- 12 Maggio 2008
CLAUDIO SABELLI FIORETTI: Fra un po’ potrà vantare di aver doppiato la boa dei due milioni di copie vendute. Nel quasi totale silenzio della stampa italiana. Per la televisione,fino a poco tempo fa era un fantasma. Per gli italiani no. Gli italiani sono sempre accorsi in massa dovunque Marco Travaglio presentasse i suoi libri. Un fenomeno editoriale.
Negli Stati Uniti gli avrebbero già dedicato la copertina di «Time» e di «Newsweek». In Italia i settimanali e i magazine dei quotidiani lo ignorano. Solo grazie a Michele Santoro è tornato in tv. E qualche timida apparizione adesso avviene anche sui quotidiani più che altro quando lo si vuole trascinare nelle polemiche. Marco, sta finendo il periodo del silenzio e dell’assenza?
MARCO TRAVAGLIO: Vanto tuttora il minor numero di recensioni tra gli autori in classifica.
Continua l’ostracismo?
Solo due o tre giornali parlano dei miei libri. Forse si sentono obbligati. Sono quelli ai quali collaboro. «Espresso», «Repubblica», «Unità». E nemmeno sempre. Non ho mai visto una recensione dei miei libri sulla «Stampa» o sul «Messaggero». La stragrande maggioranza dei giornali italiani mi ignora.
E tu ne soffri.
Non me ne importa niente. Le recensioni non servono a nulla. Però quando penso che ci sono libri che vendono tre copie e hanno la recensione del grande quotidiano…
Ma perché?
C’è sempre questa idea che se qualcuno parla dei miei libri rischia qualcosa. Come è successo a Luttazzi.
Però nelle pagine delle classifiche non possono ignorarti…
E ci mancherebbe. Dovrebbero falsare le classifiche. Però nei piccoli pezzulli che commentano le classifiche si sorvola. Io entro fra i primi dieci, magari sono in testa, ma si parla di quello che ha scalato il ventinovesimo posto. Però non mi lamento. Va benissimo così.
Si tratta di censura politica?
No. Credo semplicemente che si tratti di antipatia, oppure di invidia. Oppure del fatto che non appartengo alle mafiette corporative. Per apparire nelle pagine culturali dei giornali è più importante essere amico del caposervizio che vendere centomila copie.
E tu non hai amici.
Non sono stato in Lotta Continua, né in Potere Operaio, né in Comunione e Liberazione.
Ti manca la lobby.
Non sono mai stato iscritto a niente. Magari qualcuno potrebbe farlo per captatio benevolentiae. Ma io che cosa posso dargli in cambio? Non conto niente.
I tuoi amici sono pochissimi, quelli di cui non parli male sono ancora meno. In televisione quelli che ti piacciono si contano sulle dita di una mano: Guzzanti, Luttazzi, Santoro…
Ma no, anche quelli che non fanno gli impegnati ma che fanno il loro lavoro tipo la Ventura, Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Chiambretti…
Però non ti invita nessuno…
Si fa prima a dire quelli che mi hanno invitato negli anni in cui era vietato invitarmi. Due o tre volte Mannoni a Primo Piano, due o tre volte Gad Lerner…
Ti invitava anche Ferrara…
Ero in quota Gad Lerner. Tanto è vero che quando è andato via lui e sono arrivati prima la Palombelli e poi Luca Sofri e poi Ritanna Armeni mi hanno del tutto ignorato. Perfino quando qualcuno mi insultava. Quando Cossiga mi dette del «fascista di destra» in mia assenza, Ferrara commentò: «Adesso lei ci costringe a invitare Travaglio perché possa replicare». E poi, naturalmente, mai più sentito.
Altri che ti hanno invitato?
Funari a Odeon, Daniele Vimercati e David Parenzo a Telelombardia. Poi, quando è caduto il muro di Berlusca, mi hanno invitato la Ventura e Fabio Fazio.
Vespa?
Stai scherzando?
A me ha detto: «L’unico posto per incontrare Travaglio è il tribunale».
Ci siamo incontrati già in tribunale. Mi ha fatto causa e l’ha persa.
Che cosa avevi scritto?
Era un pezzo su lui e sua moglie, su un ufficiale dei Ros che aveva scoperto tra i primi la corruzione di alcuni giudici romani, aveva indagato su alcuni processi che aveva fatto la signora Vespa e seguito alcuni spostamenti della coppia. Insomma fecero causa e persero.
Vespa, al contrario di te, presenta i suoi libri in tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche possibili…
L’ho visto anche a Linea Verde, in mezzo a un pratone, con Del Noce. Portavano il libro di Vespa a pascolare. Enzo Biagi per l’occasione parlò di «braccia rubate all’agricoltura». L’ho visto anche a Elisir, meraviglioso, con Mirabella. Era una puntata dedicata al mal di fegato o forse alla prostata. Vespa è coraggioso. Io non ce la farei ad andare a parlare di un mio libro in una puntata sulle viscere.
Andresti da Marzullo?
No. Non mi piace parlare di fatti miei e di questioni private. E poi mi metterei a ridere alla domanda se i sogni aiutano a vivere meglio.
E da Anna La Rosa?
Lei è sempre stata abbastanza affettuosa con me, a parte che lo è con tutti, ma non mi va il tipo di trasmissione che fa, questo salottino con i pasticcini. Da Vespa ci andrei per far saltare tutto, parlando di Andreotti e magari anche di sua moglie, la Iannini. Di far saltare tutto da Anna La Rosa non vale la pena, sarebbe un dramma residuale.
Dalla Bignardi ci andresti?
La Bignardi non mi piace. Non dico che intervista male. Non mi piace il personaggio. Quando hanno cacciato Luttazzi da La7 perché aveva attaccato Ferrara, è riuscita a dire che aveva ragione Luttazzi e aveva ragione La7 e che aveva ragione anche Ferrara. Tipico delle persone innamorate del potere. Non riescono mai a essere tranchant. Tengono annodati sempre tutti i fili. Non le sopporto.
Ti trovavi meglio con Prodi o con Berlusconi?
Con Berlusconi si avverte sempre un clima generale da regime. Ma il clima da regime si è prolungato anche con Prodi. Colpirne tre o quattro è servito a educarne moltissimi.Oggi la censura va avanti con il pilota automatico. Autocensura. Non c’è bisogno dei diktat bulgari. Sono diventati tutti obbedienti. Hanno paura della loro ombra.
Si diceva: «Se vince il centrosinistra Travaglio rimane disoccupato»…
E invece no. Ma non ci vuole una grande intelligenza per prevedere quello che succede nella politica italiana. Io l’avevo previsto in toto che cosa avrebbero fatto quelli della sinistra e infatti l’hanno fatto. Avevo la certezza matematica che non avrebbero risolto nessuno dei problemi dei quali mi occupo io.
Però all’«Unità» hai avuto momenti difficili. Antonio Padellaro mi disse che talvolta gli hai creato dei problemi…
A Furio Colombo di più.
Bilancio finale?
Io non ho mai avuto vita difficile all’«Unità». Sono loro, Furio e Antonio, che hanno avuto vita difficilissima per causa mia. Molto di più di Claudio Rinaldi, che aveva le spalle più larghe, quando mi faceva scrivere sull’«Espresso». Ebbe molte difficoltà perfino Indro Montanelli, che pure aveva spalle larghissime. Montanelli fu perfino convocatoda Agnelli per causa mia.
Montanelli andò a rapporto da Agnelli?
Non ci andò, naturalmente. Ci mandò Federico Orlando. Cesare Romiti e Gianni Agnelli gli dissero che non dovevo più occuparmi del processo alla Fiat. Gli dissero anche che sapevano delle difficoltà di Montanelli con Berlusconi e che loro sarebbero stati felici di aiutarlo se fosse stato costretto ad andarsene.
E Montanelli?
Disse: «Travaglio continua a scrivere tranquillamente di Fiat». Per correttezza debbo dire che molto elegantemente Agnelli non reagì alla cosa. Insomma non gli tolse il saluto. Montanelli era unico.
Segue in tutte le librerie (Aliberti ed., 15 Euro)
Carissimo Marco, ho bisogno d’incontrarti, urgentemente…! La tua email, per favore, così ti mando un po’ di carte.
Il mio numero tel. 0041-79-253 84 62.
Un abbraccio.
Antonio Sutera – Berna