- 13 Maggio 2008
I comunisti sono scomparsi. Non ce n’è più nessuno in Parlamento. Il centrosinistra ha preso una batosta storica. Meno nove per cento rispetto al centrodestra. Il Campidoglio è stato conquistato da un ex fascista. Per la prima volta da sempre. Vale la pena di andarne a parlare con Nichi Vendola protagonista dell’ultima grande vittoria di un comunista in Italia, quando contro tutte le previsioni, tre anni, fa conquistò la poltrona di governatore delle Puglie, l’uomo che si è candidato alla successione di Bertinotti alla guida di Rifondazione.
Nichi, salverai Rifondazione? Sembra un’impresa impossibile?
«Non è la prima volta che mi trovo ad incarnare il ruolo di chi partecipa a sfide impossibili. Dal punto di vista del rischio non sono turbato. Credo sia giusto adattarsi ad una condizione completamente nuova come quella di un partito schiantato e mettere a disposizione la mia immagine la cui popolarità è molto oltre il recinto di Rifondazione per tentare un operazione che dica: la salvezza del mio partito non è un’operazione di restauro ma è la capacità di riaprire il cantiere dell’innovazione politico culturale».
Le elezioni, un disastro…
«Difficile immaginare che potesse andare peggio».
La sinistra è abituata a queste batoste…
«Nel corso di un quindicennio si è perso, e si è vinto, in un’altalena al cardiopalma. Questa epoca si è chiusa. Il nuovo ciclo è stabilmente, organicamente di destra. Queste elezioni offrono la radiografia di una formidabile egemonia culturale della destra».
Il progetto di Veltroni…
«È stato scardinato completamente. L’unico elemento di vittoria di Veltroni è la scomparsa della sinistra. Il vento di destra lo ha travolto».
Ma la semplificazione della politica italiana…
«Va bene. Gli è riuscito il bipolarismo. Ne è valsa la pena?».
La sua leadership ne esce rafforzata?
«Non c’è un automatismo tra esito elettorale e leadership di Veltroni. Siamo all’inizio di un percorso dagli esiti insondabili».
Proviamo a sondarli.
«Non riesco a fare previsioni. La natura neocentrista e moderata del Partito democratico non è un dato acquisito. Il Pd non è un partito-mummia. È un corpo vivo, esposto alle intemperie della società. È una partita aperta».
Che comincia con una sconfitta storica.
«Intanto bisogna operare il disoccultamento della sconfitta».
C’è qualcuno che la nasconde?
«Non la raccontano in tutta la sua asprezza. Si parla di un risultato importante, di una percentuale formidabile. Siamo davanti a un armamentario propagandistico fortemente consolatorio».
Se la sinistra non si fosse presentata divisa in tanti partitini avrebbe raggiunto il 4 per cento.
«I nostri problemi vanno affrontati di petto, senza cercare capri espiatori. Se c’era la falce e martello… se non c’era Veltroni… argomenti da talk show».
Allora affrontiamoli di petto.
«Non c’è stato un commento dell’Arcobaleno alla sconfitta. Ognuno in ordine sparso ha commentato e si è tirato indietro. Prova che l’Arcobaleno non c’era, era un’illusione ottica, una cosa posticcia e artificiosa. Agli elettori siamo apparsi un residuo, un cimelio, un cumulo di velleità e di inefficacia».
Tu resti un’immagine vincente di Rifondazione…
«Sono stato il simbolo di una somma di minoranze che non si sono poste in termini minoritari. Comunista, gay, cattolico dell’estrema sinistra… tutti filoni eterodossi. La sfida è stata identificare un nuovo popolo. Si vince e si perde solo ed esclusivamente sul piano dell’ideologia».
Le ideologie non hanno più spazio…
«È incredibile quello che scrivono i soloni…i Galli della Loggia, i Panebianco…».
Scrivono che le ideologie sono finite.
«E il berlusconismo che cos’è? La favola bella che cuce l’Italia delle mille corporazioni non è una straordinaria operazione ideologica? Berlusconi a quest’Italia così spaventata, regredita, ferita offre sogni e paure. I sogni dell’Isola dei Famosi e le paure dell’immigrato. Un mix straordinario».
E la sinistra che cosa ha offerto?
«Un discorso debole, ridondante, incapace di capovolgere l’ideologia berlusconiana».
A Berlusconi gliene hanno dette di tutti i colori.
«Berlusconi è una persona simpatica, geniale, che ha cambiato la storia politica italiana. Lo abbiamo demonizzato e non ci siamo accorti che il berlusconismo tracimava nei nostri accampamenti. Noi con Berlusconi ci siamo comportati come i liberali all’inizio del fascismo, schifiltosi nei confronti di quella maschia rudezza da suburbio sottoproletario».
Berlusconi ti piace?
«Ha tutti i vizi e tutti i difetti a cui un uomo della mia parte deve dedicare la propria passione polemica. Storia sociale di un parvenu, grande improvvisatore, giocatore di azzardo, bugiardo cronico. È un populista, un narcisista, un’esibizionista della ricchezza. Esibisce perfino le parti più sconce del suo sistema di relazioni, tipo lo stalliere Mangano».
Detto questo…
«Ho conosciuto molti bugiardi cronici. Suscitano in me attenzione, qualche volta simpatia, spesso tenerezza».
Veltroni sarà il leader della sinistra dei prossimi anni?
«Veltroni ha scelto un cammino che lo allontana dalla sinistra. Espellere la centralità della questione del lavoro dalla propria cultura politica significa recidere le radici sociali dell’essere di sinistra. La bussola di Veltroni è un mix di radicalismo etico e moderatismo politico. C’è l’Africa ma non c’è la precarizzazione del mercato del lavoro. C’è la sete del mondo ma non c’è la privatizzazione dell’acqua in Italia».
Si pensò a un certo punto che potesse venire la stagione di Cofferati…
«Si trattò di una abbaglio e di un’illusione ottica. Ho letto i discorsi di Cofferati e ne ho tratto un’impressione di superficialità e schematismo. Sotto il vestito niente. Cofferati è quello dei lavavetri. Ha anticipato, per molti versi, la conversione neomoderata del Pd e la sussunzione di pezzi interi della cultura tipica della destra».
Cosa vuol dire oggi essere comunista?
«Vuol dire porsi molte domande, sapere che la qualità della vita è sempre legata alla condizione del lavoro, allo sfruttamento. Evitare qualunque feticcio politico. Una visione feticistica della politica è quanto di meno comunista ci possa essere. Mummie, naftalina, asfissia, gulag».
Esistono ancora i proletari?
«Esistono molti più proletari che nel passato, in forme nuove».
Nichi vuol dire Nicola o Nikita?
«Mi hanno battezzato Nicola e mi hanno subito chiamato Nikita».
Padre comunista, evidentemente.
«Era andato a combattere per l’impero fascista. E nella guerra aveva maturato il suo comunismo. Mio nonno era proprietario di una cava di pietre. Undici figli. Mia madre viveva un po’ meglio perché il nonno era impiegato comunale e piccolo proprietario terriero. Una vita morigerata, molto povera».
Cattolici?
«Mio padre rimboccava le coperte a noi tre figli maschi, fino all’età maggiore, chiedendoci: “Avete detto le preghiere?”».
Ricordi della gioventù?
«La felicità di divorare libri che prendevo in biblioteca e la frustrazione di non poter divorare musica perché non avevo il giradischi».
Il lavoro?
«A quattordici anni vendevo corsi di lingue. A sedici facevo il cameriere l’estate. Correggevo bozze per la De Donato. Vendevo libri Boringhieri, Einaudi, Editori Riuniti».
E poi il giornalismo.
«La città futura, quella diretta da Adornato. Poi Rinascita».
Su Liberazione per anni hai scritto una rubrica che si chiamava «Il dito nell’occhio». Caustica, quasi violenta…
«La leggevano tutti… Ho meritato alcuni attacchi di Giampaolo Pansa».
Li ricordi?
«Fu abbastanza sgradevole. Ma non voglio entrare in polemica di nuovo con Pansa».
Perché?
«Perché è livoroso, è cattivo. Ha perso la trebisonda. Insulta. Dopo essere stato più o meno interno al Pci, è diventato anticomunista. Ma ha trattenuto una specie di virus stalinista, uno stalinismo della semplificazione, della politica spettacolo».
Tu invece?
«Vengo da una cultura politica che ha molto odiato. E non voglio più odiare».
Quando avvenne il tuo coming out?
«Nel Settantotto. Avevo vent’anni. A Terlizzi, che non era Roma. Fu un massacro sociale, politico, familiare. Era un mondo in cui ancora molti pensavano che per i gay si dovesse chiamare il medico, l’ambulanza, lo psichiatra. Da qualche parte gli omosessuali venivano curati con l’elettroshock».
Grillini racconta che perfino nella sua Romagna…
«Soprattutto nella sua Romagna. La Romagna è lo strapaese. Il Sud da questo punto di vista è sempre stato più avanzato».
L’omosessualità e la religione sono una miscela esplosiva. Tu sei gay e cattolico…
«Basta bonificare la propria spiritualità dai sensi di colpa. E non vivere a cavallo tra dannazione e redenzione alla maniera di uno Zeffirelli, o meglio ancora di un Testori».
Tu avevi una certa speranza in Ratzinger. Il Papa vive costantemente a un millimetro dallo Spirito Santo, hai scritto.
«Ho pensato che potesse accadere quello che a volte accade. Che uomini dal pensiero fortemente conservatore potessero, per la vicinanza con lo Spirito Santo, assurgere ad un magistero inedito. Come Giovanni XXIII che veniva da una storia di conservatorismo».
Invece sei deluso.
«Non posso dire di essere incoraggiato da questo inizio di pontificato. Quello che mi delude soprattutto è l’eccesso di dimestichezza della Chiesa con i poteri temporali. E il suo bisogno di avere successo. Di misurare i rapporti di forza nelle piazze. Io amo molto un’idea catacombale di chiesa».
Hai detto: passerà del tempo prima che il Papa pronunci parole evangeliche.
«Se l’ho detto l’ho detto tanti anni fa. Non su Ratzinger. Non ho mai detto cose imprudenti e non consone al ruolo che ricopro».
Perché, come dice la Bignardi, ti sei imborghesito…
«Considero importante l’uso cauto e sorvegliato delle parole. E penso che si debba avere la considerazione dei ruoli».
Grillini si è presentato alle comunali di Roma ed ha preso lo 0,9 per cento. La comunità gay romana…
«La comunità gay non è un soggetto coeso. Non sono state sempre rose e fiori i rapporti interni. Grillini ha una storia nella comunità gay bolognese e nell’Arcigay nazionale. La comunità gay romana è una cosa più complicata. Non avranno preso bene il fatto che si presentava con i socialisti».
Tu sei amico di Grillo…
«Sono suo amico, gli voglio molto bene ma non mi piace la cultura del vaffanculo, non mi piace il giustizialismo. Gli urlatori non aiutano a trovare soluzioni giuste per problemi complessi».
Indignarsi è così sbagliato?
«Certo che dobbiamo incazzarci. Ma il mondo non può essere affrontato solo con l’indignazione. Il rischio è che ciascuno si senta un leone che deve divorare il suo cristiano».
Ti piacciono i talk show televisivi?
«Mi piacciono L’infedele, Matrix, Otto e mezzo, mi piacciono moltissimo Le invasioni Barbariche».
Quindi non ti piacciono Vespa, Floris e Santoro…
«Tu l’hai detto».
Ha senso la presenza di una come la Binetti in un partito progressista?
«È una contraddizione degli altri»
Comunque è una contraddizione…
«Pare evidente. Ma non lo dico io che la Binetti è una contraddizione, lo dicono tantissimi nel Pd. Anche se con l’andar del tempo, di svolta in svolta, la Binetti è sempre meno un corpo estraneo nel Pd».
Ho letto di te che «rischi di diventare uno Schwarzenegger di sinistra: outsider, trasversale, di grande immagine, popolare e ipermoderno».
«Il modello di costruzione del consenso da quelle parti è molto diverso. Io ho costruito il mio successo uscendo fuori dai recinti dei miei accampamenti politico-culturali. Ho preso sicuramente molti voti anche a destra. E al centro. Senza snaturarmi».
Sicuro?
«Nei manifesti elettorali mi sono dichiarato diverso, estremista, pericoloso».
Magari era un trucco…
«Non mi sono tolto nemmeno l’orecchino».
E l’anello al pollice?
«L’ho messo dopo aver vinto. Me l’ha regalato un pescatore di Mola di Bari. Era la la fede di sua madre. Io l’ho messa al pollice, una specie di matrimonio col popolo».
Tu sei un poeta…
«Ho pubblicato quattro libri di poesie».
Sei il Bondi della sinistra…
«Questa non dovevi dirla. Ho frequentato scuole poetiche di livello. Il mio maestro era Dario Bellezza».
Gioco della Torre. Diliberto o Rizzo?
«Non c’è bisogno che dica io delle cose orrende di Rizzo, basta lui. Parla da solo. È impresentabile».
Bondi o Cicchitto?
«Bondi è simpaticissimo, fa tenerezza. Cicchitto è fastidioso, una specie di orticaria».
Forleo o De Magistris?
«A me non piacciono i magistrati che parlano, che partecipano, che vanno ai talk show. Il rito giudiziario deve riguadagnare la sua solennità e la sua discrezione. E allontanarsi il più possibile da ciò che assomiglia ai processi di piazza».
Buttiglione o Tremaglia?
«Sono due sfumature della stessa paura. L’omofobia può essere esercitata con la grevità del linguaggio da caserma di Tremaglia o con le sepolcrali ipocrisie di Buttiglione».
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