- 21 Dicembre 2006
Non ha parlato. Comunque non ha detto quello che i giudici volevano che dicesse. E cioè che anche i comunisti, come la Dc e il Psi, avevano partecipato al grande banchetto di Tangentopoli. Mentre tutti facevano a gara a chi confessava per primo, lui, Primo Greganti, il compagno G, negava tutto. I soldi dei Ferruzzi, i 612 milioni? Certo che li ho presi. Erano il compenso per le mie consulenze. Il miliardo dell’Itinera? L’ho incassato. Era la caparra per la vendita di un immobile. A forza di negare, si fece tutta la carcerazione preventiva, più di 100 giorni. E incassò la condanna patteggiando tre anni. Alla fine mise d’accordo sinistra e destra: ecco uno con le palle, uno che resiste,. Un eroe. Un simbolo. Ma lui non ci sta: «Sarei un eroe se mi fossi sacrificato per salvare il Pci. Ma questo non è vero. Io sono innocente e basta».
Ti rendi conto che la gente non ti crederà mai?
«Non mi pongo questo problema. Facendo di me un eroe si avvalorava la tesi che il Pci era coinvolto come tutti gli altri. È una strumentalizzazione della destra».
Sei stato condannato, hai patteggiato…
«Capita di trovarti in situazioni in cui non hai fatto niente e devi pagare lo stesso. In inchieste come Mani Pulite c’è sempre il rischio che un innocente rimanga coinvolto. Ho accettato la mia sorte perché l’inchiesta arrivasse in fondo. Sostengo lo Stato di diritto anche quando lo Stato di diritto sbaglia».
Praticamente Socrate.
«Sostengo i giudici, sostengo l’inchiesta di Mani Pulite. Ho scontato la mia pena fino in fondo. Ho rifiutato perfino l’indulto».
L’indulto non si può rifiutare.
«Ma io l’ho fatto. Potevo andare libero e non l’ho fatto fino alla scadenza naturale della pena».
La tua vita è stata sconvolta…
«Avevo un ufficio, dipendenti, ho dovuto licenziare tutti, smantellare tutto, fare debiti».
…e continui a sostenere Mani Pulite?
«Dopo una prima fase genuina l’inchiesta assunse dimensioni tali che la situazione sfuggì di mano. E successe una cosa strana. Come se fossimo alla vigilia dell’arresto di Dio. Le segreterie di partito prima di riunirsi si informavano sugli ultimi arresti. Le aziende erano ferme aspettando l’arrivo della Guardia di Finanza. Il Paese era sotto ipnosi. Le diplomazie del mondo si chiedevano: cosa succederà in Italia? Dc e Psi si davano già per persi. Ma i comunisti se la sarebbero cavata. A questo punto Berlusconi scese in campo, benedetto da Gelli. Gli imprenditori parlavano a valanga. Più gente veniva chiamata in causa meglio era. Tutto purché il Paese non finisse in mano ai comunisti».
Gli amici sono scomparsi dopo la galera?
«Nessuno mi ha abbandonato platealmente. Ma c’è chi si è eclissato, in silenzio, senza dichiararlo».
Hai avuto vantaggi dalla vicenda giudiziaria?
«Economici direi proprio di no. Non mi è rimasto assolutamente niente. Da un anno ho la mia pensione di 1.880 euro».
Prima come vivevi?
«Facendo debiti. Che adesso sto restituendo. Ma non farmi fare la figura del piagnucolone».
Altri tipi di vantaggi?
«Ritengo di avere imparato delle cose importanti».
Risposta buonista. Vantaggi reali?
«Al telefono mi rispondono tutti, con cordialità, apprezzamento. Ma all’idea di lavorare con me qualcuno resta freddo».
Gabriele Cagliari, nella lettera alla moglie Bruna, ti citò come esempio di forza e di resistenza.
«L’ho incontrato qualche volta in carcere. Aveva il morale a terra. Cercavo di dargli forza: “Guarda che la vita non finisce qui. Questa è una parentesi”. Ma lui si sentiva schiacciato».
Perché i potenti sono così fragili?
«Pagano un prezzo più alto. Sono potenti ma si credono onnipotenti. Sono assistiti e riveriti da tutti. Quando tutto questo svanisce si sentono nudi».
Hai detto: «Lavorando in un partito si possono fare anche cose che non si condividono».
«Purché legittime. Per esempio pur essendo stato a lungo operaio, quando Berlignuer disse: “Se gli operai occupano, noi siamo al loro fianco”, non ero d’accordo. Eppure lo sostenni».
Sono passati più di 12 anni dal giorno dell’arresto.
«Avevo saputo che Di Pietro stava indagando su un certo “compagno G”. Decisi che era meglio parlarci e presi appuntamento per il giorno dopo alle 11. Aveva dato la notizia alla stampa. Stavo in mezzo ai giornalisti e nessuno mi riconosceva. Ad un certo punto Susanna Ripamonti dell’Unità mi chiese: “Ma tu lo conosci questo compagno G?”».
Come un film comico.
«Totò, Di Pietro e il compagno G».
Dicono che tu fossi arrogante con i giudici.
«Non mi facevo intimorire e rispondevo con fermezza».
Dopo un interrogatorio della Parenti dicesti: «Ma chi è quella ragazzina in minigonna che mi ha fatto tutte quelle domande?».
«Preferivo la durezza di Di Pietro alla mediocrità. Ma non ho mai detto quella frase. Però…».
Però?
«Però non era il caso di presentarsi in carcere vestita in modo da suscitare certi commenti tra i detenuti».
Di Pietro oggi è nel tuo stesso schieramento politico…
«Dopo tante ore a parlare con me, mi fa piacere che abbia scelto il centro sinistra ».
Un’immagine è rimasta nella mente della gente: quella di un comunista con tre conti in Svizzera.
«Non nascondevo nessun soldo. Lavoravo con
È singolare che quel pagamento da parte dei Ferruzzi di cui parla Panzavolta, 612 milioni, corrisponda esattamente alla cifra della tangente pagata realmente sia alla Dc che al Psi per favorire un appalto dell’Enel.
«Io ho almeno dieci spiegazioni».
Fermiamoci ad una.
«Nessuno ha mai prodotto un solo documento, una sola telefonata, un solo rapporto con chicchessia all’Enel che dimostri che io ho fatto qualcosa per favorire quell’appalto».
E quelle dieci spiegazioni?
«Poteva essere casuale o un trabocchetto. Anche il fatto che abbiano pagato estero su estero, che abbiano usato un canale normalmente usato per pagare tangenti… Poteva essere un sistema per coinvolgere anche il Pci se fossero stati scoperti…».
Il caso Itinera? Un miliardo in una valigetta…
«Era la caparra per l’acquisto di un immobile del partito».
In una valigetta? Non esistono gli assegni?
«Erano soldi in nero. Ancora oggi le trattative immobiliari si fanno così. Gli atti notarili si fanno al valore catastale. Il resto della somma si muove in un altro modo».
Alla fine tu hai patteggiato una condanna a tre anni. Patteggiare è un po’ ammettere.
«Dovevo pur ricominciare a vivere. Non potevo andare avanti come fossi Previti con i processi, gli avvocati… Ho una famiglia… Lo dissi anche allora: patteggio non perché ammetto la colpa ma perché ho bisogno di lavorare».
Che cosa rischiavi?
«Sei anni di galera».
Invece?
«Mi affidarono ai servizi sociali. Non potevo uscire di casa prima delle sette, non potevo rientrare dopo le nove di sera, dovevo muovermi soltanto per lavoro, non potevo abbandonare la provincia di Torino. E tutte le notti i carabinieri venivano a suonare il campanello e io dovevo andare a farmi vedere».
Raccontami un po’ della tua vita.
«Sono nato a Jesi. Mia madre mi ha partorito in un fosso, in una cassetta dell’uva mentre stava passando il fronte verso Nord. Era il 1944. I miei facevano i mezzadri. Le frustrazioni che subiva mio padre erano per me inaccettabili. A 14 anni andai a Torino. Anche lì povertà, fame, lavoro nero, freddo, in cinquanta a dormire in una stanza…».
Ma poi operaio alla Fiat, la commissione interna, il Pci…
«Prima prendevo lo stipendio della Fiat. Poca roba. Però lo prendevo. Poi nel Pci, la metà e quasi mai. Sai qual è la questione morale del Pci? Che non pagava gli stpendi».
Nella segreteria della federazione torinese, nell’organizzazione a Roma e a curare le Feste dell’Unità. Nell’89 ti sei messo in proprio.
«Dal Pci al Pds: il dibattito interno era molto pesante. Io avevo fatto un sacco di viaggi in giro per il mondo, avevo conosciuto molta gente…».
Qualcuno ha detto che ti piacevano la bella vita, i bei vestiti, le belle macchine e le belle donne…
«Tutte balle. Va detto però che le donne brutte non mi sono
Ti hanno mai offerto una candidatura?
«Prima dello scandalo me l’offrì
Che tipo di comunista ti piace?
«Stiamo compiendo un viaggio travagliato verso il Partito Democratico. Dobbiamo imbarcare tutti. Ma troppi compagni di strada sono presi dall’individualismo. Io, io, io, io».
Meglio l’operaio Cipputi che cuoce le salamelle o il manager Velardi che passeggia per la piazzetta di Capri?
«Non sarei mai capace di passeggiare per
Va bene anche D’Alema al timone dell’Icarus?
«Per essere comunisti bisogna per forza essere con le pezze al culo? Ben venga anche un comunista ricco».
L’immagine del leader di un partito è importante…
«Più importante è l’immagine di coerenza culturale. Molti, la sera dicono una cosa e il mattino dopo il contrario…».
Sei sempre iscritto al partito?
«Dal 1993 non più. Ma adesso chiederò la tessera del 2007».
Hai seguito
«Consorte si è posto il problema di acquisire un pacchetto di controllo di una banca. Tentativo meritorio. Se ha compiuto illeciti è un altro problema. Se si è scelto compagni di strada sbagliati, anche questo è un altro discorso».
Come si finanziano oggi i partiti?
«Con il finanziamento pubblico. Ma sembra di capire che i soldi non sono sufficienti. È un problema serio. Se non si approva la legge sul conflitto di interessi rapidamente noi continueremo a convivere con questa anomalia pesante. C’è un partito che dispone di mezzi tali che mette tutti gli altri fuori gioco».
Questo discorso valeva anche per il Pci che si finanziava con i soldi sovietici e con il movimento cooperativo.
«A me non risulta».
Torni a fare il compagno G?
«Che le coop facciano pubblicità sull’Unità, o che i dipendenti della cooperativa facciano del volontariato è una cosa. Ma qualcuno può sostenere che ci sono finanziamenti diretti al partito da parte delle coop?».
E i soldi sovietici?
«Altra fesseria. Io non ho ancora trovato nessuno che abbia detto qualcosa di preciso su questa storia».
Stai esagerando…
«Ricordo che quando arrivavano le delegazioni russe a Roma bisognava comprar loro i vestiti perché erano impresentabili».
È vero che esiste il «Primo Greganti Fans Club»?
«Segnalano qualcosa del genere a Sondrio o a Como».
E la discoteca che fece pubblicare il poster con la tua fotografia e lo slogan «Affidabile come Greganti»?
«Molti mi hanno chiesto di usare il mio nome come marchio. I fabbricanti di orologi per esempio. “Puntuale come Greganti” Perfino Cuore fu lanciato conquesto slogan».
In galera ti sei rasato metà cranio.
«In carcere i giorni di festa c’è molta depressione. A Pasqua vedendo alcuni extracomunitari mi sono commosso. Per farli ridere mi sono rasato metà capelli e metà barba».
Tu sei comunista?
«Ero comunista. Oggi sono per un riformismo che spero sfoci nel nuovo Partito Democratico».
Arriverà prima il Partito Moderato della destra?
«Sono troppi quelli che vogliono fare il Partito Moderato. E non è ancora chiaro che cosa sia».
Secondo Berlusconi è Forza Italia allargata.
«Forza Italia non è moderata. Non è nemmeno un partito».
Gioco della torre: D’Alema o Fassino?
«Nessuno dei due. Non butto nessuno dalla torre».
Veltroni e Rutelli?
«Nessuno dei due. Non fa parte del mio schema».
Compagno G, ma allora è proprio vero che non parli. Non butti dalla torre neanche la Parenti?
«Neanche lei. Sono avversario politico di alcuni, difendo le mie idee, ma non butto nessuno dalla torre».
Ma è una metafora. Se non butti nessuno vuol dire che ti vanno bene tutti.
«Guarda, non butto nemmeno Berlusconi! È il prodotto di una società che ha perso i valori! Se bastasse buttare lui…».
[…] Mi disse: “Capita di trovarti in situazioni in cui non hai fatto niente e devi pagare lo stesso. In inchieste come Mani Pulite c’è sempre il rischio che un innocente rimanga coinvolto. Ho accettato la mia sorte perché l’inchiesta arrivasse in fondo. Sostengo lo Stato di diritto anche quando lo Stato di diritto sbaglia”. LEGGI […]
il compagno G. mi ricorda i soggetti della Little italy del New Jersey, filmata a più riprese da Scorsese insieme a Joe Pesci e De Niro. Come può essere innocente uno con quella faccia?