abbia mai voltato gabbana. Lui è sempre lo stesso. Cambia solo la raccomandazione. Quella che ti serve te la porta.”.
Oliviero è un ottimo giornalista.
“Ottimo. E non è un voltagabbana. E’ uno che ha tutte le gabbane”.
Tu ritieni che lo spoils system attuato dalla destra sia stato eccessivo?
“Sia la sinistra che la destra hanno avuto l’ambizione di fare uno spoils system completo. Ma così depauperano la Rai. Quando i professori nominarono Delai direttore di Rai 1 fecero uno scempio assoluto. Perché se tu teorizzi che qualunque persona, purché intelligente e capace, può fare il direttore della più grande macchina dello spettacolo in Italia, è un disastro. Invece per fare il direttore di Rai 1 si suppone che uno abbia fatto perlomeno cinque anni il capostruttura…”
La domanda era: chi si è comportato peggio, la destra o la sinistra?
“Adesso non c’è un direttore di rete che abbia una reale competenza di spettacolo. Sono tutti esperti giornalisti.Ma quando mai Del Noce, Marano o Paolo Ruffini si sono occupati di spettacolo?”
Tu avresti obbedito al diktat bulgaro di Berlusconi su Biagi e Santoro?
“Ai diktat non obbedisco mai”.
Se Berlusconi dice che Cirri e Solibello vanno tolti da Caterpillar tu obbedisci?
“No, penso che non ci siamo capiti”.
Sta di fatto che Santoro non fa più Sciuscià.
“Sta di fatto che continua a guadagnare un miliardo e 400 milioni senza fare nulla”.
Dicono che Santoro non sia governabile.
“Quando era a Rai Tre veniva governato. L’importante è che la direzione di Rete sia forte. E non crei mostri. Ogni mostro ne alleva altri. Quando Dematté è entrato in Rai chi convocò subito per discutere dei programmi? I conduttori. Non quelli che facevano i programmi. Convocò i Pippi Baudi, i Lubrani. Si è comportato come uno che va a dirigere la Walt Disney, si siede alla poltrona del presidente e dice: chiamatemi Topolino!”
Si può dire che la tua è stata una carriera veloce?
“No. Ad un certo punto, per diventare dirigenti c’erano posti per socialisti e comunisti ma non per democristiani. Così sono diventato dirigente dopo Enrico Ghezzi e Roberto Pinto che sono stati assunti insieme a me”.
Tra i giornalisti, se c’era un posto per un socialista, si diceva a un democristiano: “Fai il socialista”.
“I dirigenti sono più seri. La Rai la fanno i dirigenti, non i giornalisti”.
Che cos’è l’adulazione?
“Quello che a te sembra normale mentre gli altri ridono”.
Tu sei adulato?
“A volte. Quando in Rai è uscita la notizia che io dovessi diventare vicedirettore generale per quindici giorni erano tutti a mia disposizione. Ma leccare il principe non serve a niente. Il vero adulatore è quello che si sveglia alle sei di mattina, si precipita in mutande dal giornalaio, prende tutti i giornali e poi alle otto comincia a telefonare a tutti. Il campione era Crespi, l’adulatore telefonista”.
Costruiamo una tipologia?
“Ci sono gli adulatori pifferai. Nanni Moretti è un grandissimo pifferaio. C’è l’adulatore seduttore, come Giovanni Minoli, come Lorenzo Salvati, il regista. Sono persone che ti danno, ti affascinano, ti ammaliano”.
E quelli che dicono che Berlusconi è un grande statista?
“Sono degli apprendisti, dei praticanti. Rozzi dilettanti. Hanno bisogno di esagerare per farsi sentire”.
Gioco della torre. Follini o Casini.
“Ma stai scherzando? Mi butto io. Mi sacrifico”.
Grande adulatore. Di Pietro o Travaglio?
“Butto Di Pietro. E’ un momento di emotività nella politica italiana, che invece avrebbe bisogno di politica”.
Fede o Rossella?
“Butto Fede e continuo a sperare che Rossella diventi presidente della Rai. No, questo non lo dire”.
Adulazione dal sen fuggita…Baldassarre o Zaccaria?
“Zaccaria. Non si buttano i presidenti in carica”.
Terza adulazione. Cofferati o D’Alema?
“Butto Cofferati. Anche se è un appassionato di Philip Dick”.
Perché salvi D’Alema?
“D’Alema è un vero democristiano. Sa che cosa è la politica. Io aspetto sempre che confluisca nella Dc”.
In quale Dc?
“Nel Ccd, l’unica Dc che esiste”.
E Cofferati?
“Cofferati non confluirà mai nella Dc”.
Feltri o Belpietro?
“Butto Feltri. Belpietro mi fa scrivere sul Giornale”.
Costanzo o Vespa?
“Butto Costanzo, Vespa è della Rai”.
Serra o Benni?
“Butto Benni. Serra è di Radio Due”.
Sei una corporazione vivente.
“I libri di Serra mi fanno ridere. Quelli di Benni no”.
Usigrai o Singrai?
“Butto Usigrai. E’ troppo potente”.
Mentana o Mimun?
“Non riesco a distinguerli uno dall’altro”.
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