- 2 Settembre 2004
Come filosofo ha sempre avuto successo, ma come politico è incappato in una trombatura colossale. Alle ultime europee si è presentato con i Comunisti Italiani. E non ce l’ha fatta nonostante fosse un deputato uscente. «Adesso mi sento un po’ meglio», si sfoga Gianni Vattimo, 68 anni, l’inventore del «pensiero debole». «Ma ci sono rimasto male. Mi avevano convinto che avrei vinto tranquillamente e avevo fatto una campagna elettorale molto intensa».
Pagata come?
«Smettendo di dare 1.700 euro al mese ai Ds».
L’Europa ti aveva divertito?
«Mica tanto. Ogni volta mi chiedevo: ma che cavolo vado a fare? Era come entrare in un supermercato senza soldi. E si discuteva dell’altezza dei parafanghi delle auto e della lunghezza dei porri».
Ti sei mai addormentato?
«Io sedevo fra Volcic e Veltroni. Quando c’erano le votazioni davamo delle grandi botte sul tavolo per svegliarci a vicenda».
Tempo perso?
«Non sempre. A volte mi eccitavo un po’. Come quando ci occupavamo di Echelon, la rete di spionaggio mondiale».
Echelon esiste?
«È possibile tecnicamente. Quindi esiste».
Anche noi siamo ascoltati dalle grandi orecchie di Echelon?
«Se intercettano tutto è come se non intercettassero niente. Però con i motori di ricerca, le griglie, le parole chiave?».
Se diciamo quattro volte bomba bomba bomba bomba e Bush Bush Bush Bush?
«Domani mattina vengono qua e ci ingabbiano».
Perché i Ds non ti hanno ricandidato?
«Perché avevano da sistemare la presidente della Provincia, Mercedes Bresso. Che mi preferissero Kant l’avrei capito, ma una casalinga…».
Perché è successo?
«Immagina: ho cominciato tre anni fa a dire che D’Alema andava rottamato».
Poi ti sei pentito.
«Pentito? D’Alema andrebbe rottamato e continuo a pensarlo».
Ti meravigli che ti abbiano cacciato?
«Se nei Ds ci sta Franco Debenedetti che scrive cose di una destraggine mostruosa, peggio di Berlusconi, non potevo starci io?».
Con Diliberto risultati scarsi.
«Mi aveva detto che Rizzo mi avrebbe lasciato il seggio. Invece niente».
Rizzo ha battuto perfino Cossutta.
«Rizzo ha fatto una campagna efferata. Quando ho visto che i miei manifesti non venivano affissi ho cominciato a sospettare. Poi ho scoperto che i picchiatori che Rizzo continua a portarsi dietro come eredità della sua carriera precedente li buttavano via».
Ma sei sicuro?
«Quando i miei assistenti hanno iniziato ad attaccare direttamente i manifesti i picchiatori ci hanno telefonato e ci hanno detto: “Ogni manifesto di Vattimo che attaccate direttamente è un setto nasale rotto”. Dovresti vederli. Sono dei bruti».
Con Rizzo ne hai mai parlato?
«No. Lui mi intimidisce un po’ perché politicamente è molto bravo. Andavamo insieme alle trasmissioni televisive. Lui faceva la parte della persona perbene e compassata. Io urlavo e gridavo. Ho dato del figlio di puttana a Cecchi Paone. Gli ho detto che era una cloaca umana».
Ci sei andato leggero.
"Cecchi Paone mi aveva provocato. Aveva detto: “Ma professore di che?”. È stato in quella occasione che ho capito che era gay".
Sorpreso? Proprio tu?
«Mi viene voglia di andare con una donna quando penso che appartengo alla stessa schiera di Cecchi Paone. Molti intelligenti sono gay, ma non tutti i gay sono intelligenti».
Essere gay ti ha danneggiato nella vita?
«No, anzi, mi ha favorito. Nell’estate del 1976 si seppe che ero omosessuale. Nell’autunno la facoltà di Lettere mi elesse preside. Era una facoltà essenzialmente conservatrice, cattolici tranquilli e sinistri conformisti. Hanno eletto un gay per darsi una rinfrescata».
Hai detto che se non fossi stato gay non saresti stato neanche di sinistra?
«Per essere di sinistra o sei un proletario sfruttato o hai qualche altra incazzatura. Se non fossi stato gay avrei probabilmente sposato una ragazza ricca di cui mi ero innamorato. Non sarei mai stato di sinistra: nel senso che sarei rimasto un diessino».
Essere gay non ti ha mai creato problemi, veramente?
«Non è così. Mi sono preso l’ulcera perforata sanguinante. Io non nascondevo niente. Ma non lo dicevo. Ho smesso di soffrirne nel ’68. Il ’68 è stata la rivoluzione. Tutti si svelavano per quello che erano. Oltretutto i ragazzi del movimento erano bellissimi. Nell’estate del ’68 ho conosciuto un ballerino peruviano splendido, divino: appena entrava in un posto tutti cadevano svenuti. Era gentile, simpatico, intelligente. Ma sai come sono i ballerini peruviani?».
Confesso la mia ignoranza.
«Dopo un po’ ti mollano. Allora ho vissuto a lungo con un ragazzo, specialista in letteratura ungherese. Ma è morto di Aids. Per un’altra ventina di anni ho vissuto con un ragazzo che si è beccato un cancro al polmone e in due mesi se ne è andato».
E adesso?
«Sono single e innamorato di un cubista. Un ragazzo simpatico e bellissimo al quale voglio un gran bene, ma ha mille anni meno di me. Posso mettermi a vivere con uno che potrebbe essere mio nipote?».
Raccontami la tua vita.
«Sono nato a Torino 68 anni fa. Padre poliziotto calabrese immigrato, morto di polmonite quando io avevo un anno e mezzo. Feci carriera nell’Azione Cattolica, diventai vicepresidente diocesano. Cattocomunista».
Scuola?
«Gioberti. Ero un capo del movimento studentesco. Mi prendevano in giro perché ero cattolico e perché non andavo al casino».
Lavoro?
«Feci la domanda per impiegarmi alle Assicurazioni Generali ma finii alla Rai. Trasmissioni per ragazzi, programmi culturali… Culturali? Avevamo un consulente che confondeva il Courvoisier con Le Corbusier».
Alla Rai hai conosciuto Umberto Eco e Furio Colombo.
«Li avevo conosciuti prima, nel movimento studentesco cattolico».
Eco e Colombo con i cattolici?
«Certo. Quando ci incontrammo tutti e tre a Gargonza non facevamo altro che cantare vecchie canzoni di quell’epoca. Anche canzonacce reinventate da Eco: “E san Giuseppe non lo sa, che quando passa ride tutta la città”. Roba del genere. “Il paraclito, col suo dito, un pochino lo ha avvilito”».
Eco ti prende spesso in giro.
«Mi dà dell’irrazionalista. Lui è rimasto un tomista. È un filosofo molto tradizionale, per questo va d’accordo con gli americani».
Tu lo accusi di disinteresse antiberlusconiano.
«Eco è uno dei pochi che riconosco più intelligenti di me. Non gli danno il Nobel solo perché lo hanno già dato a Dario Fo. Però è un sornione, si identifica troppo volentieri con la sua figura sociale di mostro sacro, di monumento nazionale. E mi incazzo con lui quando vedo che si mette con quelli di “Libertà e Giustizia”, che è una specie di comitato della Croce Rossa. Signori equilibrati che è difficile vedere scamiciati in piazza san Giovanni a gridare contro Berlusconi».
Con Eco e Colombo hai anche vissuto insieme.
«Tre mesi, come fossimo Hegel, Holderlin e Schelling. Eco, il più ricco, aveva una stanza singola e pagava un po’ di più. Io e Furio avevamo una stanza con due letti».
Che cosa ricordi del ’68?
«Ricordo che ero appena stato lasciato dalla ragazza con la quale credevo di poter stare. Una mia allieva. Sognavo di avere moglie e figli».
Strano sogno per un gay.
«Ancora oggi, se avessi una famiglia, sarei più contento. Era una ricca borghese ed io speravo che i suoi potessero accettare un bisessuale. Invece no».
È anche un problema di fedeltà.
«Se io tradisco mia moglie con un’altra signora capisco, ma se la tradisco con un militare che gliene importa? Aristotele aveva una moglie, dei figli e un amante. Era un mostro?».
Torniamo al ’68.
«Ero già professore. Un anticapitalista romantico convinto di essere molto più a sinistra della sinistra, di tutti quei figli di ricchi che facevano i party con le patatine e intanto parlavano di Marx mentre io ero un vero proletario cacciato anche dalla famiglia ricca della mia pseudo fidanzata».
E quindi?
«Mi beccai di nuovo l’ulcera, finii all’ospedale. Un sacco di tempo libero. Lessi Marcuse e uscii dall’ospedale maoista».
Tu hai frequentato gli Agnelli. Sei amico di Romiti.
«Un’amica comune ci invitava a cena, Gianna Recchi. Io con Romiti mi trovavo bene. È un testone, un destro di natura, ma potrebbe essere il capo di una destra civile, rispettabile. Mi ha tradito con Nando Adornato. E adesso quando sento Adornato parlare a nome di Berlusconi in Parlamento mi cadono le brache».
Parliamo di voltagabbana?
«Certo, di Giuliano Ferrara».
Ma Ferrara, dicono, è uno che ci crede.
«Crede a se stesso. Ed è sfrontatamente autoassolutorio. Quando parla di Machiavelli, della politica che deve essere fatta dagli astuti, crede soprattutto al fatto che non bisogna credere. Propone una visione del mondo dove è previsto prendere i soldi dalla Cia. È al di là della sopportabilità».
E l’adulazione?
«Ce ne sono purtroppo ma nomi non ne faccio. Certe persone, anche di sinistra forte, come Gad Lerner, mi sembrano affascinate dal potere. Molti miei studenti sessantottini avevano nella loro camera il ritratto dell’avvocato Agnelli sul tronetto dorato e non era solo messo lì come obbiettivo per le freccette. Io ricordo sempre un’intervista di Gad a Cesare Romiti. Glielo dissi: “ma il potere ti affascina a tal punto?”. Come quando faceva lo schiavetto di Ferrara ad Otto e mezzo. Lo faceva solo perché lo pagavano bene o per cupidigia di servire?».
Ce l’hai con Lerner?
«Ho il dente avvelenato con Gad perché a causa della sua giudeità sopporta qualunque cretinata americana. E diventa amico di tutta la destra possibile».
Chi non ti piace a sinistra?
«Il peggiore è D’Alema. Il secondo Bertinotti. Poi c’è Violante. Guarda questo ritaglio. Me lo porto sempre appresso. 28 Febbraio 2002. Camera dei deputati. Violante: “L’onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo, che non sarebbero state toccate le televisioni”. Capito? Violante si fa bello di aver garantito a Berlusconi la salvezza del suo impero».
Cofferati ti piace?
«Molti di noi speravano che Cofferati prendesse il potere nella sinistra. Un bel colpo di mano, una scossa di tipo movimentista. Gliel’ho anche detto».
E lui?
«Mi ha detto: “Potevo presentarmi candidato alla segreteria del partito, ma D’Alema mi avrebbe fatto a pezzi e il partito è nelle sue mani”. Non ha avuto abbastanza fantasia e audacia per fare un proclama: “io rifondo la sinistra italiana, chi vuole stare con me?”».
Hai suscitato la reazione degli amici di Sofri quando lo invitasti a rifiutare la grazia se fosse arrivata da Berlusconi.
«Mi hanno coperto di ingiurie. Ma io dicevo semplicemente: vuoi la grazia? Chiedila! Ma se pensi che non sia giusto chiederla, perché vuoi accettarla gratis da Berlusconi con l’intercessione di Giuliano Ferrara? Sarebbe il massimo della turpitudine umana. Condivido una cosa che scrisse Rossana Rossanda: “liberatelo, che almeno poi possiamo criticare le sciocchezze che scrive”. Io non leggo quasi più le sue cose sulla Repubblica. Sembra il Papa».
Che cosa pensi degli intellettuali italiani?
«Culo e camicia. Si ritrovano tutti tra di loro. Sono dei culcamicisti. Come quelli che facevano parte del circolo einaudiano. Si consideravano la crema della crema dell’intellighenzia italiana. Mi facevano venire l’orticaria. Superciliosi, presuntuosi, si consideravano dei pontefici. La riunione del mercoledì con Giulio, che palle!».
Gioco della torre. Chi butti giù, Colombo o Eco?
«Sei proprio uno stronzo».
Mica si fanno domande facili, qui.
«Butto Eco. Colombo dirige l’Unità. Si prende responsabilità politiche».
Prodi o Rutelli?
«Butto giù Rutelli. È vuoto pneumatico».
Pera o Buttiglione?
«Butto Pera, è più presuntuoso. Non lo disprezzo. Ha sempre studiato Popper decorosamente. Ma non ha mai esibito un’idea nuova».
Mimun o Mentana?
«Mentana ha fatto danni irrimediabili. Ha dato rispettabilità a un tg berlusconiano. Mimun non è in grado di dare rispettabilità a nulla».
Giorgino o Marzullo?
«Giorgino è un bel ragazzotto. Però sembra uno di quelli arrivati lì per puro caso».
Cofferati o Bertinotti?
«Giù Bertinotti. Ha consegnato l’Italia nelle mani di Berlusconi per questi ultimi cinque anni. Ho sempre pensato: se si è fatto pagare da Berlusconi è una puttana. Ma non si è fatto pagare, lo ha fatto gratis. Quindi è un ninfomane».
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